L’antica lotta tra proprietà e management rischia di colpire anche la cultura?
Da Benetton al Festival di Cannes, l’attualità ci offre interessanti casi studio per comprendere come le industrie culturali possono affrontare i conflitti d'interesse
Tra gli assunti di base di chi ha studiato una disciplina economica, rientra la consapevolezza che tra proprietà e management, molto spesso, il conflitto è inevitabile. I casi di scuola sono numerosi: in uno di essi la proprietà vuole i dividendi (e quindi vuole che l’azienda distribuisca gli utili) mentre il management vuole destinare i dividendi a riserva; in un altro caso studio è il manager che vuole massimizzare gli utili per l’anno in corso, anche a scapito della sostenibilità di medio-lungo termine.
Il conflitto tra proprietà e management in Italia
Si tratta di un tema sempre attuale, perché in realtà sussiste ogni qualvolta la dimensione proprietaria di una data società ha ambizioni differenti da quelle che invece il management intende perseguire. Si tratta di una condizione talmente diffusa che nei corsi di economia e gestione delle imprese è facile incontrare affermazioni che descrivono il conflitto di interesse come una condizione fisiologica della vita aziendale.
C’è un motivo per cui in Italia tale conflitto ha una rilevanza minore. A differenza di altre nazioni, nel nostro Paese spesso accade che ci sia una sostanziale coincidenza tra proprietà e direzione, vanificando quindi le condizioni di emersione di tale conflitto.
Il caso di Benetton
Su questo scenario, il recente exit di Benetton – che ha dichiarato di lasciare la Presidenza del Gruppo alludendo ad un tradimento di fiducia da parte del top management, responsabile di aver mancato gli obiettivi per un valore di 100 milioni di euro – per quanto possa essere insolita per il nostro contesto, è in ogni caso espressione di un tessuto imprenditoriale che, anche se con tempi differenti rispetto a quanto osservabile nel contesto internazionale, sta iniziando ad adottare uno schema che presuppone una divisione tra chi detiene la proprietà dell’azienda e le figure che la gestiscono.
Proprietà e management nelle industrie culturali
Un dato su cui val ben la pena ragionare, con molto anticipo, nel caso delle industrie culturali e creative e nelle società che a vario titolo gestiscono asset e patrimoni culturali nel nostro Paese. Nella maggior parte dei casi, infatti, il settore culturale presenta, rispetto ad altri comparti produttivi, un periodo di rientro del capitale più esteso nel tempo. Ciò significa, in altri termini, che investire un euro in cultura, spesso genera ritorni economici anche nel breve periodo, ma i ritorni economici più interessanti avvengono in un arco temporale più ampio. Detto con i conti della serva, per alcune aziende culturali e creative, nel nostro contesto economico e sociale, è talvolta normale operare su progetti o su aree di business che non producono utili. Condizione che richiede una ancor più forte connessione tra chi gestisce la vita aziendale e chi ne percepisce gli utili, perché da un lato tale condizione implica che la proprietà veda insoddisfatte delle proprie richieste, ma anche che, dando per scontato che una linea di business agisca in perdita o in condizioni di pareggio, il management possa non essere interessato a svilupparla.
I rischi e le possibili soluzioni
Senza una visione davvero convergente, si rischia di avere, nel settore delle Industrie Culturali e Creative, una condizione per cui chi investe i propri soldi accetta di dover inizialmente perdere parte del proprio investimento, mentre chi quei soldi li amministra, essendo spesso retribuito anche sulla base dei risultati operativi dell’azienda, potrebbe invece dedicare a tali progetti una quota di tempo del tutto marginale. Dal punto di vista strutturale, quindi, potrebbe essere utile iniziare a considerare, per le industrie culturali e creative, asset organizzativi che rispondano ad un conflitto insolito nel mondo industriale tradizionale, come l’identificazione di figure ibride, o con la previsione di forme contrattuali che consentano flussi di cassa aggiuntivi per i manager anche al termine del proprio mandato con l’azienda gestita. Nuove forme contrattuali, o nuove figure, potrebbero ancorare gli interessi del manager in prodotti che non “generano ritorni di breve periodo”, ma che potrebbero essere invece alla base di uno sviluppo societario. Chiaramente, sarebbero contratti complicatissimi, da realizzare sulla base del caso specifico, ma che in ogni caso permetterebbero che le visioni temporali di riferimento tra governance e management coincidano.
Una questione di coraggio imprenditoriale
Altro caso sarebbe quello di ancorare il management in un rapporto di condivisione della proprietà aziendale: non definire una quota da dare al management per incrementare la retribuzione sulla base dei risultati, ma un impegno come socio più ampio del periodo di conferimento del mandato. Condizione che potrebbe implicare una perdita secca in caso di surplus “anticipati” a fronte di future perdite. Per quanto siano argomenti tecnici, è importante chiarire che non stiamo parlando di fatturato o di retribuzione dei manager: stiamo parlando piuttosto del coraggio imprenditoriale, della capacità di un’azienda di puntare su un prodotto o un servizio che non sia culturalmente appiattito sulle aspettative di vendita a stretto giro. Ciò significherebbe appiattire l’offerta culturale e creativa alla moda del momento, rischiando di ledere quella parte di inattesa innovazione che è invece uno dei motivi per cui tali industrie sono così importanti nella nostra vita.
Alcune suggestioni dal Festival di Cannes
Un esempio tra tutti, Coppola e Costner, quest’anno, hanno portato a Cannes film ai quali hanno contribuito finanziariamente, perché, a loro dire, nessuna produzione ha creduto nei loro progetti. E non stiamo parlando di registi emergenti. A prescindere dal successo che avranno o non avranno i loro film, è evidente che due dei film che sono stati proiettati a Cannes sono nati “a prescindere” dall’industria che in teoria dovrebbe servire proprio a realizzarli. Rischiare uno scollamento tra aspirazioni di management e ambizioni dei proprietari in alcuni casi può portare ad una perdita secca per l’Azienda. Rischiare la stessa cosa nel settore culturale e creativo, significa rischiare che esista una perdita secca per la società.
Stefano Monti
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