“Sarebbe importante se le varie pratiche artistiche potessero costituirsi ovunque come una sorta di ‘rete di città rifugio’, collaborando per liberare il mondo da antinomie insensate e ormai svuotate, ma che cercano di prendere il sopravvento, nel razzismo, nella xenofobia, nella disuguaglianza, nello squilibrio ecologico e dell’aporofobia, questo terribile neologismo che significa fobia dei poveri’”. Sembrano le parole di un curatore o di un ricercatore quelle pronunciate da Papa Francesco nella sua visita alla Biennale Arte 2024.
Papa Francesco alla Biennale Arte 2024
È iniziato alle sei e mezza del mattino il viaggio di Papa Francesco dal Vaticano a Venezia – il primo di un pontefice in occasione della Biennale -, con arrivo via elicottero nel piazzale della Casa di Reclusione femminile all’isola della Giudecca dove è ospitato il Padiglione del Vaticano. Qui ha tenuto il suo discorso, con una esplicita richiesta di aiuto agli artisti: “Dietro a queste antinomie c’è sempre il rifiuto dell’altro. C’è l’egoismo che ci fa funzionare come isole solitarie invece che come arcipelaghi collaborativi. Vi imploro, amici artisti, immaginate città che ancora non esistono sulla carta geografica: città in cui nessun essere umano è considerato un estraneo. È per questo che quando diciamo ‘stranieri ovunque’, stiamo proponendo ‘fratelli ovunque’”. Non è la prima volta che il papa si rivolge agli artisti, a cui già lo scorso giugno si era appellato in una richiesta di attenzione rivolta, ancora una volta, ai poveri (ne avevamo parlato qui).
Papa Francesco, le artiste e l’arte contemporanea
Il pontefice ha anche toccato il delicato e controverso tema del mercato dell’arte, chiedendo agli artisti, radunatisi nella chiesa della Maddalena alla Giudecca, di “distinguere chiaramente l’arte dal mercato […] il mercato promuove e canonizza, ma c’è sempre il rischio che vampirizzi la creatività, rubi l’innocenza e, infine, istruisca freddamente sul da farsi”.
Il papa ha aggiunto che “è vero che nessuno ha il monopolio del dolore umano. Ma ci sono una gioia e una sofferenza che si uniscono nel femminile in una forma unica e di cui dobbiamo metterci in ascolto, perché hanno qualcosa di importante da insegnarci”. “Penso ad artiste come Frida Khalo, Corita Kent o Louise Bourgeois e tante altre. Mi auguro con tutto il cuore che l’arte contemporanea possa aprire il nostro sguardo, aiutandoci a valorizzare adeguatamente il contributo delle donne, come coprotagoniste dell’avventura umana”. Dopo aver visitato il padiglione, il pontefice ha parlato con i giovani. “Dio sa che, oltre a essere belli, siamo fragili, e le due cose vanno insieme: un po’ come Venezia, che è splendida e delicata al tempo stesso“, ha aggiunto. Dopo aver parlato con le detenute e i giovani giunti a Venezia per l’occasione, il papa terrò con una messa solenne in piazza San Marco (10 mila i biglietti distribuiti dalle parrocchie, ma la folla attesa è ben maggiore).
Il commento del presidente della Biennale Pietrangelo Buttafuoco
“Il titolo della 60. Esposizione Internazionale d’Arte è Stranieri Ovunque, e mi ha colpito come il Santo Padre, oggi all’interno del carcere, abbia evocato un concetto che è parallelo a questa semina dell’odio che ci affligge. Così come esiste la xenofobia, ovvero la paura dello straniero, esiste qualcosa di diverso e di più profondo che è la paura della povertà. Ci siamo sforzati di capire come questa povertà, che l’altro Francesco ad Assisi aveva elevato a Madonna, sia diventata invece nel nostro orizzonte contemporaneo una sorta di continuo rancore, dettato anche dal consumismo, da un’impostazione della vita fugace“, ha commentato il presidente della Biennale Pietrangelo Buttafuoco a margine della visita. “Dimentichiamo invece il sentimento primo del nostro incontro verso l’altro. Noi incontriamo l’altro perché, poveri dentro di noi, vogliamo riempire noi stessi dell’altro con l’incontro e il dialogo”.
“Con i miei occhi è un titolo, quello del Padiglione della Santa Sede, che, al pari di Stranieri Ovunque, ci indica l’esatta lente attraverso cui guardare lo straniero per eccellenza, ovvero noi stessi“, ha aggiunto. “Carcere, malattia e calamità sono tre elementi che sono stati evocati. Dalle calamità si vede il coraggio della ricostruzione. Dalla malattia ne consegue la ricerca. Dal carcere, ed è un interrogativo, cosa emerge? Con Franco Basaglia la nostra civiltà ci ha liberato dai manicomi. La nostra civiltà giuridica deve ora condurci a cancellare il carcere. L’arte lo fa con un atto di poesia”.
Giulia Giaume
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