Nell’atelier di Ezio Gribaudo. La “casa matta” di Torino tra dinosauri e montagne di libri
Lo studio, la vita e l’arte di Ezio Gribaudo, da Torino nelle parole della figlia Paola, attualmente anche presidente dell’Accademia Albertina di Belle Arti della città
“Una volta domandarono a Tintoretto quale era il colore che lui preferiva e Tintoretto rispose: il nero. Io una volta domandai a Ezio Gribaudo quale era il colore che lui preferiva; e lui mi rispose: il bianco. Quindi così come si può considerare Tintoretto un melanofilo, si può considerare Gribaudo un leucofilo”. Con queste parole, nel 1969, Giorgio de Chirico iniziò un testo dedicato a Ezio Gribaudo (Torino, 1929 – Torino, 2022), omaggiando i suoi candidi logogrifi. Fu lui a definirli “immagini ritrovate in tipografia, vecchi clichés, flani, dai quali ricavo collage costruiti con una tecnica particolare”.
Le incisioni di Ezio Gribaudo
Queste incisioni, a rilievo bianco su bianco, riscossero un tale successo che furono presentate nelle più importanti esposizioni internazionali d’arte: nel 1965 Gribaudo partecipò alla IX Quadriennale Nazionale d’Arte di Roma, nel 1966 vinse il premio per la grafica della 33ª Biennale di Venezia e nel 1967 arrivò in Brasile per la IX Biennale di San Paolo. Parallelamente alla sua attività di artista, a partire dal 1966 il maestro torinese lavorò con Fratelli Fabbri Editore per la pubblicazione di 34 grandi monografie di artisti con cui collaborò direttamente, tra cui Marc Chagall, Lucio Fontana, Joan Miró, Francis Bacon e Marcel Duchamp. Gribaudo fu anche promotore di importanti eventi culturali, come la mostra della Peggy Guggenheim Collection alla Galleria Civica d’Arte Moderna di Torino nel 1976 e la mostra-spettacolo Coucou Bazar per Jean Dubuffet alla Promotrice delle Belle Arti nel 1978, organizzata per la FIAT.
L’arte secondo Pablo Picasso
Dall’incontro con Pablo Picasso nel 1951 a Vallauris, il giovanissimo Gribaudo trasse uno dei suoi più grandi insegnamenti: quando timidamente gli chiese quale fosse il segreto del suo successo, Picasso rispose “lavorare 15 ore al giorno”. E lui fece altrettanto per tutta la vita. Ma la pluralità di interessi che contraddistingueva l’artista torinese necessitava di un luogo adatto a contenere i suoi molteplici approcci all’arte. Così nel 1974, chiamò l’architetto Andrea Bruno per farsi progettare uno studio a sua misura, una “casa matta” con le pareti portanti in cemento armato (coibentate con lastre di polistirolo e rivestite internamente in laterizio) e disseminata qua e là da iconici arredi di design. Lo stesso Bruno ne parlò così: “Ho immaginato una casetta formata di pareti dietro le quali si dovrebbe sentire il vuoto; un qualcosa come […] un contenitore leggero che sfrutta al massimo lo spazio interno”. Chi visitava lo studio di Gribaudo poteva andarsene con un disegno di dinosauro realizzato con quattro pennarelli di colori diversi, un gesto di generosità e un eco del retino di un processo di stampa in quadricromia che ancora una volta diventava materiale. A raccontarci la storia di questo luogo è Paola Gribaudo, figlia dell’artista e presidente dell’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino.
Intervista a Paola Gribaudo
Come nacque il progetto?
La storia di questo luogo ha inizio nei primi anni Settanta, quando mio papà decise di acquistare un terreno vicino a casa nostra, dietro la Gran Madre a Borgo Po. Andrea Bruno era un suo amico di lunga data e vecchio compagno di corso alla Facoltà di Architettura. Questo edificio dalle geometrie lineari è il risultato finale del loro sodalizio e rappresenta un’interessante testimonianza dell’uso di un linguaggio architettonico non convenzionale per l’epoca e per il contesto culturale torinese.
Com’è strutturato l’edificio?
Le pareti esterne, in calcestruzzo armato a vista, sono decorate da rigature diagonali, verticali e orizzontali, e ospitano alcuni logogrifi ottenuti da mio padre fissando forme di polistirolo espanso ai casseri del getto di cemento. Per accedere al piano terra – un piccolo spazio adibito a mostre e incontri – utilizziamo le grandi e sinuose scale in legno, realizzate con ripiani sovrapposti e utilizzabile anche come libreria ed eventualmente come gradonata per sedersi. L’intero primo piano è invece adibito allo spazio espositivo, alla biblioteca e alla collezione di mio padre. Qui si riposava, leggeva e disegnava seduto sulla sua amata Sanluca di Castiglioni, godendo della vista sulla Mole Antonelliana. Salendo al secondo piano, entriamo nel vero e proprio studio di mio padre, un ampio locale illuminato dall’alto grazie a un cupolino di perspex, dove un vano a sbalzo con pareti parzialmente in cristallo permetteva a mio papà di aprirsi verso il mondo esterno mentre lavorava. L’ultimo piano, infine, è una minicamera dotata di relativi servizi, da lui utilizzata per riposarsi o fare un sonnellino.
Sul soffitto dello studio vedo che sono appese molte gabbie, che significato hanno?
Dagli anni Sessanta in poi, mio papà iniziò a lavorare alle sue gabbie. All’interno di esse inseriva piccoli oggetti di vario tipo: dinosauri, matrici tipografiche, strani animaletti, farfalle, pesci. La gabbia era un simbolo positivo e non di cattività, come in molti potrebbero pensare a prima vista. Infatti, le figure che popolano le gabbie non sono imprigionate, ma possono entrare o uscire quando lo desiderano, come se quella fosse la loro casa.
E i dinosauri?
L’idea dei dinosauri gli venne durante un viaggio a New York quando visitammo insieme l’American Museum of Natural History, il giorno in cui stavano allestendo una mostra di scheletri di dinosauri grandi 6 metri. Questi monumentali reperti colpirono così tanto mio padre che si comprò uno scheletro-giocattolo componibile, ancora oggi conservato qui nel suo studio. È in quel momento che papà ebbe l’idea di vestire i dinosauri, come se fosse un sarto. Evocazioni preistoriche che raffigurò usando tecniche e materiali diversi quali ad esempio la juta, la carta, il legno, la sabbia, il piombo, l’antimonio, il bronzo e il polistirolo. Non a caso, un grande dinosauro in pietra vive nel giardino e ancora oggi sembra far guardia al suo studio.
Gabriele Cordì
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