La storia dell’artista Fabio Mauri: l’opera, i temi, e il dramma della guerra
Gli esordi, la difficoltà di raccontare il presente, la storia di una famiglia di intellettuali. Abbiamo visitato con il direttore Ivan Barlafante e la curatrice Sara Codutti, l’ultimo Studio di Fabio Mauri in occasione del format Habitat di ArtVerona
Dietro il Colosseo, tra Monti e Via dei Fori Imperiali, si trova un luogo magico, in cui l’arte si respira in ogni angolo dello spazio. Si tratta dell’ultimo studio di Fabio Mauri (Roma, 1926-2009), in cui l’artista elaborò anche le opere per le ultime due grandi mostre della sua carriera. In vista della 19esima edizione di ArtVerona, che si terrà tra l’11 e il 13 ottobre e che dedicherà al maestro il format Habitat, lo Studio Fabio Mauri, apre le porte per una private view volta ad approfondire con galleristi, collezionisti e giornalisti, la ricerca di questo artista studioso, poliedrico ed instancabile sperimentatore ma, nello stesso tempo, sempre molto coerente nella sua ricerca artistica e intellettuale.
Chi era Fabio Mauri
Nato all’interno di una famiglia di intellettuali legati al mondo del teatro, dell’arte e dell’editoria (con il nonno, Achille Mauri impresario teatrale; lo zio Valentino Bompiani fondatore dell’omonima casa editrice, con cui Fabio ebbe un rapporto molto stretto, il padre Umberto, amministratore delegato, negli Anni ’30, di Messaggerie Italiane) Mauri trascorse l’infanzia e la giovinezza a Bologna, dove, al Liceo Galvani, conobbe Pier Paolo Pasolini, grande amico, con cui attraversò i drammatici anni della Guerra. Anni da cui rimase profondamene turbato, tanto da arrivare quasi al mutismo e gravi crisi psicotiche che superò con sostegni psichiatrici, oltre che abbracciando una dimensione spirituale che lo accompagnò tutta la vita. Dopo il recupero e una prima attività alla Bompiani decise di seguire la sua vocazione artistica e, nel 1954, esordì a Venezia con la prima mostra, cui ne seguirono subito altre due a Milano e a Roma.
L’opera di Fabio Mauri: gli esordi
Le opere della fase iniziale, prettamente pittoriche, si distinguono per la matrice espressionista e un astrattismo dal sapore informale. Poi, nel 1957 ci fu la svolta con la realizzazione del primo Schermo, costituito da una cornice nera su un foglio bianco, opera tanto semplice dal punto di vista formale; quanto complessa e raffinata da quello concettuale, L’azione fu dirompente per il suo individuare un campo, oltre al riferimento cinematografico, un campo di pensiero, linguistico. Un vero e proprio spazio di proiezione dell’immagine, legato anche alle sperimentazioni pittoriche di quegli anni, tese al minimalismo, all’azzeramento della pittura. Basti pensare che nel 1958 Piero Manzoni esordiva con la sua prima mostra a Roma, Scarpitta sperimentava tra Roma e New York e Castellani si cimentava nelle estroflessioni. Nello stesso 1958, gli schermi assunsero la forma iconica aggettante, ottenuta con un telaio in legno su cui l’artista iniziò a tendere prima la carta e poi la tela. Il riferimento si estese allo schermo televisivo, di cui – alla comparsa delle prime trasmissioni Rai, nel 1954 – con impressionante lucidità a consapevolezze, Mauri intuì la pervasività e la potenza,
Lo schermo divenne un elemento cardine della sua poetica, metafora del pensiero, spazio su cui proiettare il proprio vissuto. Al principio monocromi, negli anni gli schermi iniziarono ad accogliere dei segni, di cui il più caratteristico, che comparve già nel ‘59, è la scritta END, propria di cinema e fumetti. Dicitura che introduce una temporalità nell’opera, rimarcando la distinzione tra vita e narrazione.
L’arte di Fabio Mauri, tra storia e memoria
Altri elementi essenziali nella ricerca artistica di Mauri sono la storia e la memoria che ritornano in moltissimi lavori. Nello studio è esposta una serie di opere provenienti da una mostra installazione, pratica ricorrente nel linguaggio dell’artista che amava gestire lo spazio espositivo come spazio concettuale, ponendo le opere in dialogo tra lore oltre che con dei testi appositamente selezionati. Nello specifico, la mostra era Autobiografia come Teoria e consisteva in una serie di monocromi scuri, quindi volti a raccontare la storia e non luogo di proiezione come gli schermi bianchi che, patinati significativamente di grafite, accolgono tutt’ora oggetti rappresentativi per l’artista, come gli occhiali del padre o i sigari.
