Il Ministero della Cultura ha un problema di risorse umane. Ed è bello grosso
Il MiC è in ritardo nei pagamenti di 12mila dipendenti: 65 milioni di euro che tardano a essere erogati, ma questa è solo la punta dell’iceberg di un sistema che non funziona e che a nessuno conviene migliorare
Come si legge in un comunicato unitario dei sindacati, che allerta sulle condizioni di ritardo dei pagamenti che coinvolge circa 12mila dipendenti del Ministero della Cultura, per un valore di circa 65 milioni, il Ministero sta avendo difficoltà a sostenere i pagamenti a fronte di “una mancanza delle risorse in cassa”.
La mancanza di risorse del Ministero della Cultura
Un elemento che, al di là delle singole battaglie politiche e di rapporto sindacale, merita in ogni caso una grande attenzione: perché un Ministero che paga in ritardo i propri dipendenti per mancanza di risorse, trasmette un’immagine di scarsa solidità, condizione che ha delle implicazioni molto profonde sulle attività di ciascuna organizzazione.
Non c’è bisogno di entrare in tecnicismi: chiunque di noi sa che, senza un’adeguata solidità finanziaria, le banche non erogano prestiti o mutui. Se li concedono, lo fanno a tassi più elevati.
Ovviamente, è solo un esempio per chiarire come una mancanza di solidità finanziaria possa avere delle implicazioni dirette non solo sull’immagine pubblica, ma anche proprio nelle dimensioni più concrete. Se quanto affermato dal comunicato stampa risponde a realtà, quindi, il problema non è tanto il ritardo nei pagamenti (per quanto tale problema sia enorme, sia chiaro), ma è la serie di interventi che potrebbero rendersi necessari ma che non sono solvibili.
Musei Autonomi e risorse umane
Tutto ciò fa riflettere, anche tenendo conto delle lotte che diversi Direttori di Musei Nazionali Autonomi hanno timidamente cercato di avviare per favorire il raggiungimento di una completa autonomia da parte dei musei che ne facciano richiesta.
Musei come gli Uffizi, ad esempio, potrebbero probabilmente garantire direttamente il pagamento dei propri dipendenti. Non solo, potrebbero decidere chi assumere, e quante persone assumere, e con quali tipologie contrattuali. Una condizione di questo tipo consentirebbe una migliore autonomia, da bilanciare soltanto con la necessità di distribuire le risorse tra le varie strutture museali (autonome e non autonome). Non mancherebbero tuttavia meccanismi atti a garantire il rispetto di tale principio di equità distributiva, come l’identificazione di un massimale di spesa per le risorse umane proporzionale al numero di visitatori annui.
Lo spreco di competenze
Così come non mancherebbero modalità per avviare un generale ripensamento delle risorse umane che devono avere necessariamente un contratto ministeriale. Negli anni si è assistito in varie circostanze ad assunzioni che poi, una volta sopraggiunte nuove normative in termini di spesa ed in termini di bilancio, si sono trasformate in veri e propri vincoli in termini di assunzione di nuovo personale, creando delle vere e proprie distorsioni all’interno del mercato del lavoro legato alla cultura. Quanti dottorandi hanno, negli anni, partecipato a concorsi per i quali veniva richiesto anche solo un diploma? Si tratta di una condizione che siamo ormai abituati a considerare normale, ma è tutt’altro che naturale, è patologica. Così come è patologico che il Ministero abbia dovuto trovare, nell’opportunità del PNRR, l’opportunità di assorbire nuove competenze attraverso contratti che spesso hanno validità annuale.
Bisogna ripensare le risorse umane del MiC
Uno scenario che, brutalmente, può essere sintetizzato come segue: non sempre i dipendenti rispondono, per competenze e per esperienza, alle esigenze di un Ministero che da dicastero minore si è trovato ad essere uno dei più importanti settori per lo sviluppo turistico e territoriale del nostro Paese. Ci troviamo con un Ministero il cui organico è sottodimensionato rispetto alle esigenze. I casi più brillanti potrebbero ridurre il peso che le risorse umane hanno sull’interezza delle risorse che vengono attribuite al Ministero, ma nessun cenno, né dalla sinistra, né dalla destra, è stato fatto in questo senso. L’insieme di competenze spesso paralizza il lavoro delle soprintendenze, condizione che grava ritardi su altri processi di lavoro. Le nuove competenze sono immesse attraverso contratti a tempo determinato, a fronte di contratti a tempo indeterminato che generano per il ministero minore valore aggiunto. Abbiamo assunto dei dottori di ricerca in beni culturali nella posizione di custodi, ma non possiamo assumerne altri in posizioni più congrue. Quando non ci sono risorse ci si affida a cooperative di servizi che spesso propongono ai propri cooperanti retribuzioni ben più basse del valore aggiunto che essi apportano all’organizzazione. E nonostante tutto, il Ministero accumula ritardi nei pagamenti per 12mila dipendenti.
A chi conviene migliorare la situazione?
È chiaro che un tema così complicato non può essere risolto in modo semplice, così come è evidente che avviare delle azioni in questo senso è un’azione completamente antipolitica, perché implica delle scelte che sollevano da subito proteste durante la propria legislatura, a fronte di benefici che si manifesteranno probabilmente a legislatura ultimata. È tuttavia altrettanto chiaro che tutto ciò merita in ogni caso un’attenzione. L’unico modo di generare un cambiamento è introdurre cambiamenti. Se non si ha il coraggio di cambiare nulla, allora si accetti che tutto resti com’è.
Stefano Monti
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