La morte di Richard Serra. Un ricordo del grande gallerista Fabio Sargentini
L’incontro a Roma con Joan Jonas nel 1972. La scultura a Spoleto. Un artista che era “un duro”. Fabio Sargentini ricorda Richard Serra
(Siamo in treno, mi reco con Elsa (Agalbato, ndr) a Milano per la grande retrospettiva di Pino Pascali alla Fondazione Prada. Ed ecco che arriva la telefonata di Désirée Maida, la quale m’informa della morte di Richard Serra. La cosa mi tocca: dopo Steve Paxton un mese fa se ne va ancora un mio coetaneo. Désirée mi propone di scrivere per Artribune un ricordo di Serra. Le dico che ci rifletto e poi la richiamo)
Vado col pensiero a quegli anni. Alla metà dei ’60 alla salita di San Sebastianello, angolo Piazza di Spagna, c’era una galleria d’avanguardia, La Salita per l’appunto, ed io, con L’Attico a due passi, vedevo tutte le sue mostre. Una di queste mi scioccò. C’era esposto, assieme ad alcuni animali impagliati, un maiale vivo! Non capivo il senso di tutto questo, del resto la scelta dell’animale, il suino, non poteva essere più esplicita: era certamente una provocazione, ma lasciava il segno. L’autore di quel gesto spregiudicato era un giovane artista americano di nome Richard Serra.
Da Richard Serra a Jannis Kounellis
Il quale poi, oggi lo sappiamo, essendo per vocazione uno scultore, avrebbe subito abbandonato quella strada per lui senza uscita. Un’eccezione, dunque, un precedente che però probabilmente ha influito nell’adozione da parte di Jannis Kounellis degli uccellini vivi della prima personale a L’Attico un anno dopo. Solo che per Kounellis la natura non è mera provocazione, è linguaggio poetico.
Al tempo della mostra a La Salita non incontrai di persona Richard. Lo conobbi più tardi quando venne a Roma nel 1972 con la sua compagna Joan Jonas che avevo invitato al Festival di Musica e Danza. Richard dava consigli a Joan nel corso delle prove della sua performance, che lei però accettava fino ad un certo punto. Perciò lui scalpitava inoperoso e mi chiese di finanziargli una scultura che ora è al Museo di Spoleto. In quell’occasione non dico che divenimmo amici, ma andammo d’accordo. Non parlava mai del maiale esposto circa sei anni prima…
Richard Serra a Roma
Forse non amava quell’esordio così lontano dal suo lavoro. A un certo punto, poiché disponevo già di Via del Paradiso e in quel momento non c’erano mostre, concessi a Richard d’usufruire per un mese del salone della galleria per appendervi grandi cartoni da disegnare a carboncino. Erano belli, forti, d’un nero profondissimo. Non me ne lasciò nemmeno uno. Era un duro.
Un giorno mi chiese che fine avesse fatto quell’artista, che aveva conosciuto ai tempi della sua mostra a Roma, di cui non ricordava il nome, e con il quale aveva avuto una comunicazione non verbale, di empatia istintiva. Gli era rimasto impresso, mi disse, per la carica di energia che trasmetteva. Lo descrisse, lo riconobbi: era Pino Pascali.
I veri artisti si annusano.
(Stiamo arrivando a Milano, prima di scendere dal treno telefono a Désirée: accetto di scrivere il pezzo).
Fabio Sargentini
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