Fantasmagorie dell’alterità. Una grande mostra di Pierre Huyghe a Venezia 

Umano, non umano, materia organica e intelligenza artificiale si intrecciano in una mostra, quella di Pierre Huyghe a Punta della Dogana, che promette di mettere in crisi i punti saldi della nostra stessa natura

Chi s’appresta ad entrare a Punta della Dogana a Venezia non è “ogne speranza” a dover lasciare, bensì ogni certezza. La catabasi orchestrata da Pierre Huyghe (Parigi, 1962) ci invita, più che a vagare in una fatale e ultraterrena dimensione, a immergerci in un abissale luogo di passaggio: un interstizio di futuro in cui l’umano è compreso e al tempo stesso negato, per fare spazio a tutto quello che umano non è. 

Pierre Huyghe, Untitled (Human Mask), 2014. Pinault Collection Courtesy of the artist; Hauser & Wirth, London; Anna Lena Films, Paris © Pierre Huyghe, by SIAE 2023
Pierre Huyghe, Untitled (Human Mask), 2014. Pinault Collection Courtesy of the artist; Hauser & Wirth, London; Anna Lena Films, Paris © Pierre Huyghe, by SIAE 2023

La mostra di Pierre Huyghe a Punta della Dogana 

L’esposizione, nata dalla collaborazione tra Huyghe e la curatrice Anne Stenne, si rivela quindi una condizione transitoria e complessa, in cui le tematiche care all’artista si intrecciano in sottili giochi di rimandi. Ad accogliere il visitatore, un primo livello di crisi: l’invadente oscurità che avvolge gli spazi di Punta della Dogana. Affrontarla significa innanzitutto mettere in discussione l’affidamento sulla nostra percezione, attraversando una soglia che conduce all’estroflessione del sé. Predisporsi alla ventura delle tenebre è il primo passo per esperire una mostra che si presenta come un organismo vivente e mutevole. Molte delle opere presenti sono dotate di una continua e imprevedibile evoluzione, guidata dalla rilevazione di impulsi da parte di sensori disposti nello spazio espositivo e alla loro rielaborazione in tempo reale attraverso sistemi di intelligenza artificiale: è questa contingenza a determinare il montaggio del video Camata – in cui un gruppo di macchine paiono compiere un rituale su uno scheletro umano nel deserto cileno di Atacama – o a modificare i colori e i suoni della vaporosa installazione Offspring. Allo stesso modo, le luci degli acquari che compongono Circadian Dilemma (El Dia del Ojo) – contenenti le due varianti (cieca e vedente) dei pesci Astyanax Mexicanus – si spengono e si accendono in base all’ambiente circostante. Al centro dell’interesse di Huyghe vi è dunque la possibilità di innescare processi che, partendo da condizioni precostituite, si evolvano indipendentemente, accogliendo le variazioni determinate dal caso e dall’ambiente come parte dell’opera stessa.  

Pierre Huyghe, Liminal (temporary title), 2024 – ongoing. Courtesy the artist and Galerie Chantal Crousel, Marian Goodman Gallery, Hauser & Wirth, Esther Schipper, and TARO NASU © Pierre Huyghe, by SIAE 2023
Pierre Huyghe, Liminal (temporary title), 2024 – ongoing. Courtesy the artist and Galerie Chantal Crousel, Marian Goodman Gallery, Hauser & Wirth, Esther Schipper, and TARO NASU © Pierre Huyghe, by SIAE 2023