Dal momento che la pittura rimase una costante nella sua ricerca artistica, lo studio presenta anche una parete allestita a quadreria, che comprende opere molto diverse tra loro per caratteristiche formali ed epoche di realizzazione. Si va da schizzi del 1959/60, in cui compare lo schermo stilizzato, trattato significativamente con gesto di stampo espressionista ed è riconoscibile un tributo a Franz Klein; a opere degli Anni ’80 molto colorate, in cui il punto di vista si allarga dallo schermo fino a comprendere il pubblico e rappresentare il cinema come esperienza. Riflessione cardine, ripresa poi in altri lavori, in cui l’artista sviluppa il concetto di cinema come momento collettivo di epifania delle immagini, paragonandone il valore e il ruolo a quello che nel medioevo rivestivano le chiese, come luogo di presentazione e condivisioni delle immagini e delle storie sacre.
La sperimentazione in Fabio Mauri
Come si può constatare, Mauri fu un instancabile sperimentatore ma anche se si espresse attraverso diversi medium le sue fome rimangono sempre distinguibili per la loro coerenza espressiva e tematica. Nel 1971 iniziò a lavorare con le performance per affrontare il grande rimosso della sua vita, ovvero il periodo del fascismo e della guerra. Dopo le prime: Che cosa è il fascismo, 1971; Ebrea e da Ideologia e Natura, 1973; tra le più significative si annovera Oscuramento, 1975, in cui l’artista, attraverso un’azione articolata in tre stazioni, riflette sulla Seconda Guerra Mondiale e gli anni di piombo come situazioni stoiche di annichilimento ed incertezza. La prima fase: Intellettuale, ambientata nella Galleria Cannaviello di Roma, consisteva nella proiezione del film Salmo rosso sul suo autore, Miklos Jancsò. La camicia del regista diventa schermo del suo stesso film, metafora dell’intellettuale che si prende carico e responsabilità della sua opera. Concept ripreso con lo stesso titolo nel 1975 quando, in occasione dell’apertura della galleria d’arte moderna di Bologna, pose Pasolini davanti al proiettore, trasformandolo nello schermo de Il vangelo secondo Matteo. Opera rimasta iconica per il suo precedere la tragica morte dell’artista che, nelle versioni successive, sarà drammaticamente riproposta con il film proiettato su una sedia vuota se non per la simbolica camicia dell’intellettuale.
La seconda fase di Oscuramento: Storia, ambientata nel Museo delle Cere in Piazza S. S. Apostoli, prevedeva la messa in scena di momenti storici, come l’assassinio di Abramo Lincoln; La Seduta del Gran Consiglio dei Ministri, che decretò la fine del Regime Fascista. La suggestione era aumentata dalla presenza di attori veri tra le statue di cera e della cantante Maria Carta che camminando in una sala vuota, intonava Umbras un lamento irreale.
La guerra nell’opera di Fabio Mauri
Per la terza tappa, presso lo studio fotografico di Elisabetta Catalano, Mauri aveva ricreato una festa al tempo di guerra. Ove, per restituire il clima oppressivo, oltre al rumore dei bombardamenti, aveva simbolicamente oscurato le finestre con i ritratti di inquietanti personaggi politici internazionali del momento. All’interno, Danka Schröder, modella di Vogue – di cui nello studio è esposta la foto – e lo stilista Gil Cagné, ballano sfiniti sulle note di successi degli anni Trenta e Quaranta, mentre al pubblico, dotato di ticket per la consumazione, veniva offerto un caffè di guerra, per massimizzarne ulteriormente il coinvolgimento.
Ideologia nell’opera di Fabio Mauri
È interessante notare come l’artista abbia sempre riflettuto sulla guerra senza mai mostrarne il dramma. Come se intendesse parlare alla testa più che alla pancia del pubblico, per smascherare ideologie e macchinazioni politico/mediatiche all’origine di questi accadimenti. Per tutta la vita Mauri cercò di capire come la cultura tedesca avesse potuto produrre tali atrocità. E, consapevole della difficoltà di decifrare il presente mentre lo si sta vivendo, indagando nelle maglie della storia, utilizzò il passato come chiave di volta per interpretare il proprio tempo, sapendo che l’unica difesa contro sistemi ideologici sempre più subdoli e perversi è il senso critico, qualità che egli cercò sempre di trasmettere e sviluppare attraverso la sua pratica artistica e la sua vita. Ovviamente si potrebbe continuare a parlare a lungo di Mauri, partendo dalle altre opere esposte nello studio; tuttavia, per un ulteriore focus rimandiamo ad ArtVerona a ottobre e, nel frattempo, per chi non riuscisse proprio ad aspettare, a prenotare una visita in Via del Cardello 16.
Ludovica Palmieri
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