A vent’anni tradotto e plagiato in tutto il mondo. Chi è il poeta Mattia Tarantino 

Per la nostra ricognizione sulla poesia contemporanea, intervistiamo Mattia Tarantino che, nonostante la giovanissima età, riscuote successi internazionali

Immaginiamo di essere un poeta poco più che ventenne, e di trovare un nostro testo pubblicato – senza il nostro consenso – su alcune riviste messicane, rivendicato da un altro autore. Immaginiamo poi di scoprire che la notizia era stata segnalata dai lettori e rilanciata da testate internazionali come Al Jazeera English e El Paìs. È ciò che ci ha raccontato l’autore a cui è dedicato questo episodio della nostra rubrica di poesia contemporanea in Italia, nonché una delle voci più interessanti del panorama poetico attuale. Mattia Tarantino (Napoli, 2001) codirige Inverso – Giornale di poesia e fa parte della redazione di Atelier. Collabora con numerose riviste, in Italia e all’estero, tra cui Buenos Aires Poetry. Per i suoi versi, tradotti in più di dieci lingue, ha vinto diversi premi. Ha pubblicato L’età dell’uva (Giulio Perrone Editore, 2021), Fiori estinti (Terra d’Ulivi Edizioni, 2019), Tra l’angelo e la sillaba (Terra d’Ulivi Edizioni, 2017); tradotto Verso Carcassonne (Raffaelli Editore, 2022) e Poema della fine (Terra d’Ulivi Edizioni, 2020). In questa chiacchierata, segnata dallo stesso umorismo ed eloquio indefinibilmente suo che dà vita ai suoi versi, Mattia ci ha parlato della sua ultima fatica letteraria: Se giuri sull’arca, uscito nel giugno 2024 per Fallone Editore.  

Mattia Tarantino, Se giuri sull'arca
Mattia Tarantino, Se giuri sull’arca

Intervista a Mattia Tarantino 

Mattia, Se giuri sull’arca sembra una leggenda mai scritta che finalmente trova voce. Quanto c’è di reale e autobiografico in questo tuo poema e quanta fiaba, invece? 
Non credo siano domini separabili, anzi. Mi sembra la soglia che abitiamo sia il luogo in cui l’uno e l’altro si toccano e indistinguono. Sull’esistenza di qualcosa chiamata “realtà”, tra l’altro, non scommetterei un centesimo. Conservo un certo sospetto, invece – che la realtà costituisca un imponente dispositivo di governo del possibile. Una tecnologia di potere, niente di interessante.  

Mi sembra che nella tua opera aleggino invisibili le voci che ti hanno ispirato, lievi nelle parole e quindi complesse da individuare. Vuoi dirci qualcosa sui modelli letterari presenti in Se giuri sull’arca? 
Ho rimesso nel libro i debiti che dovevo. L’arca tenta in parte di continuare la manovra cominciata dalla Specie storta di Giorgiomaria Cornelio. Per il resto, c’è nell’aria, ma come un cenno, ammiccando, Dimitrs Lyacos con la sua trilogia, Poena Damni.  

Mi colpisce, così come nel tuo precedente L’età dell’uva, l’uso che fai di una maniera semantico-lessicale che sembra geneticamente tua e che lascia intravedere un certo divertimento nel crearla e giocarci. È così? 
Sì. Occorre pasticciarci, con la lingua, sbrodolarla. Fare un’ammesca-francesca, lasciare rovini, oppure colpi a vuoto, cinguettii.  

La poesia di Mattia Tarantino 

Nascosti, mimetizzati tra gli angeli e i macellai della tua storia si trovano anche tanti tuoi affetti, amori, amicizie. Che rapporto hai con loro e quanto c’è di loro in ciò che scrivi? 
Il poema racconta la storia di questi ultimi anni. Le storie di Nicola, Dario, Bruno. Le storie degli amici attorno. Sono loro l’arca, la carovana. Passano come ombre, in processione, una tammurriata bianca – un testamento.  

Tue opere sono state pubblicate e tradotte in varie parti del mondo. Vedersi e conoscersi in altre lingue, nel caso di un genere come la poesia, è più una fonte di stimoli positivi o più una frattura innaturale? 
Cosa passa nella lingua, come scorre. Cosa si incrina, cos’è che pulsa e la sfancula. Come qualcosa, oppure, risuonando la oltrepassi e le si impigli ai bordi, tentennando. C’è in gioco questo, credo, passando da una lingua all’altra. Ammesso esista qualcosa come una lingua. Abbiamo piuttosto a che fare, forse, con una poltiglia, un pasticcio, una brodaglia. Sono cose che richiamano forze e campi, leve di potere, saperi di guerra. C’è poi da dire che la traduzione è un gesto al contempo possibile e impossibile. Ricordiamo Benveniste? “Si può trasporre il semantismo di un discorso in un’altra lingua (è la possibilità della traduzione), ma non si può tradurre il semiotismo di una lingua in quella di un’altra (è l’impossibilità della traduzione)”. Eccolo il dominio da indagare. 

Maria Oppo

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