Oltre l’umano 

Prendendo in considerazione agentività umane, animali e artificiali, la mostra di Huyghe si configura come un’entità ibrida, una chimera le cui parti riecheggiano l’una nell’altra, replicandosi o ribaltandosi costantemente. Se in Idiom i performer si aggirano nelle tenebre con il volto nascosto da una maschera dorata e luminescente, che produce i fonemi di una lingua inventata in tempo reale, la protagonista del video-simulazione Liminal (opera che dà il titolo alla mostra) vaga nuda in una landa para-lunare, dello stesso colore della sua pelle: al posto del suo viso, una cavità che si apre su un cranio vacante, oscuro, che accoglie e inghiotte la fioca luce esterna. Tramite l’elisione del volto, ovvero di ciò che più di ogni altra cosa incarna l’espressività umana, il corpo si rivela nella banalità dell’assemblaggio delle sue membra, privato della sua facoltà di esprimere i propri turbamenti e dunque di generare empatia. Parallelamente, in altre opere le fattezze umane vengono abitate da menti e fisicità non umane: è il caso del granchio eremita dell’acquario Zoodram 6, che vive all’interno della riproduzione della scultura Musa dormiente di Constantin Brâncuși, raffigurante appunto un volto femminile. Forse quello assente in Liminal. Ma soprattutto è il caso di uno dei video più curiosi della mostra: in Human Mask, in cui una scimmia si aggira nei locali vuoti di un ristorante di Fukushima, indossando una maschera umana e una parrucca. Il disturbo generato dall’incontro del maldestro travestimento e i gesti umani (come quello di passarsi i capelli tra le dita) è il veicolo di riflessioni sulle problematiche dell’umanizzazione del non umano, soprattutto alla luce del fatto che il video è ispirato a un episodio analogo a cui l’artista ha realmente assistito. 

Pierre Huyghe, De-Extinction, 2014, Pinault Collection. Courtesy of the artist; Anna Lena Films, Paris © Pierre Huyghe, by SIAE 2023
Pierre Huyghe, De-Extinction, 2014, Pinault Collection. Courtesy of the artist; Anna Lena Films, Paris © Pierre Huyghe, by SIAE 2023

Nascita, morte e rinascita nelle opere di Pierre Huyghe a Venezia 

Quella di Pierre Huyghe a Punta della Dogana è un’esposizione stratificata come poche altre, fatta di cornici e nervature che dal particolare sfociano nell’esistenziale senza soluzioni di continuità. Perché se questa mostra parla di vita, parla anche necessariamente di nascita, sesso e morte: punti collegati l’uno all’altro non da una linea retta, bensì da una linea curva e, per la precisione circolare. Al principio e al termine della mostra sono esposti rispettivamente il calco di un ventre gravido in basalto e una coltura di cellule tumorali umane: nonostante la loro estrema carica mortifera, tuttavia, le variazioni della loro velocità di riproduzione risultano nella generazione di un video morphing, dal quale Huyghe ha poi modellato una creatura biomorfa. La continuità fra morte e nascita è sottolineata dalla possibilità, una volta conclusa la visita, di ricominciarla attraversando il varco che separa il principio e la fine della mostra; ma è oltremodo racchiusa in un video (De-extinction, 2014) che sembra perfettamente spiegare la locuzione francese che battezza l’orgasmo “petite mort: una sequenza di riprese realizzate con telecamere macroscopiche e microscopiche rivela, all’interno di una pietra d’ambra, l’amplesso di due insetti preistorici, vissuti un milione di anni fa e cristallizzati per sempre nel momento in cui i loro addomi si incontrano. Per una mostra che sembra indagare il futuro, lo sguardo così ravvicinato ad un passato tanto lontano non può che sottolineare una condizione del vivente (e non solo) libera da ogni cronotopia, e dunque inevitabilmente ancorata a un eterno presente. 

Intervista alla curatrice Anne Stenne 

Alla base della mostra vi è una stretta collaborazione tra te e l’artista: in che modo si è articolata? 
Per me il concetto di curatela è molto vicino a quello di produzione per un artista come Huyghe. Con questa prospettiva, negli ultimi dieci anni ho lavorato con lui in quasi tutti i suoi progetti, a partire dal concepimento delle opere, passando dal coinvolgimento di tutte quelle professionalità che ne permettono l’esistenza (architetti, scienziati, biologi, giardinieri, ecc.), fino ad arrivare all’esposizione: per Huyghe è difficile immaginare l’opera senza considerare il contesto espositivo. Le mostre che abbiamo organizzato, così come quella a Punta della Dogana, non sono mai una mera raccolta di opere, ma un milieu, un ambiente che evolve nel corso del tempo.  

