Si chiama Soap Culture il nuovo spazio artistico di Venezia dedicato alla cultura del sapone. La prima mostra

SOAP CULTURE, che ha inaugurato durante i giorni di preapertura della Biennale a Palazzo Zon, è tutto dedicato al sapone e alla “capacità trasformativa” del sapone. A cominciare dalla prima mostra collettiva in 10 stanze 


Nella giungla inestricabile di nuovi spazi sorti a Venezia nelle ultime settimane, impossibile non citare SOAP CULTURE a Palazzo Zon, realtà indipendente promossa da Murmur, duo composto dal famoso naso Barnabé Fillion e dall’artista Sofia Elias. Inaugurato nei giorni di pre-apertura della Biennale Arte 2024 in Calle Zon, nel sestiere di Castello, lo spazio permanente si propone come “piattaforma per l’indagine, la ricerca e l’espressione” e sarà destinato a mostre, residenze per artisti e iniziative culturali, tutte caratterizzate da un approccio sinestetico, cioè che metta al centro l’associazione di sfere sensoriali diverse (concetto già al centro dell‘Istituto Arpa di Fillion). Come si intuisce dal nome dell’associazione, al centro del progetto c’è la subcultura del sapone, evocato come simbolo di trasformazione.

La prima mostra da SOAP CULTURE a Venezia

La cultura del sapone è una tensione superficiale di bolle, senza alcuna previsione del suo scoppio, una fragile piattaforma multimediale liquida e spontanea, senza forma statica, che contiene le nostre riflessioni, trasmette trasferimenti”, si legge nel manifesto programmatico di SOAP CULTURE, anticipato da alcuni poster affissi in Laguna e circolanti su Instagram.

La mostra d’inaugurazione, aperta fino al 15 giugno 2024, è giustamente intonata al mood dello spazio, già studio dell’architetto Paolo Piva e della sua famiglia. Lavati la bocca con il sapone – ironica evocazione del modo di dire in reazione a qualcosa di inappropriato o offensivo – presenta, in dieci stanze, le opere di artiste e artisti più o meno famosi: sono Manuel Alvarez Bravo, Miroslaw Balka, Etienne Chambaud, Phil Collins, Mimosa Echard, Dominique Gonzalez-Foerster, Mona Hatoum, Thembinkosi Hlatswayo, Thomas Mailaender, Murmur, Gabriel Orozco, Max Piva, Teodoro Teadora, Wolfgang Tillmans, Rare Books, Namacheko e Lowjack. Artiste e artisti trasmettono, sempre attraverso la metafora del sapone, “attimi e oggetti confinati nella sfera dell’intimità, luoghi destinati alla privacy, sensazioni e oggetti che appartengono a tutti ma che allo stesso tempo restano fuori dalla sfera pubblica, invitando a riflettere sulla loro natura trasformativa”. Una collettiva, quindi, che esplora le diverse declinazioni del tema – con un’attenzione particolare alle opere multidisciplinari come installazioni, performance e paesaggi sonori – e comunica la fluidità che è propria dell’elemento di riferimento, “soft with water, hard without”.

Giulia Giaume

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Giulia Giaume

Giulia Giaume

Amante della cultura in ogni sua forma, è divoratrice di libri, spettacoli, mostre e balletti. Laureata in Lettere Moderne, con una tesi sul Furioso, e in Scienze Storiche, indirizzo di Storia Contemporanea, ha frequentato l'VIII edizione del master di giornalismo…

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