Weekend al confine tra Romagna e Toscana: ceramiche, giardini e arte contemporanea
Un territorio di confine ancora poco esplorato, partendo però da riconosciute mete d’arte e storia, tra Forlì, Faenza, Cesena, Sansepolcro e l’Appennino
Inizia con questo itinerario che si muove al confine tra Romagna e Toscana, con l’Appennino ad accompagnare molte tappe del percorso, una nuova serie di piccole guide per viaggiatori lenti. Senza la presunzione di fornire un compendio esaustivo di attrazioni e attività proposte dal territorio, e piuttosto con un’inclinazione sentimentale, con riferimento non casuale al testo di Laurence Sterne (Sentimental Journey through France and Italy) che nel 1768 inaugurò un genere che tanto avrebbe influenzato la letteratura di viaggio contemporanea (non senza un accento satirico nei confronti dell’acribia descrittiva e degli schematismi delle guide stilate per il Grand Tour). Si viaggia con la curiosità di scoprire le piccole cose, entrare in sintonia con paesaggi e persone, uscire dalle rotte più battute. Sebbene l’ossatura dei nostri itinerari poggi su coordinate culturali, storiche e artistiche imprescindibili, tra musei e parchi di arte contemporanea, architettura sacra e rigenerazione urbana. Con il piacere di mescolare le carte. Dunque una sola istruzione per l’uso che sarà valida per l’intera serie, prima di iniziare: che si tratti di un percorso in città o su un territorio più esteso – persino interregionale come la prima proposta – si potrà scegliere di seguirne le tappe solo in parte, in base ai giorni a disposizione e alla propria curiosità.
Itinerario culturale tra Romagna e Toscana
Partiremo sempre da un evento o un appuntamento che ci conduce sul territorio. Ecco perché questa ricognizione tra Romagna e Toscana, sull’asse della E45, prende le mosse da Forlì e dal Museo Civico di San Domenico, dove fino al 30 giugno si visita un’enciclopedica mostra dedicata alla visione e all’estetica dei Preraffaelliti. Il consiglio è di non perderla, regalandosi qualche ora per esplorarla con calma, prima di mettersi in movimento.
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Arte e impresa alla Fondazione Dino Zoli di Forlì
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La città fortezza di Terra del Sole nel sistema mediceo
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Una deviazione nel Ravennate, tra Faenza e Casola Valsenio
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A Cesena, tra antichi codici manoscritti e musica meccanica
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Una deviazione verso il cuore dell’Appennino: tra Santa Sofia e Corniolo
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Le sorgenti del Tevere a Verghereto
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Il Piccolo Museo del Diario a Pieve Santo Stefano
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A Sansepolcro oltre Piero. Tra capolavori restaurati e rigenerazione urbana
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Consigli utili per mangiare lungo il percorso
Prima di lasciare Forlì, una visita alla Fondazione Dino Zoli racconta nel migliore dei modi il valore del mecenatismo contemporaneo. C’è infatti l’impegno di un imprenditore forlivese dietro alla nascita del progetto di promozione della cultura italiana che nello spazio espositivo di viale Bologna mette in mostra una collezione permanente di opere moderne e contemporanee e organizza di frequente eventi e incontri. Fino al 20 luglio la Fondazione ospita la personale di Silvia Camporesi dal titolo Fragile Sublime, un modo per ricordare l’alluvione che nel maggio 2023 colpì la città e gran parte della Romagna attraverso le foto inedite scattate in quei giorni dall’artista forlivese.
La Fondazione, nel frattempo, non ha mai smesso di acquisire nuove opere, sviluppando anche un programma (Who’s Next) teso a favorire i giovani emergenti.
Alle porte di Forlì, in direzione dell’Appennino, si incontra la “città ideale” di Terra del Sole. Fu Cosimo I de Medici a scegliere questo nome – che fosse di buon auspicio e testimoniasse il governo illuminato della sua dinastia – quando decise di fondare una nuova città fortificata nel 1564, per presidiare il confine del Granducato di Toscana con lo Stato Pontificio. L’abitato è ancora oggi una chiara testimonianza del modello urbanistico che si impose nel XVI secolo, coniugando le competenze dell’ingegneria militare con i canoni umanistici dell’epoca, orientati all’armonizzazione di spazio e volumi. In tal senso, all’interno della cinta muraria che si articola ancora intatta per più di due chilometri, l’abitato rinascimentale si dispone simmetricamente rispetto alla piazza centrale (la Piazza d’Armi), concretizzando lo schema della città a misura d’uomo proposto da Francesco di Giorgio Martini. Per approfondire, negli spazi di Palazzo Pretorio si visita il Museo dell’Uomo e dell’Ambiente.
