Cosa resta quando un artista se ne va. La presenza di Marina Abramović a Pesaro
Nel suo anno da Capitale Italiana della Cultura, Pesaro ha ospitato al Centro Arti Visive Pescheria la performance immersiva in realtà mista della celebre Marina Abramović. Un resoconto dell’evento
La nostra epoca è caratterizzata da una digitalizzazione dilagante e nemmeno il settore dell’arte ne è esonerato. La contaminazione con tecnologie avanzate si rivela così una nuova via per produrre contenuti fruibili in modalità inedite. Esempio di quanto detto è The Life, progetto artistico di Marina Abramović (Belgrado, 1946) e Todd Eckert (Syracuse, 1969), CEO dello studio Tin Drum specializzato in Mixed Reality, approdato al Centro Arti Visive Pescheria di Pesaro in occasione dei festeggiamenti della città come Capitale italiana della Cultura, dopo una storia importante cominciata nel 2019 presso la Serpentine Gallery di Londra. “Questo progetto rappresenta l’essenza della ricerca che ha guidato il percorso che ci ha condotto a Pesaro 2024: l’arte crea uno spazio inedito tra reale e virtuale, oltrepassa i confini della performance in presenza e crea una connessione umana autentica tra artista e spettatore. Molto di più di un’opera immersiva, The Life è una riflessione profonda su natura e tecnologia, corpo e memoria” ha dichiarato il Presidente della Fondazione Pescheria, Daniele Vimini.
In questo contesto e a differenza delle esibizioni precedenti, la mostra è stata arricchita dall’abito originale curato da Oana Botez ed elementi acustici che invitano lo spettatore a riflettere sulla natura della memoria, percepita come confine metafisico in cui l’artista transita tra il tempo e lo spazio.
Marina Abramović e Todd Eckert presentano “The Life”
Lo scorso 18 giugno 2024 la corte di Villa Imperiale ha ospitato la conversazione con Marina Abramović e Todd Eckert: alla presenza delle istituzioni e della stampa, sono state analizzate le tematiche centrali di The Life. L’attenzione è stata posta sulle possibili intersezioni tra tecnologia e azione performativa, coltivando allo stesso tempo la connessione umana che si crea tra pubblico e artista. L’immagine digitale di Abramović le ha consentito di realizzare una performance nonostante la sua assenza materiale, sgretolando i confini dell’evento in presenza ed entrando nella sfera unica e personale della memoria
Vi era la volontà di lasciare al pubblico qualcosa di mai sperimentato precedentemente. È possibile sfruttare la tecnologia per questo obiettivo? Che cosa resta quando l’artista se ne va? Questi sono solo alcuni degli interrogativi da cui ha avuto origine il progetto. Ed è quindi sul concetto di memoria e sul rapporto con il pubblico che l’artista serba si sofferma, punto focale del suo percorso artistico. L’evento, infatti, riflette sul potere dell’arte come forza intangibile, frutto dell’incontro tra l’artista e l’energia collettiva che scaturisce da coloro che prendono parte all’opera.
Marina Abramović e il ruolo della tecnologia
Nonostante lo scetticismo nei confronti della tecnologia, con cui l’artista afferma di avere un rapporto ambivalente, questa è stata utilizzata per realizzare un’opera dal forte impatto emotivo.
“Quando Todd Eckert è venuto da me proponendomi questo progetto ho accettato, dato che ho lavorato per 55 anni col mio corpo e avevo il desiderio di sperimentare la tecnologia: la carta vincente è stato il mix, la realtà mista che ha creato qualcosa di davvero vero e allo stesso tempo non vero”, ha dichiarato.
In seguito, rispondendo a una domanda in merito all’impatto delle intelligenze artificiali sul mondo dell’arte, Eckert si definisce tranquillo perché “è l’uomo che ci sta dietro a dargli valore, perciò non la considero una minaccia”, mentre Abramović sostiene una prospettiva meno ottimista, ritenendole “un disastro, se non torneremo alla semplicità noi perderemo come umanità”.
L’evento al Teatro Rossini
Alla conferenza stampa è seguito un talk durante il quale Marina Abramović e Todd Eckert hanno interagito con il pubblico. L’evento ha ottenuto un notevole successo, registrando il tutto esaurito in soli 28 minuti e riempiendo tutti i posti disponibili tra platea e galleria, con una significativa affluenza di giovani partecipanti. Un dialogo a due, quello tenutosi nel teatro seicentesco, in cui sono stati analizzati una serie di capitoli che spaziavano tra il rapporto tra performance e corpo, il ruolo della tecnologia, l’arte tra passato e futuro, il ruolo dell’arte nel caos, humor, sesso, vergogna e, infine, cosa resta quando un artista se ne va.
Su un monitor alle loro spalle scorrevano una serie di immagini che accompagnavano un colloquio dai toni scherzosi ma al contempo emozionali, una forma inedita anche per loro di rapportarsi al proprio pubblico.
Diana Cava
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