Mercato dell’arte o mercati finanziari? Il confine è crollato
A maggio la Consob ha bloccato le attività della società Art Invest Srl per mancanza di requisiti e garanzie. È il primo caso in assoluto che dimostra il bisogno urgente di regolamentare gli investimenti in arte secondo le regole della finanza
Acquistare opere d’arte per puro piacere è sempre più raro. La domanda e l’offerta di prodotti e accordi che abbiano anche un ritorno economico sono ormai all’ordine del giorno. Finché si tratta di compravendita di giovani nomi dall’alto potenziale speculativo – e rischio proporzionale – grossi problemi non ci sono. È ormai nella normalità del mercato dell’arte, e rimane nei suoi confini. Quando, però, il discorso verte su altri termini e le promesse sono di vendite con riacquisti a tassi di rendimento fissi e sicuri, la situazione si complica. Se, infatti, gli operatori del mercato dell’arte cominciano a vendere prodotti finanziari travestiti da dipinti, entrano nella sfera regolamentata dei mercati finanziari. E, per quel che riguarda la UE, e dunque l’Italia, vendere prodotti e servizi al pubblico richiede di sottostare a certe regole e di acquisire le doverose autorizzazioni. Tutto un altro mondo, insomma, rispetto al mercato dell’arte. Un mondo nuovo, ma con il quale – se di prodotti finanziari artistici e art advisory si vuole sempre più parlare – è giunto il momento di imparare ad avere a che fare. Vale per gli offerenti, ma anche per i collezionisti che intendono acquistare. Un utilissimo spunto di riflessione è quanto accaduto il maggio scorso, quando la Consob, la Commissione Nazionale per le Società e la Borsa, l’autorità nazionale che vigila sui mercati finanziari, ha sbarrato la porta alla società Art Invest Srl, impedendole di vendere i suoi prodotti finanziari artistici al pubblico italiano. È un caso che merita di essere analizzato, perché solleva proprio tutta quella cascata di conseguenze e interrogativi che la rottura del confine tra mercato dell’arte e finanza porta con sé.
L’offerta di investimenti in arte di Art Invest
Quello di cui si parla – così come citato in un articolo di The Art Newspaper – è di una nuova variante di investimento in opere d’arte. Una delle tante che sempre più si vedono comparire sul mercato odierno, orientate più al guadagno economico che non al puro acquisto di piacere. Art Invest Srl è infatti una società italiana che vende dipinti ai privati interessati (dal collezionista-trader esperto, fino all’entusiasta neofita al primo acquisto), con la doppia promessa di ricomperarli dopo 18 mesi, e di ricomperarli a un minimo di valore incrementale del 6,8%. Inoltre, se nel frattempo ci si fosse affezionati alle opere (non è specificato il luogo in cui sarebbero custodite per il periodo) le si potrebbe anche tenere senza restituirle. Un affare allettante, insomma. E quel che è ancora più attraente (e apparentemente rassicurante) è vedere questi annunci pubblicati su Facebook. Quanti artisti offrono le proprie creazioni via social? Imbattersi in un’offerta un po’ più speculativa e articolata – soprattutto per un giovane milionario amante del rischio – suonerebbe di questi tempi normale. Ma la Consob ha detto no. Come mai?
Perché il caso Art Invest Srl parla di prodotti finanziari
Per quanto possa essere venduto su Facebook, il prodotto offerto da Art Invest Srl è a tutti gli effetti uno prodotto finanziario. E solo in seconda battuta un affare artistico. Se si legge la definizione di prodotti finanziari che riporta la stessa Consob, si capisce subito l’analogia. Sono tali tutte quelle forme di investimento che includono “(a) un impiego di capitale, (b) un’aspettativa di rendimento di natura finanziaria, e (c) l’assunzione di un rischio direttamente connesso e correlato all’impiego di detto capitale”. La proposta di Art Invest – da quel che si intende e da quel che anche la Consob ha intuito – soddisfa tutti i requisiti.