Prima di scendere verso sud seguendo il tracciato della E45 nel tratto in cui valica l’Appennino, un’incursione in territorio ravennate è caldamente consigliata e non troppo fuori rotta (Faenza dista da Forlì solo una ventina di minuti in auto). Tanto più per sostenere la ripresa delle attività nella martoriata Faenza, distretto ceramico tra i più importanti d’Italia, duramente colpito dalla alluvione del 2023. In città ha riaperto i battenti lo scorso gennaio, dopo una necessaria bonifica degli spazi e delle strumentazioni, il Museo Carlo Zauli, che da oltre vent’anni divulga l’arte della produzione ceramica rivolgendosi a una platea trasversale. C’è invece tempo fino al 13 ottobre per visitare la retrospettiva dedicata a Gio Ponti dal MIC, che centra l’attenzione sul rapporto del designer con la ceramica, a partire dalle invenzioni per Richard Ginori.
Proseguendo alla volta della collina romagnola, nella media valle del torrente Senio, lungo la strada provinciale 306 si raggiunge Casola Valsenio. E si scopre salendo in collina l’attrazione più inaspettata del posto: Il Giardino delle Erbe che il botanico Augusto Rinaldi Ceroni ideò nel 1938, donandolo a Casola nel 1975. Oggi quest’angolo di paradiso riunisce 450 specie di piante utilizzate in cucina, nella medicina e nella cosmesi, disposte su terrazzamenti tra cui si può passeggiare liberamente. Il giardino è anche centro didattico, vivaio (con la possibilità di acquistare piante rare e antiche varietà), erboristeria e gelateria naturale nella bella stagione.
Rientrando nel seminato, il nostro itinerario riprende da Cesena, che vale la sosta per partecipare a un tour guidato della Biblioteca Malatestiana (ora si prenota anche online, tramite il circuito Coopculture). Unico esempio al mondo di biblioteca umanistica monastico-rinascimentale perfettamente conservata, la Malatestiana custodisce – all’interno di un’aula colonnata che imita il modello di una basilica – un importante fondo di codici miniati in pergamena, rigorosamente assicurati al proprio desco tramite una catenella (così era in passato per evitare furti, così si osservano oggi: per la consultazione si ricorre alla versione digitalizzata, preservando gli originali). La Biblioteca antica, riconosciuta Memoria del mondo dall’Unesco, sorse all’interno del convento di San Francesco per volontà di Malatesta Novello, cui si deve la costituzione dello straordinario fondo manoscritto, tramite la creazione di uno scrittorio e l’acquisto di altri preziosi codici.
Fuori dalle mura che cingono l’abitato antico, il Museo Musicalia raccoglie un altro genere di “antichità”, raccontando 500 anni di musica meccanica (quella prodotta da cilindri dentati in movimento). Tra organi da strada e carillon, trova spazio anche la riproduzione di una macchina musicale progettata da Leonardo da Vinci e descritta nel Codice Atlantico. Ingresso solo nel weekend e festivi, previa prenotazione.
La strada che dall’uscita di San Piero in Bagno si snoda tortuosa all’interno del versante romagnolo del Parco Nazionale delle Foresta Casentinesi, per raggiungere il borgo di Santa Sofia, vale la deviazione. Nel centro storico, attraversato dal fiume Bidente, due sono i motivi d’interesse per gli appassionati di arte contemporanea: la Galleria Vero Stoppioni e il Parco fluviale delle Sculture, che riunisce lavori di Arnaldo Pomodoro (Cono Tronco, 1972), Mauro Staccioli, Francesco Somaini, Giuseppe Maraniello, Flavio Favelli e altri, lungo un percorso di circa due chilometri.
La vicina frazione di Corniolo evoca invece un passaggio cruciale della storia del Novecento, prima Repubblica partigiana indipendente dell’Italia settentrionale, proclamata il 2 febbraio 1944. A 700 metri d’altitudine, uscendo dall’abitato, in primavera ed estate si visita il Giardino Botanico di Valbonella, che ricostruisce i principali ambienti vegetali dell’Appennino romagnolo, con una ricca collezione di specie, spesso rare.
A chiudere la Valle del Savio, Verghereto si erge su uno sperone roccioso, a cesura tra Romagna e Toscana. Con un trekking non troppo faticoso, nelle vicinanze dell’abitato, si arriva al cospetto delle Marne, in un paesaggio incontaminato e quasi lunare solcato da calanchi in molte sfumature di grigio. Siamo nell’area naturalistica ai piedi del Monte Fumaiolo, dove nasce il fiume Tevere: raggiungere la sorgente a piedi, camminando tra fitte faggete, permette di scoprire il monumento inaugurato da Mussolini nel 1934, per celebrare “il fiume sacro ai destini di Roma”. E di approfondire una storia improntata all’egotismo: nato a Predappio, nel forlivese, nel 1923 il dittatore fascista fece spostare i confini regionali per ascrivere alla sua provincia natale il luogo dove ha origine il Tevere.
