Fantastic Machine: Elio Germano racconta al cinema la storia del video
“Fantastic Machine”, un documentario che attraversa la storia delle immagini in movimento per restituirci un ritratto della nostra società. Narrato dalla voce di Elio Germano, il film arriva al cinema, in Italia, il 9 maggio. Ecco il trailer
Dall’invenzione del cinema a oggi ne è stata fatta di strada dall’uomo per comprendere meglio la propria posizione nel mondo attraverso il medium del video. Una ricerca non sempre così facile e lineare che, tra avanzamenti tecnologici, cambi di mode, abitudini sociali e regole dettate dal mercato, ha fisiologicamente saputo descrivere il tempo nel quale ci si muove.
Ad analizzare con una certa ironia questo inevitabile processo “evolutivo” ci pensa oggi anche un nuovo documentario. Stiamo parlando di Fantstic Machine, un progetto ironico e a tratti grottesco che dal 9 maggio, distribuito da Teodora Film, rivelerà al pubblico il nostro attuale approccio a questo mezzo rivoluzionario sempre in continuo mutamento.
Di cosa parla “Fantastic Machine”
Diretto da Alex Danielson e Maximilien Van Aertryck, e prodotto da Ruben Östlund (pluripremiato regista di Triangle of Sadness e The Square), Fantastic Machine offre un excursus storico capace sia di far riflettere sulle capacità di questa tecnologia, sia di sviscerare tutti quei vezzi e quelle esigenze collettive che determinano i nostri comportamenti quotidiani di fronte a una videocamera.
Partendo dall’eredità delle prime sperimentazioni cronofotografiche fatte da Eadweard Muybridge (1830-1904) sulla cattura dei corpi in movimento, si arriva così all’era contemporanea: un’epoca di sovrastimolazione visiva fatta di ingombranti riprese televisive, di smartphone, di videocall e di “streammate” via webcam.
Da quanto si evince dal trailer il risultato è un ritratto buffo e non troppo rassicurante della nostra società, un racconto sarcastico accompagnato, nella versione italiana, dalla voce narrante di Elio Germano.
L’uomo nella macchina da presa
Da una pietra miliare quale Entr’acte (1924) di René Clair in poi, i concetti di schermo e di macchina da presa sono stati spesso al centro delle ricerche in campo cinematografico, usati tanto per rappresentare un momento di riflessione metafisica sulle potenzialità inaspettate del mezzo stesso (si pensi a capolavori quali L’uomo con la macchina da presa di Dziga Vertov, La Montagna Sacra di Alejandro Jodorowsky, 8 e ½ di Federico Fellini, o Strade Perdute di David Lynch) quanto come feticci necessari per appagare il nostro costante bisogno di attenzioni (Videocracy – Basta apparire di Erik Gandini, Reality di Matteo Garrone, Black Mirror, stagione 3).
In un modo o nell’altro, l’immagine in movimento è sempre stata utilizzata per rivelare i molteplici aspetti della nostra natura e delle nostre preoccupazioni, e se una volta si credeva che l’occhio fosse lo specchio dell’anima adesso sarebbe più opportuno parlare di lenti e schermi.
Valerio Veneruso
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