La Biennale di Pedrosa è un atto di coraggio (sì, ma non sufficiente)
Finché dura questo stato di energia veneziana capace di attirare investitori internazionali, la Biennale offre sempre un piatto ricco anche quando il curatore designato pare avere vissuto una crisi di identità
La Biennale perde il dominio di se stessa e lo cede alle iniziative collaterali. Come il Salone del Mobile di Milano, ormai risulta almeno altrettanto importante ciò che sta dentro i muri istituzionali e ciò che spunta, in una disseminazione di eventi, fuori di quelli. Capita in realtà da numerose edizioni, ma quest’anno, data la debolezza della mostra centrale, che si è proposta come luogo di ricerca con pochi momenti spettacolari e un ritmo quasi elementare, tutto ciò che le sta al di fuori ha finito per prendere il sopravvento. Parliamo dei padiglioni, ovviamente, la cui mancata abolizione tutte le volte che sono parsi obsoleti è una benedizione: consente il pluralismo delle visioni curatoriali, ci lascia vedere mostre provocatorie (come quest’anno nel caso del Kosovo) oppure tradizionali ma ben fatte (come la Francia) oppure sperimentali (Polonia e il Vaticano, che finalmente sceglie un luogo di sofferenza come il Carcere femminile alla Giudecca).
Le mostre collaterali alla Biennale
Ma è interessante anche il resto, cioè le mostre che si accalcano in città, belle o brutte o mediocri, comunque capaci di restituire il polso della situazione in un mondo dell’arte tuttifrutti. C’è il finto underground, come quello visto da Combo grazie a Kuborhaum, c’è il sottoterra vero, come le mostre organizzate nelle case degli studenti, c’è la stazione ormai classica di Ocean Space che si ricorda dello stato del pianeta.
I grandi nomi della committenza gareggiano tra di loro ed ecco che troviamo il palazzo nobiliare Diedo colonizzato da Berggruen, con opere di sicuro impatto come i Sugimoto colorati, installazioni di Urs Fischer, un Carsten Hoeller ancora in preparazione e molte opere del Premio Imperiale Lee Ufan.
In una sede vicina all’Arsenale ha deciso di intervenire Beatrice Bulgari, con un progetto Nebula della serie In Between Art Film. Il direttore Alessandro Rabottini e i suoi collaboratori hanno allestito una mostra di video senza sbavature, dove trovano una collocazione dignitosa anche gli italiani Giorgio Andreotta Calò e Diego Marcon.
Reginetta per precisione, sfarzo e immersività è la personale di Pierre Huyghe a Punta della Dogana, parte del regno di Pinault. Naturalmente alcune sedi pubbliche espongono buone idee, come le Gallerie dell’Accademia con un rapporto tra Willem de Kooning e l’Italia, anche se francamente ci si poteva aspettare di più sia da altre sedi dei musei comunali sia dalla Fondazione Prada. Ma da vedere resta ancora moltissimo.
Sulla Biennale di Pedrosa
La morale è che, finché dura questo stato di energia veneziana capace di attirare investitori internazionali, la Biennale offre sempre un piatto ricco anche quando il curatore designato pare avere vissuto una crisi di identità. A suo favore si può solo dire che una rassegna come quella che Adriano Pedrosa ha voluto montare, con la maggioranza degli artisti che appaiono per la prima volta in una mostra internazionale, spesso non hanno galleria alle spalle e non sono di richiamo per gli sponsor, non poteva che risultare sottotono: il budget raccolto non deve essere stato altissimo. Un atto di coraggio, questo fuggire da nomi prevedibili e vendibili, che però non consola dell’eccesso di opere etnografiche, documentarie, a volte al limite della manifattura iperlocale di arazzi, ricamini e ricordini.
Ma è la massa di esposizioni tra cui scegliere che, ancora una volta, rende la visita a Venezia un must.
Speriamo che anche stavolta almeno una delle fondazioni arrivate in laguna decida di rimanerci e di ingrossare le fila di un unico, grande museo diffuso. È vero che non può alimentarlo la popolazione cittadina, scesa attorno ai 50.000 abitanti, ma potrebbe riuscirci il gigantesco flusso annuale di turisti; se solo questi templi un po’ posh del contemporaneo sapessero comunicarsi in modo continuativo, e non solo con feste a gin tonic libero nei giorni delle inaugurazioni.
Angela Vettese
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