Entrati in Toscana, nel territorio aretino della Valtiberina, Pieve Santo Stefano invita a una sosta che scava nell’intimità delle memorie private, capaci di farsi storia collettiva “scritta dal basso”. Il Piccolo Museo del Diario, ospitato all’interno del Palazzo Pretorio, è un viaggio immersivo e interattivo attraverso migliaia di scritture di persone comuni. In quarant’anni di attività, il centro ha raccolto 10mila unità diaristiche, guadagnandosi il ruolo di Archivio Diaristico Nazionale. Il percorso museale, progettato da dotdotdot, mette in luce alcune di queste testimonianze, utili per comprendere la nostra storia passata e la società in cui viviamo: al visitatore il compito di aprire i cassetti che le custodiscono, predisponendosi all’ascolto. Ad avviare il progetto, nel 1984, fu Saverio Tutino, fondatore dell’Archivio dei diari che in anni più recenti ha portato alla nascita del museo. Grazie a lui, oggi, Pieve Santo Stefano è la Città del diario.
Il nostro viaggio termina poco oltre, con l’ingresso a Sansepolcro, città di Piero della Francesca. E non solo. Tra numerosi spunti di visita – dall’Aboca Museum dedicato alle piante officinali al percorso che segue le tracce di Piero – scegliamo di segnalare un capolavoro del passato e uno spazio rinato nel presente per alimentare la ricerca contemporanea. L’uno a brevissima distanza dall’altro. Nella buio scenografico della chiesa di San Lorenzo, la Deposizione di Rosso Fiorentino è rientrata da qualche mese dopo un accurato restauro dell’Opificio delle Pietre Dure, protrattosi per sette anni. E oggi il dipinto riempie lo spazio ad aula unica della chiesa cinquecentesca, catturando lo sguardo con l’intreccio dolente di una composizione che si fa più serrata e grottesca, rispetto al soggetto analogo dipinto qualche anno prima da Rosso a Volterra. L’opera fu eseguita dall’artista fiorentino, fuggito da Roma a Sansepolcro per scampare al Sacco del 1527, per la Compagnia di Santa Croce.
La storia di Casermarcheologica inizia, invece, nel 2013, con il recupero di Palazzo Muglioni (ex caserma dei Carabinieri) per farne uno spazio culturale aperto alla città e alimentato dalla creatività di giovani artisti. Tra i progetti di rigenerazione urbana di maggior successo in Italia, oggi Casermarcheologica propone una ricca programmazione, tra workshop, laboratori creativi, l’annuale Piccola Festa dei Libri in primavera, mostre e residenze artistiche.
Proponiamo qui solo una ristretta cernita di proposte che spiccano nel contesto di un’offerta gastronomica media di grande qualità.
Dunque partendo da Forlì si inizia con gli specialty coffee della Caffeteca Gardelli, pioniera italiana tra le micro torrefazioni che fanno cultura del caffè. In città, un altro laboratorio di ricerca fuori dagli schemi è il chiosco di Benso ai Giardini Orsini, nato con le sperimentazioni di chef Pier Giorgio Parini e rimasto fedele alla linea di una creatività senza fronzoli, tra pranzetti, aperitivi e degustazioni serali.
A Faenza è goduriosa senza perdere in eleganza (dell’ambiente e del servizio) l’Osteria Enoteca La Baita, storico ritrovo per buongustai, nato come bottega di delizie locali – e il banco di gastronomia che accoglie i clienti ne è viva e gradita testimonianza – nel 1975. La cucina è improntata alla tradizione romagnola, trattata con competenza; la carta dei vini soddisfa.
Un altro luogo del cuore si scopre tra i boschi dell’Appennino, raggiungendo l’Osteria la Campanara tra Santa Sofia e Galeata. In quella che fu la canonica del borgo sta il ristorante circondato da un orto e un giardino; i piatti sono quelli di una porzione di Romagna che risente della vicinanza con la Toscana, tra tortelli alla lastra, castagnaccio, tante erbe spontanee (rosolacce, stridoli, ortiche). C’è anche una locanda per fermarsi a dormire.
Non distante da Cesena, in direzione Rimini, Terre Alte racconta invece l’Adriatico, con il pescato del giorno, pur restando appartato sulla collina romagnola. Tra crudi, sardoncini alla brace, l’immancabile zuppa inglese. In ambiente luminoso e moderno.
La città fortezza di Terra del Sole nel sistema mediceo
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Una deviazione nel Ravennate, tra Faenza e Casola Valsenio
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A Cesena, tra antichi codici manoscritti e musica meccanica
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Una deviazione verso il cuore dell’Appennino: tra Santa Sofia e Corniolo
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Le sorgenti del Tevere a Verghereto
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Il Piccolo Museo del Diario a Pieve Santo Stefano
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A Sansepolcro oltre Piero. Tra capolavori restaurati e rigenerazione urbana
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Consigli utili per mangiare lungo il percorso
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