Negli ultimi anni, il connubio tra arte e tecnologia è uscito dalla nicchia che occupava da oltre mezzo secolo, per espandersi sempre di più verso il vasto pubblico e insinuandosi in musei, gallerie, istituzioni con una presenza sempre più preponderante (spesso a discapito della qualità). Ma soprattutto, l’arte digitale si sta aprendo allo spazio fisico, trovando dimensioni phygital e modalità espositive originali, che spingono sempre più oltre i confini tra analogico e digitale. La prima esposizione “in real life” dell’artista nativo digitale Sam Spratt a Venezia è un esempio nevralgico di questo fenomeno, da osservare con attenzione: l’esposizione The Monument Game – che prende il titolo dal più ambizioso dipinto digitale di Spratt, ultimo capitolo collaborativo della serie Luci – segna infatti un tassello fondamentale dell’evoluzione degli NFT dopo la fine dell’hype che ha caratterizzato il fenomeno.
Il ciclo di “Luci” di Sam Spratt a venezia
Nello spazio di Dock Cantieri Cucchini troviamo l’intero ciclo di Luci, una serie di nove dipinti digitali dal gusto barocco, ma dall’iconografia quasi fantasy: la storia è quella di Luci, un anello di congiunzione tra l’uomo e la scimmia, che diventa simbolo dell’evoluzione personale dell’individuo e dell’umanità intera allo stesso tempo. “Il nome deriva dall’Australopithecus afarensis” spiega Spratt, “uno dei primi umani che abbiamo scoperto, nostro antico discendente. Per quanto mi riguarda, quando passi i 30 anni di vita e ti senti come se avessi mancato il bersaglio, è come se ti fossi perso tutta la nostra evoluzione, come se avessi perso tutto ciò che è venuto prima di te: ogni libro, ogni storia, ogni canzone. E per me, ricominciare da capo è come evolversi da zero, ripartendo dai nostri discendenti”. Passata la soglia dei 30 anni, Spratt ha quindi deciso – dopo un momento di “rottura” – di ricominciare da capo, e di farlo con Luci, raccontando in qualche modo la sua storia per la prima volta. Il ciclo di Luci è quello della vita: partiamo dalla nascita e proseguiamo fino alla morte, e anche oltre, attraverso la rinascita sotto forma di rete collaborativa di coscienza.
L’opera collaborativa “The Monument Game”
Ognuno dei pezzi della serie è stato venduto tramite NFT sulla piattaforma SuperRare. Quel che è più affascinante, però, è la modalità che ha coinvolto l’ultimo e più ambizioso capitolo della saga. Per The Monument Game, infatti, Spratt ha dipinto digitalmente un enorme paesaggio epico, con numerosi personaggi, ognuno dei quali racconta una storia personale. L’artista vendette inizialmente 209 NFT, utilizzati come “biglietti” d’ingresso per partecipare al gioco: ogni giocatore avrebbe quindi potuto fare un’osservazione sul dipinto, e le tre migliori sarebbero state premiate. A Venezia possiamo sfogliare quelle stesse osservazioni mentre navighiamo lo schermo touch screen installato nella seconda sala, ma possiamo anche cimentarci in prima persona, lasciando il nostro commento indelebile. La varietà delle suggestioni degli osservatori e la profondità di alcuni commenti lasciano sorpresi: “ho sempre vissuto la mia vita in un ruolo secondario”, scrive Player 212. “Aspetta, non sono pronto: la vita non aspetta nessuno, non c’è mai abbastanza tempo per nulla”, confessa Observer 219.
Dagli NFT alla “light box”: il digitale si fa materiale
Da sottolineare anche l’aspetto installativo della serie Luci: per ogni opera (fatta eccezione per The Monument Game, che resta vincolato allo schermo per mantenere l’interattività del “gioco”) si cerca di mantenere due caratteristiche fondamentali del disegno digitale – l’altissima definizione e i colori brillanti, dettati della retroilluminazione dello schermo – ma uscendo dal supporto digitale. Come? Con la “tecnica, in realtà abbastanza retrò, della ‘light box’, in cui usiamo solo una cornice di legno con una struttura metallica al suo interno, e poi la stessa temperatura di colore che hanno i LED del mio schermo. Così otteniamo la stessa identica luce, contrasto e colorazione. Inoltre i dipinti sono leggermente inclinati verso la parete, così che la luce rimbalzi, passando poi attraverso uno strato di diffusione per disperdersi nella struttura trasparente, e infine illuminando la stampa, protetta da una vernice opaca per evitare la lucentezza sulla parte superiore. E poi tutto il cablaggio è sepolto nel muro”.
Laura Cocciolillo
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