Una caratteristica importante della mostra è la sua capacità di modificarsi in base a stimoli interni ed esterni riprocessati dall’intelligenza artificiale. Possiamo quindi parlare di una co-autorialità tra artista, macchina e ambiente?  
Credo che quello che Pierre intenda fare è porre i presupposti per la formazione di una volontà, esplorando le condizioni di possibilità e impossibilità dell’umano. Nel catalogo della mostra, il filosofo francese Tristan Garcia si riferisce a Pierre Huyghe come a un “involontario inventore di volontà”: l’incertezza è la condizione dell’evoluzione delle sue creazioni e della loro esistenza autonoma, così come della decentralizzazione dell’idea del sé. Si viene dunque a creare una dimensione esterna dalla quale è la creatura a guardare il suo creatore, e non solo il contrario. Non parlerei di co-autorialità, ma di co-esistenza e sviluppo autonomo a partire da condizioni predeterminate.  

Qual è stata la sfida maggiore nella realizzazione della mostra a Punta della Dogana? 
Negli ultimi anni Pierre ha lavorato su tanti progetti site specific. In questo, la sfida era portare il suo lavoro all’interno di un edificio con delle caratteristiche specifiche e poco modificabili (non potevamo, per esempio, scavare nel pavimento o aprire il soffitto, com’è successo in altri contesti). Tuttavia, tali restrizioni ci sono apparse come opportunità per sfidare il suo solito processo creativo e lavorativo, e quindi come occasioni di crescita. 

Pierre Huyghe, Camata, 2024, Courtesy the artist and Galerie Chantal Crousel, Marian Goodman Gallery, Hauser & Wirth, Esther Schipper, and TARO NASU © Pierre Huyghe, by SIAE 2023
Pierre Huyghe, Camata, 2024, Courtesy the artist and Galerie Chantal Crousel, Marian Goodman Gallery, Hauser & Wirth, Esther Schipper, and TARO NASU © Pierre Huyghe, by SIAE 2023

Il panorama teorico e speculativo legato al postumanesimo oggi è guidato dalle posizioni (talvolta contrastanti) di pensatrici e pensatori come Donna Haraway, Rosi Braidotti e Nick Bostrom, tra gli altri. In che modo la pratica di Huyghe si inserisce in questo contesto? 
Le tematiche dell’umano, del non umano e del postumano sono molto presenti nella pratica di Huyghe sin dal suo principio. Certamente la forma in cui queste tematiche si offrono muta e si evolve, ma la questione della decentralizzazione del sé rimane capitale e accomuna il lavoro di Huyghe alle ricerche dei filosofi che hai citato, ma anche a quelle di Federico Campagna e Reza Negarestani, in particolare per quanto riguarda il ruolo presente e futuro delle rovine. In passato ha esplorato soprattutto la questione della contingenza dell’accidentale nella materia vivente, mentre ora lavora anche con aspetti tecnologici per i quali, tuttavia, Huyghe non ha particolare fascinazione: nella sua prospettiva, l’intelligenza artificiale e le nuove tecnologie che adopera sono strumenti di narrazione, che aiutano a creare situazioni qui nous échappe, che sfuggono al nostro controllo. Credo che, al di là delle dimensioni filosofiche, sia la narrazione poetica e speculativa a costituire il fulcro della pratica di Pierre Huyghe. 

In che misura possiamo parlare di fantascienza per quanto riguarda il lavoro di Huyghe? 
Certamente la fantascienza è un’importante fonte d’ispirazione per narrazioni, come quella di Huyghe, che indagano le dimensioni dell’impossibile. L’oscurità in questo senso è centrale, in quanto elemento che pratica una distorsione spaziotemporale, come un ponte che unisce opere che si estendono dall’archeologia alle ipotesi di futuro; una distanza che è essenzialmente mediata dal racconto.  

Alberto Villa 

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Alberto Villa

Alberto Villa

Nato in provincia di Milano sul finire del 2000, si occupa di critica e curatela d'arte contemporanea. Si laurea in Economia e Management per l'Arte all'Università Bocconi con una tesi sulle produzioni in vetro di Josef Albers e attualmente frequenta…

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