Viaggio nell’atelier di Antonio Ligabue per scoprire la sua vera storia 

In questa puntata della rubrica “Nelle stanze della creazione” raggiungiamo Gualtieri, nella Bassa Reggiana. Qui scopriamo la vera storia di Antonio Ligabue, ancora viva e vibrante grazie alle testimonianze di chi lo ha apprezzato non solo come artista, ma anche come uomo

Uno spirito selvaggio, irrequieto e folle, ma al tempo stesso un artista geniale dall’animo gentile. Fortemente compromesso da diversi disturbi fisici e psicologici, Antonio Ligabue (Zurigo, 1899 – Gualtieri, 1965) visse come un emarginato, un uomo reietto che trovava sollievo soltanto nella natura.  Dopo aver passato un’infanzia drammatica, “Toni” fu espulso dalla Svizzera nel 1919 e, a soli diciannove anni, fu catapultato nella Bassa Reggiana, a Gualtieri, paese d’origine del padre putativo Bonfiglio Laccabue.  

Ligabue fotografato intento a dipingere un quadro al cavalletto
Ligabue fotografato intento a dipingere un quadro al cavalletto

Antonio Ligabue, l’arte come medicina 

Chissà cosa avranno pensato i contadini di Gualtieri quando, il 9 agosto 1919, si trovarono per la prima volta di fronte ad Antonio Ligabue, un ragazzo problematico che parlava soltanto tedesco e non riusciva a pronunciare una parola di italiano. Bastò poco tempo perché l’artista diventasse noto in paese con il soprannome “Toni al mat” (“Toni il matto”), per via dei suoi gravi problemi mentali. Tuttavia, la sua sofferenza andava di pari passo con la profonda passione per l’arte: nelle cartelle cliniche dell’epoca emerge già la sua grande abilità nel disegno e soprattutto nel raffigurare gli animali. Per lui dipingere era una medicina, dava sollievo alle sue ansie, mitigava le sue ossessioni e riempiva la sua solitudine. A Gualtieri, Ligabue strinse subito un profondo legame con Celso Caleffi e suo cugino Berto, tanto che l’artista si trasferì nel loro fienile. A raccontarci questa storia è Giuseppe Caleffi, oggi direttore della Casa Museo Antonio Ligabue

Veduta interna di Casa Museo Antonio Ligabue. Courtesy Casa Museo Antonio Ligabue
Veduta interna di Casa Museo Antonio Ligabue. Courtesy Casa Museo Antonio Ligabue

Intervista a Giuseppe Caleffi 

Dove viveva Antonio Ligabue appena arrivato a Gualtieri? 
Inizialmente, Antonio dormiva nel nosocomio del paese, insieme ad altre persone. Si trattava di un luogo di dimensioni ridotte che fungeva contemporaneamente da casa di riposo, assistenza per i poveri e ospedale. Successivamente, fu mandato dall’amministrazione a lavorare come scarriolante presso l’argine maestro del Po. Soffrendo di rachitismo, aveva poche forze e a volte combinava qualche piccolo danno. È lì che nasce come scultore, entrando in contatto con la materia prima che usava per lavorare gli argini: la terra del fiume. Tuttavia, all’inizio nessuno aveva intenzione di cuocere le sue sculture di argilla e purtroppo molte di esse sono andate perse. Ripensandoci bene, Ligabue deve la sua salvezza proprio al sostegno del “welfare” della Gualtieri degli Anni Venti. 
 
Com’è nato il rapporto tra la tua famiglia e Ligabue? 
Cominciò tutto con mio nonno Celso, fu il primo dei miei familiari a conoscere Antonio. Poco dopo il suo arrivo in Emilia, Ligabue cominciò ad allevare conigli – i “Giganti di Fiandra” –  e li portava un po’ nelle case di tutti contadini della zona. La mia non fu esclusa da questa distribuzione. A casa di mio nonno li mise all’interno di una gabbia, conservata ancora oggi nella Casa Museo. L’artista difficilmente curava la sua igiene personale, ma in compenso lavava i suoi animali con un’assiduità compulsiva.  

Come mai i conigli? 
All’epoca, in Svizzera, il coniglio era già considerato un animale da compagnia. Un giorno confessò a mio padre Celestino di parlare con loro. Ligabue aveva questa capacità sciamanica di interloquire con il mondo animale. Solo con le bestie poteva comunicare liberamente ed essere sé stesso. Ecco spiegato il motivo per cui usò esclusivamente gli animali come soggetto prediletto per i suoi dipinti. In una registrazione, Ligabue raccontò quando, a scuola, veniva preso in giro dai suoi compagni e gli unici amici che aveva erano proprio gli scoiattoli e i conigli con cui giocava nei boschi di San Gallo. Praticamente ha introdotto quelle specie in paese [scherza Giuseppe] e anche se erano tempi di fame, l’artista ci sarebbe rimasto molto male a sapere che uno di loro sarebbe finito sulla tavola di qualcuno… 

