Musica: la clubculture rinasce a Reggio Emilia col Microclub
Metti un circolo arci, un microambiente, e un team di giovani volenterosi e capaci coordinati da creativi di alto spessore culturale, che intendono stimolare un dialogo intergenerazionale sui linguaggi musicali delle sub culture. La storia di Microclub
È possibile unire clubbing e cultura? A Reggio Emilia, culla della clubculture emiliana grazie allo storico gruppo di creativi Maffia – illicit music club, è nato con successo a gennaio il Microclub, appuntamento mensile all’interno del circolo Arci Tunnel, che nel Manifesto recita: “Crediamo fermamente che sia ora di creare una nuova comunità, che riunisca sotto lo stesso tetto gli echi del passato, le forze del presente e i progetti rivolti al futuro, vogliamo mettere in connessione immaginari e progettualità differenti per stimolare una nuova visione, ispirata dalla musica e dalle contaminazioni”. Talk e night party con dj set e approfondimenti dalle 21.30 fino alle 4 di mattina, per un format mensile che unisce la cultura musicale ai generi della subculture e del clubbing. Il talk di febbraio nello specifico ha riportato alla luce gli antichi fasti (e i flyer stilosi) del celebre locale Arci Maffia, i cui fondatori intervistati – Federico Amico, Letizia Rustichelli, Paolo Davoli, Gabriele Fantuzzi, Luca Roccatagliati alias dj Rocca – assieme ad altri si sono inventati qualcosa che non c’era, creando una storia molto importante per il territorio reggiano.
Il programma di Microclub
This is not the Hand. Dal Maffia al clubbing il titolo del talk, che fa riferimento al logo con la mano preso dal gruppo spagnolo dei Manonegra e ad un nome deciso in una semplice serata tra amici coraggiosi. Il bianco, il rosso e il nero riprendono il costruttivismo storico per un marchio che ha cambiato forma negli anni. Il maffiario diviene allora un bestiario immaginario, che fa il verso al mostruoso e grottesco Godzilla e ai flim giapponesi trash proiettati nel circolo assieme a quelli visionari di Russ Meyer. “Dalla fine degli Anni Ottanta in avanti volevamo essere una minoranza rumorosa” recitano i “ragazzi” di allora nel Kom Fut Manifesto, che si sposa ad una radio, Antenna1 Rock station, protagonista della scena underground. Un’esperienza di gruppo avanguardista e di multidisciplinarietà che univa le competenze di una pluralità di persone visionarie, oltre ad essere un collettivo di orientamento comunista. Dalla prima stagione con artisti emergenti reclutati con l’aiuto di un negozio di dischi londinese, Atlas, fino ai Chemical Brothers e ai Prodigy. E poi i dj come Fatboy Slim e Howie B. grazie al quale al Maffia si aprono le porte per dj internazionali. “Il Maffia aveva un’energia incredibile”, ricorda Letizia Rustichelli. “C’era voglia di fare e un’affinità telepatica da compagni di strada. Ci interessava non solo il consumo ma anche stimolare e incuriosire”. L’appuntamento di marzo è stato invece dedicato ad Andrea Benedetti, che con la riedizione del libro Mondo Techno, uscito per la prima volta nel 2006, ha raccontato le origini della musica techno a Detroit e la sua diffusione in tutto il mondo e in Italia, mentre ad aprile si è parlato di progetti legati alla fotografia, alla regia e a studi, club e disco berlinesi e non, per terminare a maggio con l’ultima data della stagione in via di definizione.
La storia della musica a Reggio Emilia
Nel libro di Benedetti, la città dei motori diviene ben presto la culla di una protesta che porta una nuova visione, la techno city dei proletari. La svolta epocale arriva con l’inserimento delle drum machine, che lancia la democrazia dei suoni con l’utilizzo dei timbri, momento in cui molti diventano dj e producers. Dal 1990 la scena techno si sposta a Londra modificando il suono e nel Vecchio Continente viene sdoganato il genere con la Tresor, che sarà una delle etichette di riferimento della techno europea. A conclusione del testo, un focus sull’Italia coi primi rave dell’89 nella scena techno romana, che intende essere originale e fuori dagli schemi generando un vero scossone “come il punk a Londra”. E la techno di Napoli che negli Anni Novanta smuove la città partenopea con la nascita di etichette discografiche e serate one night, fino all’organizzazione dei primi festival. “Music that sounds like technology” affermava Juan Atkins da Detroit per definire un sound passato alla storia.
Francesca Baboni
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