Obey. La prima grande mostra italiana dello street artist è a Milano
Il percorso alla Fabbrica del Vapore ripercorre i 35 anni di carriera di uno degli artisti urbani più influenti e “impegnati” del panorama contemporaneo
Era il 2008: l’America usciva da un doppio mandato di Bush, otto anni severi e bellicosi segnati dall’ombra dell’Undici Settembre, approntandosi a scegliere un nuovo presidente. E dei molti tasselli che hanno portato alla schiacciante vittoria di Barack Obama contro McCain, quell’anno, la comunicazione è stata forse il più importante: non parliamo solo di Yes we can, e tutto ciò che vi fu di istituzionale, ma anche di un movimento popolare con una grande speranza di rinascita, che toccò il suo apice quando Internet si ritrovò tappezzato di manifesti con il volto del governatore dell’Illinois nei colori della bandiera nazionale e la grande scritta HOPE. Sedici anni e innumerevoli opere dopo, arriva a Milano l’autore di quel poster: il celebre street artist americano Shepard Fairey (Charleston, 1970), in arte Obey. È dedicata a lui, alle sue opere più famose e a dei pezzi unici realizzati ad hoc, l’ampia monografica che, prima in Italia, apre alla Fabbrica del Vapore da maggio a ottobre.
Chi è lo street art Obey, al secolo Shepard Fairey
Stile essenziale, palette minimalista, frequenti riferimenti all’hip hop, al punk e alla skate culture: questo l’iconico identikit dell’artista urbano che sin da studente ha fatto della propria poetica una contestazione dello status quo. Fairey è entrato nel mondo della street art da studente della Rhode Island School of Design, quando ha creato la campagna di sticker Andre the Giant Has a Posse, in omaggio al celebre wrestler e attore, evolutasi nel più semplice motto Obey Giant, pensato per “indurre le persone a reagire, contemplare e cercare significato nell’adesivo”.
Fairey ha realizzato diverse opere street in tutto il mondo, accumulando un notevole successo: tra queste compaiono – oltre al poster di Obama, per la cui creazione è finito in guai giudiziari e del cui dedicatario si è poi detto “estremamente deluso” – il grande murale di Nelson Mandela a Johannesburg, l’opera Make Art not War per la berlinese Urban Nation, le copertine di dischi di grandi nomi della musica americana e la celebre serie di poster We The People, che includeva il ritratto di una donna musulmana con un velo a stelle e strisce, realizzata in reazione alla campagna elettorale di Trump nel 2016. La sua attitudine contestataria, che si riflette nell’ironico nome, si è rivolta negli anni anche verso uno sfaccettato attivismo con una forte attenzione a cause che spaziano dal diritto alla salute all’alimentazione, per il quale ha anche fondato il famoso brand di abbigliamento Obey Clothing.
Alla Fabbrica del Vapore di Milano la grande mostra su Obey
La monografica, curata dall’artista e dalla galleria Wunderkammern (con cui è realizzata), segue passo passo le tematiche più rappresentative del percorso di Fairey, dalla propaganda all’ambiente e dalla musica alla pace, collocandosi nel solco di un vivo programma culturale che punta a promuovere la Fabbrica del Vapore come luogo culturale in ottica sociale (come già per la grande mostra di Zerocalcare del 2022). La scelta di ospitare lo street artist, ha sottolineato l’assessore alla Cultura di Milano Tommaso Sacchi, “testimonia il costante impegno del Comune nel sostenere e produrre iniziative culturali che, attraverso l’arte, incoraggiano riflessioni su temi universali come la pace, l’uguaglianza la giustizia, la tutela dell’ambiente, l’universalità della musica. Nulla è più importante in questo momento storico che sottolineare, come afferma l’artista stesso, che non c’è un noi contro di loro; c’è solo un noi”.
È anche in quest’ottica comunitaria che Obey regalerà alla città il suo primo murale italiano, realizzato nell’ambito di una residenza artistica alla Fabbrica del Vapore: l’opera sarà svelata il 22 maggio durante il festival di Arte Urbana Manifestival in via Adolfo Consolini 26, al quartiere Gallaratese, e di comune accordo con gli abitanti del quartiere sarà “un omaggio alla pace”.
Giulia Giaume
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