Uscire fuori dal quadro, arte come partecipazione. Una riflessione a partire da Ambienti al Maxxi

Dopo l’eccellente prima prova che porta lo spettatore dentro la pratica di 18 artiste internazionali, la sfida per il Museo potrebbe stare nel chiedere a giovani artisti italiani di cimentarsi con il concetto di ambiente

Un sabato pomeriggio al Maxxi, per vedere la nuova mostra Ambienti 1956-2010. Enviroments by Women Artists, curata da Andrea Lissoni, Marina Paglieri Francesco Stocchi. Una folla di giovani coppie, file di passeggini, bambini che scorrazzano felici, seminando piume bianche ovunque e lanciando grida di stupore e felicità, mentre si infilano tra gli ambienti in nylon dai colori dell’arcobaleno dell’opera Spectral passage (1975) di Aleksandra Kasuba o tra i gonfiabili dell’installazione di Lea Lublin Penetración-Expulsión (del Fluvio Subtunal) (1970), o si rilassano sdraiati davanti alla spettacolare video installazione di Pipilotti Rist Sip My Ocean (1996). Dagli spazi esterni all’intero primo piano del museo, la prima mostra proposta dal direttore Francesco Stocchi trasforma completamente la percezione dell’architettura di Zaha Hadid, inserita in maniera assai appropriata tra le 18 installazioni, tutte progettate da artiste internazionali tra il 1956 e il 2010. 

La mostra Ambienti al Maxxi

Una mostra esperienziale che collega idealmente l’attitudine di molta arte contemporanea attuale con la volontà di “uscire fuori dal quadro” che investì la scena artistica alla fine degli anni Sessanta, introdotta da un breve testo proposto ai visitatori come “un invito a partecipare”. E in effetti la partecipazione è totale, intergenerazionale e soprattutto gioiosa, tanto da indurre una riflessione su un possibile cambio di rotta per garantire un futuro migliore ai musei italiani di arte contemporanea. Oggi il pubblico generico è ancora interessato alla mera contemplazione di opere d’arte all’interno di mostre concepite spesso da curatori esclusivamente per gli addetti ai lavori, gli unici in grado di comprendere i riferimenti necessari per leggerle e interpretarle in maniera corretta? Dopo gli anni di pandemia, la componente di partecipazione diretta alle proposte espositive museali sembra essere diventata quasi necessaria alla fruizione dell’arte di oggi. Come? Attraverso nuove forme di narrazione e allestimento, intercettate di recente non solo da alcune istituzioni museali più attente-come il Maxxi- ma anche all’interno delle grandi rassegne internazionali come l’ultima Biennale di Venezia, dove la Santa Sede ha proposto quest’anno Con i miei occhi, un padiglione in forma esperienziale all’interno della casa di reclusione femminile della Giudecca. 

Marta Minujin, ¡Revuélquese y viva!, 1964 – 2003. Photo Cinzia Capparelli
Marta Minujin, ¡Revuélquese y viva!, 1964 – 2003. Photo Cinzia Capparelli

Partecipazione: il padiglione del Vaticano a Venezia

Una situazione radicalmente diversa dalle uniche due edizioni precedenti, curate dal cardinal Ravasi e ospitate all’Arsenale: In Principio – Studio Azzurro, Joseph Koudelka e Lawrence Carroll – nel 2013 seguita da In Principio… la parola si fece carne– Monika Bravo, Elpida Hadzi-Vasileva e Mário Macilau- nel 2015. Location, display e artisti lontani anni luce dal padiglione attuale, annoverato tra i più coinvolgenti dell’intera Biennale. Tornando al Maxxi, anche nel passato del museo ci sono state alcune mostre a vocazione immersiva, come La Strada. Dove si crea il mondo (2018)curata da Hou Hanrou con 140 opere realizzate da 200 artisti, oltre alla memorabile inaugurazione del museo con Dialogue 9-Maxxi (2009), che vide la coreografa Sasha Waltz interpretare con una mostra in movimento i diversi spazi del museo, realizzata in collaborazione con Romaeuropa Festival, Ma con la mostra Ambienti – corredata da un eccellente catalogo, ricco di contributi scientifici ed edito da Quodlibet – si è andati oltre, interpretando con le opere gli ambienti del museo senza stravolgerli o annullarli con allestimenti complessi, bensì assecondandone la vocazione fluida e immersiva, senza per questo trasformare l’esposizione  in uno semplice luna park popolare,  ma rendendola viva ed accogliente per lo spettatore, come ha sottolineato Stocchi. Non a caso il pubblico, invitato a togliersi le scarpe per entrare in un luogo non austero ed auratico bensì  intimo e domestico, sembra preferire le opere a carattere più spiccatamente immersivo, comeFeather room (1966-2023) di Judy Chicago – un ambiente riempito per mezzo metro di piume bianche d’anatra cruelty-free– o  A casa è o corpo (1968) di Lygia Clark, concepita come un percorso sensoriale legato all’idea di rivivere l’esperienza del concepimento e della  nascita, senza dimenticare  Ambiente spaziale :“Utopie” (1964) di Lucio FontanaNanda Vigo, esposto alla XIII Triennale di Milano: un “corridoio rosso” dove il visitatore può rilassarsi, avvolto in un soffice spazio onirico. 

aleksandra kasuba a spectral passage 1975 2023 photo cinzia capparelli scaled Uscire fuori dal quadro, arte come partecipazione. Una riflessione a partire da Ambienti al Maxxi
Aleksandra Kasuba, A Spectral Passage, 1975 – 2023. Photo Cinzia Capparelli

Gli Ambienti secondo i giovani artisti

Dopo questa ottima premessa, sarebbe interessante per il museo proseguire chiedendo  a 18 artisti italiani delle ultime generazioni – presentati  da altrettanti curatori-  di progettare ambienti site specific per il Maxxi, in  modo da proseguire una tradizione inaugurata da una mostra che proietta il passato nel presente, sul modello di Rifrazioni, la collettiva con 15 artisti  che hanno presentato le loro opere in tutti gli ambienti dell’Accademia di San Luca a Roma, istituzione ben più paludata del Maxxi. La seconda tappa di Ambienti potrebbe partire dal presente verso il futuro, offrendo così ai nostri artisti emergenti l’opportunità di confrontarsi con le sale del Maxxi, che Zaha Hadid aveva opportunamente definito come un’”agorà”. Quale funzione migliore per il museo dell’arte del XXI secolo di far crescere le nuove generazioni di artisti italiani? Potrebbe essere un’opportunità da cogliere per un’istituzione di grande fama e prestigio, in passato troppo poco attento alle realtà italiane emergenti. 

Ludovico Pratesi 

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Ludovico Pratesi

Ludovico Pratesi

Curatore e critico d'arte. Dal 2001 al 2017 è stato Direttore artistico del Centro Arti Visive Pescheria di Pesaro Direttore della Fondazione Guastalla per l'arte contemporanea. Direttore artistico dell’associazione Giovani Collezionisti. Professore di Didattica dell’arte all’Università IULM di Milano Direttore…

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