A Milano due artisti russi raccontano la solitudine delle città che cambiano 

Padre e figlio, uno celebre architetto e l’altro giovanissimo artista e stampatore. Riuniti alla nuova Fondazione Galleria Milano dopo anni di forzata lontananza, raccontano insieme la loro esperienza di vita in città affollate, ma mai così vuote

Quello che si può vedere esposto oggi nei due piani della nuova sede della Fondazione Galleria Milano è un pezzo di storia toccante. È una rinascita e un ricongiungimento familiare. La trama parla di solitudine, di lontananza, di spazi costretti a chiudere; intreccia i vissuti tanto degli artisti protagonisti, quanto della cornice – oggi Fondazione privata – che li ospita. 

Si tratta prima di tutto della storia della Galleria, che comincia nel 1928, per poi interrompersi più volte, fino all’ultimo capitolo, chiusosi nel 2022. Ora, nel cuore di un quartiere in forte risveglio di Milano Sud – ormai sempre più noto come SouPra (South of Prada) – è pronta a cominciarne uno nuovo. E ha deciso di farlo con Alexander e Sasha Brodsky. Due artisti russi, padre (Mosca, 1955) e figlio (Mosca, 1995), il cui cognome era già da anni negli archivi storici dell’attività commerciale. Questi, ritrovatisi proprio qui, dopo essere stati lontani per diversi anni, presentano una mostra realizzata a due mani. È un dialogo tra di loro, che si congiunge con la voce dello spazio (molto particolare) della Galleria, e che vuole riflettere sulla solitudine delle città odierne, e sui cambiamenti di cui esse – come tutti gli abitanti – sono testimoni. 

La storia della Fondazione Galleria Milano si intreccia con la famiglia Brodsky 

Per quanto riguarda la storia e le vicende della Fondazione Galleria Milano, ne abbiamo già parlato non molto tempo fa, mentre crescevano le attese in vista della riapertura.  Ciò che forse non si è detto è come i protagonisti di questa mostra inaugurale – o meglio, uno di loro, il padre – fosse già entrato a far parte della loro cerchia di artisti e relazioni. Tre mostre gli furono dedicate (nel 2002, 2006 e 2012) nella precedente sede di Via Turati. Le stampe esposte al piano inferiore testimoniano questo legame avviato in passato: una piccola selezione di incisioni di Alexander Brodsky, provenienti dal materiale d’archivio della Galleria. Va infatti sottolineato come, oggi, l’obiettivo della Fondazione sia anche quello di valorizzare il patrimonio di documentazione da loro raccolto negli anni di attività. Le opere scelte ne sono parte integrante. Si tratta qui di immagini costruite con grande perizia geometrica (degna dell’autore, che è anche celebre architetto), che delineano ora volumi estesi in uno spazio indefinito, ora invece si sommano a formare una coppia di elmi. Le stampe, di cui si percepisce il tempo trascorso, si inseriscono perfettamente nell’atmosfera che si respira in quel seminterrato. È lì che si conserva l’archivio, assieme a una ricchissima biblioteca, che racconta chissà quante altre storie di artisti che attendono in futuro di essere riproposti.   

La solitudine delle città nelle opere di Alexander e Sasha Brodsky a Milano 

Se al piano inferiore c’è un assaggio della mostra, salendo le scale si entra nel vivo della trama espositiva. Qui, padre e figlio hanno lavorato fino al giorno dell’inaugurazione, collaborando a una grande installazione pregna di significati condivisi. Significati crudi – come cruda è la terra che ricopre e contiene tutta l’opera – che parlano di modernità, di masse, di solitudine. E ovviamente di guerra. È una riflessione critica sulle città contemporanee: luoghi di progresso, di miti dello sviluppo, accompagnati da un effettivo isolamento pur nel mezzo delle piazze affollate. Città che cambiano, mutano, e nella loro trasformazione sottintendono grandi contraddizioni. Ricchezza, e povertà. Grandi lussi e costruzioni avveniristiche, contrapposti ai conflitti che dilaniano il popolo e tranciano a pezzi le famiglie. È questa la realtà che i Brodsky intendono raccontare. Una realtà che certamente connota la Russia di oggi, ma che è universalmente condivisibile. Anche la stessa Milano, nel suo fermento costruttivo di metropoli che cresce, non nasconde disuguaglianze e problematiche sociali che si intensificano accanto alle nuove costruzioni. 

Tutti questi messaggi sono espressi in mostra nelle stampe di Sasha, ma soprattutto nella grande scultura site-specific appena accennata. Consiste in un parallelepipedo disteso, collocato a mezz’aria: un involucro di terra cruda grigia, che racchiude una città. La si intravvede dai fori praticati sulla superficie. Il luogo preciso vuole restare indefinito: vi sono tre obelischi, una grande fontana, e diversi monumenti multiformi. È una grandissima piazza, brulicante di costruzioni ma soprattutto di gente. Colpisce infatti quella folla fatta di tanti minuscoli corpi, simili a pezzi degli scacchi – forse un cenno alla Russia, ove questa disciplina è di casa. Tutti vicini, ma separati tra loro. Isolati nella solitudine propria di qualunque folla cittadina. 

Emma Sedini 

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Emma Sedini

Emma Sedini

Etrusca e milanese d'origine in parti uguali, vive e lavora tra Milano e Perugia. È laureata in economia e management per arte, cultura e comunicazione all'Università Bocconi, e lì frequenta tutt'ora il MS in Art Management. Nel frattempo, lavora in…

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