E poi andò a vivere nella casa di tuo nonno. 
Esatto, andò a stare da mio nonno perché aveva la fobia dei microbi e provava una forte insofferenza per la tosse, quindi non riusciva a sopportare di stare con tutte quelle persone malate e anziane. Le case di Celso e Berto erano conosciute da chi passava spesso da quelle parti perché offrivano ospitalità nel fienile, che era già predisposto per questo tipo di accoglienza. Al mattino gli ospiti venivano svegliati da mia nonna con una tazza di latte caldo con un po’ di pane. Un pasto semplice. Nei mesi caldi, Ligabue, dormiva nel fienile, mentre in inverno stava nella stalla, riscaldato dal fiato degli animali. Per riposare, si costruiva una sorta di nicchia tra le balle di paglia, dove aveva piantato un palo messo per traverso e collocato esattamente all’altezza del suo inguine, lì si calava in modo da dormire in piedi. Quando chiedevano a Berto se il suo amico Ligabue dormisse in piedi per imitare i cavalli, lui scuoteva la testa e spiegava il vero motivo: “aveva il gozzo, dormiva così per digerire meglio!”. 

Dove dipingeva i suoi quadri? 
A Gualtieri, Ligabue dipingeva sempre all’aperto, perché i fienili e i casotti in cui peregrinava erano poco illuminati. Intorno alla Casa Museo si trovava il nostro orto, qui l’artista piantava il suo cavalletto, uno scaletto da vendemmia lungo circa un metro e mezzo, e iniziava a dipingere. Tuttavia, non mancarono le difficoltà: litigava spesso con mia nonna e mia zia perché voleva lavorare indisturbato, convinto persino che il loro fiato potesse infettare i suoi quadri. Allora, mio nonno gli consigliò di dipingere tra i vigneti vicino al cimitero; qui, mio cugino Arnaldo mi raccontò che gli portava le uova al tegamino o qualcos’altro da mangiare. Ma Ligabue iniziò a dipingere in un vero e proprio atelier soltanto dopo aver incontrato, sempre a Gualtieri, l’artista Renato Marino Mazzacurati durante l’inverno 1928-29. Lui si propose di aiutarlo materialmente, offrendogli anche il suo studio. Da lì in poi, lavorò negli spazi della Galleria di Sergio Negri a Guastalla e infine a Reggio Emilia, in una casa messa a disposizione da Bruno Bertacchini, noto campione motociclista, per permettere ad Antonio di lavorare alla sua mostra personale a Roma, inaugurata nel 1961 presso la galleria La Barcaccia in piazza di Spagna. Questo evento segnò l’esplosione della sua fama. Toni ce l’aveva fatta! 

Cosa è diventata oggi la casa dove soggiornò l’artista? 
Oggi la casa si è trasformata a tutti gli effetti in un museo. Si entra da quello che era lo stallino dei cavalli, dove sono esposte le locandine originali dei due film su Antonio Ligabue: lo sceneggiato del 1977 in cui l’artista fu interpretato dal mitico Flavio Bucci e l’ultimo del 2020 con Elio Germano, che vinse il David di Donatello come miglior attore protagonista per quella interpretazione. Sono esposti anche i quadri di famiglia, quelli che Ligabue lasciò a mio nonno. Inoltre, c’è un suo disegno che ha una storia molto particolare. Una sera, Ligabue, ormai famoso, venne qui a Gualtieri accompagnato da mio zio Ugo Sassi per salutare mio nonno e autenticare alcuni suoi quadri fatti in precedenza. Tra questi ce n’era uno che non lo convinceva: un dipinto con un giaguaro e una gazzella che si rivelò essere stato fatto da un artista che lo copiava, il Mozzali. Allora mi chiese di dargli il mio quaderno, dove stavo facendo i compiti – ero in seconda elementare – e mi disegnò la “sua” gazzella. Partendo da quel ricordo, mi è venuta l’idea di creare la sua casa museo. Oggi si possono ancora ammirare gli oggetti che gli sono appartenuti, tra cui le tavolozze con i colori, cavalletti, sottovesti, sculture, puntesecche e quadri che i collezionisti ci prestano con piacere in occasione di mostre ed eventi. Lo spirito di Antonio Ligabue è più vivo che mai qui a Gualtieri. 

Gabriele Cordì 

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Gabriele Cordì

Gabriele Cordì

Gabriele Cordì (2000) è studente magistrale di Arte, Valorizzazione e Mercato all’Università IULM. Collabora nell’organizzazione e comunicazione di mostre d’arte contemporanea con il Museo della Ceramica di Savona, Casa Museo Jorn, Museo Diffuso Albisola, Menashe Kadishman Estate e Galleria Raffaella…

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