Concluso il restauro della Cappella Brancacci a Firenze. E non mancano le novità
Avviata alla fine del 2021 per far fronte ad alcuni distacchi di intonaco, la campagna di restauro del ciclo affrescato da Masolino e Masaccio, e terminato da Filippino Lippi, ha rivelato novità sul contesto figurativo e permesso di perfezionare un protocollo di manutenzione dell’importante opera
Era la fine del 2020 quando il distacco di un piccolo frammento di pellicola pittorica dalla scena con la Disputa di Simon Mago dipinta da Filippino Lippi nella Cappella Brancacci agli inizi degli anni ’80 del Quattrocento evidenziava la necessità di intervenire con un restauro – avviato nel 2021 – che mettesse in sicurezza uno dei testi pittorici più importanti per la conoscenza dell’arte rinascimentale.
La storia della Cappella Brancacci a Firenze
Nella chiesa di Santa Maria del Carmine di Firenze, Oltrarno, la Cappella fu fondata dalla famiglia Brancacci, nel tardo Trecento; ma a promuovere la realizzazione degli affreschi con le storie di San Pietro, commissionati a Masolino da Panicale eMasaccio, fu, solo nel 1423, il ricco mercante Felice Brancacci: i due artisti lavorarono l’uno accanto all’altro, senza tuttavia riuscire a portare a termine l’incarico per impegni che condussero il primo in Ungheria, il secondo a Roma. E non aiutò, qualche anno più tardi, la rovina di Brancacci, che per le sue simpatie antimedicee cadde in disgrazia, mentre i frati del Carmine intervenivano sul ciclo facendo rimuovere i personaggi legati alla famiglia titolare della cappella, propiziando una sorta di damnatio memoriae. Qualche decennio più tardi, tra il 1481 e il 1483, fu Filippino Lippi a intervenire per completare le scene non finite (a questa fase è riconducibile il frammento che ha dato il via all’ultimo restauro). Ma nei secoli a seguire, la Cappella Brancacci vivrà altre alterne vicende: scampata all’incendio che distrusse il resto della chiesa nel 1771, cadrà nel dimenticatoio per tutto il XIX Secolo. Nel 1904, invece, la spolveratura degli affreschi darà origine a un processo di recupero del ciclo che si protrarrà per buona parte del Novecento, fino al ripristino delle superfici pittoriche portato a termine negli anni Ottanta.
Il restauro della Cappella Brancacci a Firenze
Tornando ai giorni nostri, l’ultima campagna di restauro – condotta dall’Opificio delle Pietre Dure e finanziata dalla Fondazione Friends of Florence e da Jay Pritzker Foundation, per una cifra complessiva di 200mila euro – si è conclusa lo scorso aprile, e da qualche giorno la Cappella, oggi nel circuito dei Musei Civici fiorentini, è tornata a essere normalmente accessibile al pubblico. Intorno al restauro, in realtà, si è costruita negli anni scorsi una lungimirante iniziativa di visite in cantiere, che hanno permesso a 76mila persone di ammirare da vicino gli affreschi, salendo sui ponteggi.
La conclusione dell’intervento, però, era attesa per scoprire i nuovi spunti scientifici e storico-artistici emersi da un’operazione condotta con innovative tecniche di indagine, che hanno rivelato alcuni caratteri inediti dell’opera, permettendo al contempo di codificare un protocollo di restauro utile per la manutenzione futura del ciclo, dalla pulitura superficiale a base di gel viscoelastici alle mattonelle “di controllo” create per scandire i prossimi interventi (se e quando saranno necessari).
Le novità emerse dal restauro della Cappella Brancacci
Quanto si è scoperto in sinergia con il CNR sulle dinamiche di esecuzione degli affreschi, sulle responsabilità dei diversi autori e sugli interventi successivi che sembrerebbero aver alterato il contesto figurativo originale, invece, sarà rivelato in occasione di un convegno programmato per il 2025.
Ma già emerge qualche dettaglio di chiaro interesse, come la presenza di foglie e fronde nel riquadro di Masolino con la Tentazione di Adamo ed Eva (da non confondersi con la celeberrima Cacciata di Adamo ed Eva, opera di Masaccio sul lato opposto), attorno alle gambe dei due personaggi. Lo studio dei pigmenti ha evidenziato che l’intervento non è riconducibile all’operazione di copertura delle nudità con foglie di fico (poi rimosse) cui incappò l’affresco alla metà del Seicento. E ora si cerca di capire se le foglie scomparse fossero presenti già nel disegno originale di Masolino, o se debbano attribuirsi a Filippino Lippi.
Dal punto di vista conservativo, invece, la campagna ha rilevato diverse criticità (come diffusi distacchi di intonaco), attestando al contempo la bontà delle metodologie utilizzate negli Anni ’80, durante il restauro a cura di Umberto Baldini. Inoltre, le immagini acquisite in cantiere saranno utili per sviluppare una nuova esperienza interattiva di scoperta del ciclo, attraverso una web app 3D.
La Cappella Brancacci si visita ora tutti i giorni dalle 10 alle 17 (la domenica dalle 13), eccetto il martedì, giorno di chiusura settimanale. Con la possibilità di prenotare una visita guidata contattando il circuito MUS.E.
Livia Montagnoli
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati