Statue di Roma, vecchie e nuove. Il Colosso di Costantino e le statue parlanti
La destinazione definitiva della replica del Colosso di Costantino sembra essere Roma. Ma come se la passano le altre statue della Capitale?
Roma ha una nuova statua, e bella grossa: da qualche mese il ricostruito Colosso di Costantino ha preso posto sul Campidoglio. Se la sua apparizione alla mostra Recyling Beauty della Fondazione Prada di Milano, tra il novembre 2022 e il febbraio 2023, aveva suscitato entusiasmo, vuoi per la novità della cosa, vuoi per l’effetto sorpresa e il repentino cambio di scala in un percorso espositivo caratterizzato soprattutto da pezzi piccoli, vuoi perché il pur vasto ambiente della Cisterna sembrava contenerlo a stento, l’accoglienza del Costantinone sul Colle Capitolino è stata più tiepida, da un lato perché non è più una novità, dall’altro perché infilare una ricostruzione tra tanti autentici monumenti antichi per molti sa di Disneyland, o al più di Cinecittà. O ancora perché non convince la collocazione esterna della copia di un gigante nato per stare in un grandioso ambiente interno (quello della Basilica di Massenzio).
Il futuro del Colosso di Costantino e le statue parlanti
In ogni caso, nel valutare l’iniziativa ne va tenuto presente il carattere a quanto pare temporaneo: l’imperatore non siederà per sempre sul Campidoglio, ma, passato l’anno giubilare 2025, sarà trasferito altrove, forse al Museo della Civiltà Romana (e questa sarebbe un’ottima notizia, perché vorrebbe dire che il museo, chiuso da tempo immemorabile, si appresta a riaprire i battenti).
Chissà se il nuovo arrivato si unirà alla scelta e celebre compagine delle statue parlanti di Roma: certo sarebbe inquietante, non tanto per l’accento meneghino che ne caratterizzerebbe la parlata, quanto per il vocione terrificante che, dai suoi tredici metri di altezza, potrebbe sfoderare. Una compagnia, quella delle statue loquaci romane, che non se la passa bene: Madama Lucrezia è quasi dimenticata in un angolo di Piazza San Marco, a due passi dallo sconvolgente cantiere della metro in Piazza Venezia; l’Abate Luigi, circondato dalle auto, sembra un parcheggiatore abusivo.
Roma e le sue statue: un problema di tutela per la statua di Pasquino
La più famosa e chiacchierona di tutte, Pasquino, è ormai muta: non solo perché la comunicazione social ha preso da tempo forme assai più eteree, ma soprattutto perché l’applicazione distorta del concetto di tutela ha portato alla fine di una tradizione plurisecolare, di un valore almeno pari a quello del frammento scultoreo antico. Il destino dell’opera è stato segnato dal restauro del 2009-2010, quando si è ritenuto che il basamento della statua (vecchio, e magari pure antico, ma certo non quanto il gruppo del Pasquino) non potesse più sopportare l’onta di fogli e foglietti con polemici componimenti. Addirittura in quell’occasione fu installato accanto alla scultura un tristissimo surrogato in plexiglass su cui affiggere le pasquinate, poi fortunatamente scomparso. Da allora l’illustre tradizione satirica è stata a più riprese osteggiata e denunciata come esempio di degrado, secondo una prospettiva che pericolosamente accosta l’idea di “tutela” a quella di “decoro”. Risultato: la base della statua è quasi sempre spoglia.
“Infilare una ricostruzione tra tanti autentici monumenti antichi per molti sa di Disneyland, o al più di Cinecittà”
Prospettive per una Roma migliore
Se Pasquino tace, forse, come si diceva, sarà Costantino ad aprir bocca. Da lassù può vedere molte cose e, se non mancherà di lamentarsi e punzecchiare Roma per i suoi infiniti irrisolti problemi, forse avrà anche parole di elogio per qualche timido segnale positivo. Uno gli giunge da pochi metri di distanza: con l’utilizzo degli spazi di Villa Caffarelli, dove è in corso la rassegna su Fidia, è drasticamente diminuito lo scandaloso uso per le esposizioni temporanee delle sale storiche del Palazzo dei Conservatori, ogni volta soggette a rivoluzioni e all’invasione di opere esterne e di pannelli. Un po’ più lontano, sul Celio, ha da poco aperto al pubblico il Museo della Forma Urbis, ricavato all’interno della ex palestra della GIL.
Il Parco Archeologico del Celio
Accanto al museo si stende il Parco Archeologico del Celio: una distesa di frammenti lapidei antichi, corredati di informazioni essenziali, tra cui si può (liberamente) passeggiare, quasi novelli milordi del Grand Tour. Sui ‘serci’ svetta la Casina del Salvi, bell’edificio degli Anni Trenta dell’Ottocento che dovrebbe presto riacquistare l’originaria funzione di coffee house: una caffetteria così bella in piena area archeologica sarebbe un sogno, e il segnale di un’inversione di rotta rispetto a quella concezione punitiva della visita ai siti ancora così diffusa nella Penisola.
Fabrizio Federici
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