ri-Nascimento
L’idea di ri-NASCIMENTO, ben spiegata dalle parole della stessa curatrice, Marina Dacci,nasce dalla riflessione sulla parola arcaica ‘nascimento’ intesa come nascita che si innesta qui nello spirito del nostro tempo.
Comunicato stampa
Domenica 12 maggio la galleria ME Vannucci di Pistoia e Villa Rospigliosi a Prato, sede espositiva dell’associazione culturale ChorAsis, aprono al pubblico due mostre a cura di Marina Dacci. Pensate come un progetto unitario, le mostre esplorano l’idea di cambiamento nell’approccio con “l’altro da sé” (siano oggetti, natura e persone) e la tensione verso un’auspicabile rinascita che l’arte propone.
ri-NASCIMENTO (ME Vannucci, dal 12 maggio al 28 luglio) e ad naturam (Villa Rospigliosi, dal 12 maggio al 23 giugno) presentano il lavoro di 9 artisti italiani. Le opere di Bertozzi & Casoni, Elena Bellantoni, Chiara Bettazzi, Bianco-Valente, Serena Fineschi, Antonio Fiorentino, Cristina Gozzini, Silvia Listorti, Nazzarena Poli Maramotti saranno esposte nello spazio della galleria ME Vannucci, mentre Villa Rospigliosi presenterà un focus su Antonio Fiorentino con un corpo di sculture e cianotipie, come approfondimento del percorso proposto in galleria.
ri-NASCIMENTO
ME Vannucci, Pistoia
L’idea di ri-NASCIMENTO, ben spiegata dalle parole della stessa curatrice, Marina Dacci,nasce dalla riflessione sulla parola arcaica ‘nascimento’ intesa come nascita che si innesta qui nello spirito del nostro tempo. La scelta di proporre il progetto in Toscana - luogo che ha visto la fioritura del Rinascimento - non è casuale. La posizione e le tensioni dell’uomo sono completamente mutati, ma, nel contesto attuale, resta intatta la ricerca di nuova linfa e di nuove visioni per un concreto cambiamento.
Ognuno degli artisti invitati si misura sulla necessità di un rinnovamento dello sguardo, di una “rifioritura” di pensiero dopo un periodo di disorientamento, disordine e buio da cui ripartire per la costruzione di diversi equilibri.
Accade ripensando la relazione con gli oggetti del nostro quotidiano, con la natura e il paesaggio circostante fino a giungere ai rapporti umani: nascono di conseguenza anche nuovi vocabolari formali che danno vita alle loro opere. Non si tratta solo di ecosofia come abbattimento della dicotomia tra natura e cultura, ma della costruzione di uno sguardo e di un sentire che cercano una nuova origine. Un ri-NASCIMENTO capace di restituire un senso di illimité, puro, pieno di meraviglia che spesso assume risvolti spirituali.
Gli artisti in mostra si interrogano su come l’arte possa contribuire a ridefinire i limiti e a disegnare diverse potenzialità dell’uomo rispetto al contesto in cui si muove, a come si possano stimolare approcci alternativi verso ciò che ci circonda.
Tutte le opere esposte tendono a muovere e a ridefinire quell’energia che dal paesaggio transita al corpo e dal corpo alla natura e viceversa fino a toccare gli oggetti che ci circondano in un influenzamento reciproco.
Sono perciò un’orchestrazione di attitudini e di ricerche artistiche che si incontrano, si connettono e dialogano in modo fluido e aperto, convergendo su un elemento comune: la necessità di un ri-NASCIMENTO.
Il processo di identificazione con materiali naturali recuperati durante le sue “passeggiate immersive” nella terra natale caratterizza la ricerca di Antonio Fiorentino (Barletta, 1987). Negli ultimi due anni, anche grazie allo spostamento dello studio dell’artista in piena campagna pavese, prendono vita con questi materiali opere definibili come nuove anatomie dell’uomo/albero. Nelle due sculture Untitled in mostra, la sua ricerca formale amalgama elementi della natura a forme umane pensate come figure mitologiche primordiali.
Le opere di Nazzarena Poli Maramotti (Montecchio Emilia, 1987) nascono da un’apparente indistinta tensione a perdersi nel paesaggio in cui elementi come acqua, luce, terra solidificano e amalgamano stati d’animo. L’immagine, apparentemente indistinta si struttura per sovrapposizioni e in impasti di colori in tutte le temperature del sentimento della natura. Un sentimento spontaneo, originario che il gesto pittorico accompagna sulla tela (Metamorfosi III) e sulla carta (Sciogliersi / Sich schmelzen III) e, recentemente, nella ceramica con un approccio squisitamente pittorico (Uomo con la barba).
Serena Fineschi (Siena, 1973) crea nuovi orizzonti mentali partendo da sovvertimenti dello sguardo. Una sottile linea dell’orizzonte creata con matite colorate sul muro cattura la luce in ogni momento della giornata sfondando il concetto di limite dello sguardo: le radiazioni riflesse creano in modo fluido connessioni cromatiche tra cielo e terra. La luce, vibrando sul colore, emette onde sonore che rompono la rigidità lineare della composizione (Relazioni). Lo sguardo sorvola la terra e sfiora carte sovrapposte appoggiate a terra da cui emergono frammenti di pietra serena (Paesaggi). L’invito è a uno sguardo che conduca nella profondità del potere immaginativo.
L’opera Pensate domani è la fine del mondo nasce dalla suggestione per un piccolo frammento del film Nostalghia di Tarkovskij ed Elena Bellantoni (Vibo Valentia,1975) lo riprende e, con la collaborazione di un gruppo di giovani donne orchestra e realizza un video sulla scalinata del Vignola a Roma. L’immagine del corvo femmina viene riportato tridimensionalmente nella scultura che introduce al video. Il lavoro non è solo vaticinio di un’apocalisse finale, ma invita a ripensare in termini positivi ai valori della vita umana per ripartire. È un incipit o una chiusura ideale del percorso di mostra che snoda al suo interno varie modalità per attivare questa ripartenza, che l’artista mette in atto con due immagini fotografiche: la prima This is the end, scattata durante un viaggio in Patagonia, riprende parte di un ghiacciaio che si sta sciogliendo; la seconda (Impronta) testimonia una performance che vede l’artista adagiata sul suolo come ad assorbire e accogliere le energie della terra in una sorta di simbiosi.
Il rapporto corpo/corpo come energia di comunità emerge potentemente dalla fotografia Il giorno in cui di Bianco-Valente (Giovanna Bianco, Latronico (PZ),1962 e Pino Valente, Napoli, 1967), in cui l’immagine restituisce un atto performativo realizzato dal duo a Minervino di Lecce, durante una residenza in cui è stata analizzata la dinamica dell’allontanamento tra singoli e l’indebolimento della collettività nel corso del tempo, e in cui è emersa la necessità di operare per contrastarla. Mentre nel video Entità risonante anche la scrittura, intesa come codice di trasmissione umana di pensiero, può generare rapporti di comunità, rialfabetizzandosi in modo nuovo su questi valori e con un approccio teso verso una “risonanza cosmica”.
Perdersi dentro uno spazio, sospesi in un tempo immoto e generare l’opera come un respiro di tutto il corpo è l’approccio di Silvia Listorti (Milano, 1987) prima e durante il processo di formalizzazione del lavoro. Il gesto è un tocco che la materia stessa induce. Il corpo dell’artista lentamente si fa opera aprendosi in modo vibratile a sonorità infrasottili generate da poesia e musica. Nel respiro dell’'ora (and all is always now) - titolo tratto da un verso di T.S. Eliot - è una valva che si apre adagiandosi sulla terra, ma che lievita verso l’altrove. Nei suoi disegni su carta di riso i tratti di grafite leggeri paiono condotti in uno stato di dormiveglia sul foglio-spazio. L’artista li chiama Illocazioni ovvero l’essere in nessun luogo e ovunque nel respiro del mondo. Meditazioni.
La ricerca di Cristina Gozzini (Firenze, 1960) è una costante meditazione su ciò che sta sottotraccia nella natura e in cui l’apparente “niente” diventa motore e struttura di ogni cosa. Nell’installazione (A Step) Out Of Me l’artista associa elementi eterogenei in natura (dalla traccia della struttura calcarea di una foglia che intrattiene la memoria dei ghiacci al vetro che coagula lo spazio del respiro all'interno di un bacino femminile): una sfida e, al contempo, un tentativo verso l’impossibilità di controllo della materia e, conseguentemente, della forma. La scatola a raggi X in cui sono posizionati gli oggetti, ribadisce una erronea visione antropocentrica del mondo e l’importanza di un legame intuitivo con la natura. Riflessioni confermate dalle altre due opere presenti: il disegno (A step) Out of Me e Teschio Fiorescenza.
La ricerca di Chiara Bettazzi (Prato, 1977) prende avvio dall’idea di trasformazione che l’artista sviluppa come un continuum di un unico lavoro, sia quando assume la forma installativa sia quando il medium è la fotografia. Lo sguardo e l’azione sugli oggetti (di natura organica e inorganica) rimanda a un immaginario che sovverte la loro funzione per ancorarsi a quello di memoria personale e dei luoghi in cui l’artista interviene. La fotografia presentata in mostra fa parte del primo ciclo della serie Still Life: tessuti, materie plastiche, ceramiche, bicchieri in vetro, piume e un piccolo cervo sono stati disposti su un tavolo in posa: sedimentano prima della loro sovversione. L’intervento della mano che muove e reinventa è formalmente presente negli altri due lavori fotografici del ciclo Spostamenti conferendo al lavoro una dimensione performativa in cui il contatto genera nuove idee, nuovi movimenti e nuove immagini.
Anche per Bertozzi e Casoni (Giampaolo Bertozzi, Borgo Tossignano, Bologna, 1957 e Stefano Dal Monte Casoni, Lugo di Romagna,1961 – Imola, 2023) la composizione è elemento centrale del lavoro, che prende corpo in costruzioni insolite in ceramica policroma meticolosamente soppesate, dal sapore al contempo ironico ed emozionale. La loro ricerca prende avvio dall’apparente marginalità e fugacità del quotidiano: un quotidiano che trasfigurano e rivalutano, per una contemporanea riflessione sul memento mori, sul senso di transitorietà (vanitas) che accompagna l’esistenza umana, aprendo un dialogo sulla sofferenza e la morte, ma anche sulla gioia e la rinascita. In mostra: Perché?; Piccola composizione con Fauno; Tavolino emisfero con composizione floreale.
Antonio Fiorentino
ad naturam
Villa Rospigliosi, Prato
La particolarità di Villa Rospigliosi è quella di intrattenere una relazione stretta e un voluto equilibrio tra architettura e natura. Ogni artista invitato dall’associazione ChorAsis ad esporre negli spazi della Villa è sempre chiamato a misurarsi col genius loci e col passo della natura nei suoi geomorfismi, nel trascorrere delle stagioni e nei segni che ne punteggiano attività agresti e aspetti contemplativi.
Da molti anni la ricerca di Antonio Fiorentino è fortemente ancorata al rapporto con la natura e con i materiali naturali che diventano parte integrante dei suoi lavori: la loro ossatura.
Per questo progetto, ideale prosecuzione e ampliamento delle opere presentate alla galleria ME Vannucci di Pistoia, i corpi delle sculture collocate all’esterno emergono come alberi punteggiando il percorso sull’area verde del prato. Sono corpi umani, di sapore divinatorio, dall’ossatura vegetale che si protendono verso l’alto in cerca di luce o si ancorano nella terra mettendo in atto una sorta di fotosintesi clorofilliana.
Altre due sculture accompagnano lo sguardo all’interno degli spazi espositivi, una di queste porta cera sul capo a illuminare una sala che è un omaggio a luce e ombra: le sue cianotipie. Il soggetto di questi autoritratti su tela è il corpo stesso dell’artista, indistinguibile, misterioso, profondamente inscritto nella luminosità del sole. Autoritratti astratti dunque in cui la variazione e l’intensità del colore ciano che si imprime sulla tela sono specchio degli umori e delle condizioni in cui la luce batte sul suo corpo in diversi momenti della giornata, dall’alba al crepuscolo.
I materiali che appartengono alla ricerca dell’artista (come sabbia, ossa, sale) si palesano anche nei lavori della seconda sala, in cui cinque maschere, archetipo identitario sperimentato nel tempo da Antonio Fiorentino, galleggiano sulla parete. Da autoritratto velato si giunge all’autoritratto occulto, passaggio che evoca il tema del doppio. Luce e ombra nel primo scolpiscono i ritratti. Qui la maschera è l’altra faccia magica dell’artista, la sua seconda pelle. Una pelle fatta sempre da materiali organici e inorganici presenti in natura. Un piccolo ritratto figurativo tracciato a matita, appare infine, seminascosto, nella stanza di passaggio tra le due sale che ospita attrezzi agricoli per la coltivazione della terra, dal giardino al prato all’uliveto. Il giovane uomo pare un contadino che non si immedesima in attività manuali, ma è soggetto senziente immerso nella natura come sua religione personale.