Come funzionerebbero gli investimenti in arte nel mercato finanziario in Italia
Interpretando la definizione appena detta, si ha la conferma di avere a che fare con un’offerta di un prodotto finanziario simile a quelli canonici, che promettono all’investitore un rendimento di almeno 6,8% rispetto al prezzo di partenza, nell’arco di tempo di un anno e mezzo (ossia 18 mesi). C’è inoltre un’opzione aggiuntiva, particolarmente attraente per un individuo appassionato di arte. Ossia di poter acquisire (e si suppone in concreto) l’opera in oggetto alla fine del periodo. E questa proposta, per quanto piuttosto insolita, potrebbe comunque essere accettabile per il mercato, considerando i casi di strumenti finanziari speciali in continuo aumento. Ciò che è davvero importante, è che l’offerente abbia le carte in regola per operare. In nome della trasparenza, della competizione leale, e soprattutto della protezione degli investitori finali, chi vende prodotti e servizi finanziari deve sottostare a una serie di regole minime definite a livello europeo, di cui la Consob verifica puntualmente l’applicazione. Il destino di coloro che – come in questo caso per Art Invest Srl – non le rispettano, è di non poter continuare a vendere i propri servizi. Se infatti si va sul sito della Consob – nell’area Avvertimenti (dove è comparso anche il caso in esame) – si vedrà spesso ricorrere, negli annunci, un messaggio che invita a fare attenzione, sottolineando come dal 2019 (quando le è stato conferito il potere di agire in questi termini) i siti chiusi perché offrivano investimenti illeciti e non autorizzati ammontano oggi a più di 1000. È una cifra in continua crescita, che attualmente comprende anche il sito di Art Invest, ritenuto fuori dalle regole dalla Consob.
Gli acquirenti e il mercato dei prodotti finanziari artistici
Per continuare a esporre i nodi della questione, supponiamo che il prodotto finanziario artistico in esame provenga da una società che abbia ottenuto l’autorizzazione a operare, dimostrando di avere i requisiti. Art Invest Srl si fermerebbe qui (e così è avvenuto), essendo chiamata a fornire la documentazione richiesta dalla Consob. A questo punto, la normativa europea (la MIFID II e aggiornamenti successivi) richiederebbe all’intermediario incaricato di collocare il prodotto e di identificare il mercato a cui esso è rivolto. In nome della tutela dell’investitore (anche quello completamente inesperto) non tutti i titoli finanziari sono adatti a tutti i portafogli. Quelli sopra un certo grado di rischio sono di solito preclusi ai non-esperti. Dove, per essere etichettati come esperti non basta una laurea in economia e finanza: serve piena consapevolezza, una professione vicina ai mercati, e familiarità con strumenti diversi dai Titoli di Stato. Per chi si rivolge a una banca per questi servizi, ad esempio, c’è un apposito questionario preliminare da compilare, che – testando le conoscenze del cliente – lo inserisce nella categoria opportuna. Altro punto fondamentale: il documento che illustri tutte le caratteristiche del prodotto, i rischi e le aspettative di rendimento, con un linguaggio (relativamente) semplice. Cosiddetto KID (Key Information Document). Per entrambi i punti sollevati, è superfluo dire che Art Invest al momento non riesca a soddisfarli. L’annuncio di Facebook molto probabilmente non corrisponde ai requisiti informativi di un KID. E, soprattutto, pubblicare una proposta di investimento finanziario sui social non consente di segmentare adeguatamente il target, destinandola solo a chi è consapevole del rischio molto elevato.
Come rendere i prodotti finanziari artistici in regola
Analizzati tutti gli aspetti del caso, è chiaro che si tratti di materia finanziaria, pur con una componente formale artistica. Materia che deve rispettare le regole del suo rispettivo mercato. Viene però naturale chiedersi come mai il problema non si sia mai posto prima. È forse questo il primo caso di investimenti artistici che con l’arte hanno poco a che fare? Come rileva The Art Newspaper, il mercato inglese ne è probabilmente pieno da tempo. Perché, dunque, non si è ancora fatto nulla? Perché la FCA – equivalente della Consob britannica – non ha ancora bloccato nessun sito che offra prodotti analoghi? Potrebbe spiegarsi considerando che molte di queste proposte non sono pubbliche: rimangono trattative private, rivolte ai collezionisti più facoltosi. Lo stesso fatto di essere offerte appetibili solo a una cerchia di pochi eletti multi-miliardari ha finora ridotto la priorità di azione, ritenendo secondari i rischi per il pubblico. Se, però, questi prodotti finanziari artistici iniziano a circolare anche presso individui più vulnerabili e con minor capacità di assorbimento di perdite – le offerte di Art Invest Srl partivano infatti da 3.000 euro – il problema diventa più serio. Ed è un problema che potrebbe toccare una cerchia più ampia di attori che operano sul confine tra arte e finanza. Le società che offrono occasioni analoghe a quella discussa sono senz’altro coinvolte; ma la lista prosegue, chiamando in causa una categoria fin qui non citata: l’art advisor. Assimilando i due mercati, infatti, occorrerebbe guardare anche a coloro che offrono consulenze orientate a favorire l’acquisto dei suddetti prodotti artistico-finanziari. La normativa UE impone infatti norme e requisiti anche nei loro confronti, a tutela dell’investitore e della trasparenza del mercato. Ecco un altro tema critico, nuovo, che presto potrebbe essere sollevato.
Emma Sedini
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati