L’incredibile mostra di Christoph Büchel alla Fondazione Prada di Venezia
Una mostra costituita da una pluralità di “ambienti” e migliaia di oggetti che si snodano senza soluzione di continuità sui tre piani del palazzo
È un fiume in piena, Christoph Büchel. Può parlare per ore e incantare l’ascoltatore con aneddoti, informazioni e storie che potrebbero facilmente colmare libri e cataloghi. Ma lui non parla in pubblico e non lascia tracce scritte di suo pugno: per lui parlano gli oggetti che raccoglie, accoglie o chiede in prestito a musei, collezioni, istituzioni e archivi. Gli oggetti sono ciò che lui ci chiede d’interrogare, perché sono loro i testimoni di epoche, fatti e accadimenti. E anche se va annoverato tra gli artisti più controversi e irriverenti della sua generazione, Büchel brilla per questa modestia ritrosa che lo rende amato e temuto e che alimenta la diffidenza dei suoi detrattori. Le sue idee radicali lo hanno portato sovente allo scontro con le istituzioni e le autorità, che lui sembra considerare più come limiti alla sua capacità di critica piuttosto che come alleati o committenti. Il limite che separa l’artista dall’attivista è per Büchel un filtro poroso.
Christoph Büchel : Il debito, motore della storia
Cosa fa girare la Storia? Il debito. Büchel lo spiega bene nella sua ultima mastodontica personale alla Fondazione Prada di Venezia, il cui edificio è stato per 135 anni, fino al 1969, un monte dei pegni. La storia della modernità ha inizio con i prestiti dei primi banchieri (tra cui i genovesi e i toscani) ai monarchi d’Europa, che potevano così finanziare guerre di conquista con cui ripagare gli stessi debiti. Il sistema del credito è un sistema del debito, diventato sovrano sia perché riguarda stati sovrani, come gli Stati Uniti o l’Italia, sia perché “detta legge” influenzando la vita di interi popoli (il caso Grecia). Per Büchel l’umanità vive in un monte dei pegni mondiale: tra le migliaia di oggetti che l’artista-collezionista espone qui, c’è uno schermo su cui scorre in tempo reale l’incremento, espresso in trilioni, del debito mondiale. Impressiona. Ci sarebbe molto da riflettere e Büchel lo fa a modo suo, trasformando Ca’ Corner della Regina, costruita dai mercanti veneziani Corner di San Cassiano nel XVIII secolo, in un palazzo enciclopedico in cui ogni oggetto corrisponde ad una “voce”, correlata a questo fenomeno cardine su cui s’impernia la storia umana.
Christoph Büchel: la memoria degli oggetti
Viviamo grazie agli oggetti, e malgrado loro, Büchel lo sa bene: non li concettualizza come fa Duchamp, né li carica di forza simbolica e medianica come fa Beuys e neppure li lascia consumare come oggetti transazionali al modo di Félix González-Torres. Si “limita” a chiamarli al banco dei testimoni e ci mostra la loro forza evocativa, il loro potenziale critico, spesso la loro verve demistificatoria; ne fa altrettanti portavoce di una realtà che, attraverso una sinfonica installazione, si offre a noi come un caleidoscopio, come una foresta di segni e di significati, come un cervello denso di sinapsi che partono in tutte le direzioni. Non bisogna prendere sottogamba le poderose accumulazioni “inventate” da Büchel. Non sono capricci formali, non si tratta per lui di creare effetti estetici. Sono discorsi critici portati avanti con l’ostinazione di uno storico, un sistema semiotico di segni duri, forme-dichiarazioni (dal gioco di Trump agli obici, per esempio), che lui ricerca e compone compulsivamente come un adepto della cultura materiale e che poi assembla con la perizia di un amanuense e la visionarietà di un poeta ermetico. L’archivio del monte dei pegni di Napoli, con i poderosi e polverosi libri mastri scritti a mano, appare come un fantasma e inghiotte il visitatore come dentro una trappola temporale. Si viene catapultati nella (sua) storia. Negli ambienti che crea come capitoli di un trattato, ogni singolo oggetto o documento, rimanda ad un fatto e ogni fatto ad un oggetto. Come nel film di Truffaut Effetto Notte, nella mostra di Büchel non vi è nulla di gratuito o casuale. Ogni oggetto in “scena” è stato da cercato, voluto e allestito in quel modo. Apparentemente è un caos, in realtà si può leggere come un libro esploso in tre dimensioni disseminato di link, in cui ogni oggetto richiama l’altro da sé. Ad un tratto, in una sala dei computer, sopra una pila di libri, appare un saggio dal titolo La memoria degli oggetti. Sembra la chiave di volta per comprendere il senso di un fare artistico che altrimenti potrebbe sembrare una terrificante riedizione, aggiornata e faraonica, del Nouveau Realisme. Büchel lo ha messo lì per noi, come tutto il resto, creando un saggio muto e concreto di ontologia orientata agli oggetti, un ramo nuovo della filosofia che studia l’essere dal punto di vista dell’oggetto e non più del soggetto, o che soggettivizza l’oggetto fino a riconoscergli uno status sovrano. Ma il palazzo è anche cosparso di idee creative, come la sala di Schei (soldi, in veneziano), in cui appare il concreto sistema di creazione e gestione di un’autentica criptovaluta destinata a dissolversi dopo la mostra.
Christoph Büchel: diamanti della memoria
Il cuore di questa mostra, costituita da una pluralità di “ambienti” e migliaia di oggetti che si snodano senza soluzione di continuità sui tre piani del palazzo, è l’opera The Diamond Maker (2020-), in cui Büchel raccoglie una serie di diamanti sintetici ottenuti processando le sue opere d’arte e perfino le sue feci. I “suoi” oggetti sono così, tutti diamanti in potenza capaci di custodire e tramandare la memoria, di produrre un approccio critico al reale, di fare luce sul nostro passato. Sapendoli ascoltare. È una mostra che merita visite ripetute, ogni nuovo passaggio permette di scoprire nuovi collegamenti e prospettive, temi e associazioni da cui scaturiscono nuove associazioni di idee e di sensi. Facendo attenzione all’effetto di spaesamento, straniamento e dispersione: può colpire in ogni istante.
Nicola Davide Angerame
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