Il festival teatrale di Borgio Verezzi: 58 edizioni in evoluzione. Intervista a Maximilian Nisi
Il festival ospitato nel comune ligure di Ponente si rinnova grazie alla direzione artistica dell’attore e regista Maximilian Nisi. L’abbiamo intervistato per saperne di più sul programma di quest’anno, la sua poetica e i progetti per il futuro della rassegna
Essere o apparire: il sottile filo dell’inganno è il titolo-programma scelto dall’attore-regista Maximilian Nisi (Faenza, 1970), nominato nel gennaio scorso nuovo direttore artistico, per l’edizione 2024 dello storico festival teatrale di Borgio Verezzi (dal 5 luglio al 14 agosto). L’abbiamo intervistato.
Intervista a Maximilian Nisi
Il festival teatrale di Borgio Verezzi ha una lunga storia e una fisionomia consolidata nel panorama delle rassegne estive italiane: quando le è stata proposta la direzione artistica del festival, qual è stata la sua reazione?
Stupore. Non me lo aspettavo. È cominciato tutto con una telefonata. Avevo altri programmi per quest’estate, dei progetti di lavoro che ho dovuto abbandonare e un viaggio che avrei voluto fare. Ho cambiato rotta, di gran fretta, e ho preso il timone di una nave che, per anni, da passeggero, mi ha portato in luoghi fantastici e che era rimasta senza un capitano. Non ho accettato l’incarico per vanità, per brama di potere, sono una persona semplice, defilata, poco ambiziosa, l’ho fatto per amore del Teatro, in soccorso a un Festival che, in trent’anni, mi ha dato tanto e al quale, forse, oggi, posso restituire una minima parte di ciò che ho ricevuto, in termini di dedizione e di amorosa cura. È un mandato che mi ha complicato la vita, ma è capitato e, credo che, in fondo, una ragione in tutto questo ci sia.
Come ha scelto di impostare il suo ruolo di direttore artistico: continuità o discontinuità rispetto alle direzioni passate?
Ho apprezzato molto il lavoro di Enrico Rembado, il fondatore del Festival, e quello di Stefano Delfino, il suo successore. Hanno sempre saputo come tener alta la bandiera, in due periodi, peraltro, diversissimi tra loro. Hanno individuato e messo a fuoco ciò che, in quel momento, era bene proporre. Rembado era un Sindaco, Delfino un giornalista, io, da attore, come posso non tener conto della mia formazione artistica e non desiderare innovazione, cambiamento e crescita?
Come ha declinato, dunque, il concetto di “discontinuità”?
Sono partito dall’analisi dalle sensazioni accumulate nel tempo, quelle che ho ricevuto, in questi anni, partecipando al Festival, come attore o come regista. Opportunità non colte, qualche contraddizione, la sensazione di mancanze. E sto facendo riferimento alle mie esperienze di lavoro nel e col territorio. Penso molto al pubblico, spesso sottovalutato e considerato, in generale, troppo poco da molti addetti ai lavori, un pubblico che, in realtà, è molto più esigente e desideroso di bellezza di quello che si crede.
A questo proposito, qual è il rapporto con le istituzioni e gli abitanti di Borgio Verezzi, molti dei quali residenti temporanei, soltanto durante la stagione estiva?
È un rapporto di profonda conoscenza, di stima. Ho partecipato a undici edizioni del Festival, ritirato premi, recitato al Teatro Gassman e persino in Duomo. Ho lavorato con quasi tutte le realtà del territorio che si occupano di teatro, danza, musica, spesso dopo l’estate, in mesi in cui quel borgo magico sembra addormentato, anche se in realtà scoppia di energia. Come gli alberi, che nel periodo più freddo dell’anno sono già pieni del loro potenziale e ti fanno intravedere, nel silenzio, lo splendore che saranno in primavera. È in quei momenti che comprendi quanto il Teatro sia importante, quanto stia al di sopra di tutti noi, quanto ci contenga, perché il Teatro può darci tanto, perché è fondamentale alla crescita e alla vita di ciascuno di noi.
Ha ipotizzato progetti ad hoc per stimolare ulteriormente la partecipazione degli spettatori?
Bisogna lavorare duro per divertire il pubblico, ma ancora più alacremente per conservarlo e, soprattutto, per crearne di nuovo. Bisogna ascoltarlo, non per compiacerlo, ma per capire e stimolarlo, innalzarlo, educarlo. Basterebbero degli spettacoli belli, importanti, necessari. Il bel teatro non è utopia, anche se si sa che ha bisogno di mezzi e le produzioni estive sono, spesso, le più povere, le più improvvisate. Per questo sto pensando al gemellaggio con altri festival. La fusione di energie, sicuramente, alzerebbe il livello delle proposte.
In che modo?
Raddoppierebbe le competenze e le partecipazioni sarebbero moltiplicate se fosse possibile condividere i mezzi. Anche la partecipazione al Festival di personaggi televisivi, può andar bene, a patto che questi vengano inseriti in un contesto fortemente teatrale (un testo, una regia, altri attori, dei costumi, una scenografia che possano, in qualche modo, contenerli e metterli completamente a servizio del Teatro). Ci occupiamo troppo, della televisione, quando la televisione, da parecchio tempo, ha smesso di occuparsi del Teatro. Sarebbe bello che il Teatro e la televisione fossero fratello e sorella, potrebbero sostenersi a vicenda, ma, purtroppo, da molto tempo non è più così.
E per quanto riguarda gli spettacoli in programma?
La scelta dei testi è fondamentale. Penso a quei testi universali, senza confini, non relegati a un’epoca precisa, testi che esistono e resistono nel presente e che riescono a parlare a ogni generazione con la stessa intensità. Quei testi che, una volta finito lo spettacolo, ti lavorano dentro e che educano il pubblico alla memoria. Siamo ossessionati dall’idea della modernità a tutti i costi. Ci siamo allontanati dai grandi classici, semplicemente perché non siamo più in grado di leggerli e di capirli. Certo, sono testi del passato che, malgrado i temi universali, indubbiamente andrebbero ripensati e tradotti per il pubblico di oggi – stesso significato, differente modalità di comunicazione e di linguaggio – e diretti da registi e interpretati da attori in linea con i tempi potrebbero essere celebrati nella loro bellezza e nella loro costante attualità. Questo stimolerebbe certamente il lavoro creativo, mezzo e scopo ultimo di quello teatrale. Vorrei non escludere la drammaturgia contemporanea o quella del passato, significativa, che non è possibile portare in una piazza, perché necessita di spazi più protetti, come quelli di un teatro. Una Sezione Off, per intenderci, come accade in molti Festival del mondo. Rassegne per includere e per variare. Mi piacerebbe, inoltre, creare momenti di incontro, di studio, di formazione, sempre più rari, e incentivare il lavoro dei più giovani, premiando progetti con obiettivi di crescita sociale per tutto il territorio.
Lei è attore e regista: in che modo pensa che le sue professionalità possano arricchire l’impegno come direttore artistico?
So cosa manca alla nostra categoria, la frequento assiduamente. Alcuni cambiamenti non farebbero male. Tuttavia sono anche consapevole che questi hanno bisogno di tempo, di condivisione e soprattutto di mezzi per essere attuati. Mi spiacerebbe se queste mie parole, questi miei propositi, rimanessero dei sogni. Il Teatro è un’opportunità troppo grande per lasciarsela sfuggire, un valore immenso. È cultura ed è un patrimonio che va salvaguardato. Io ci credo e vorrei provarci.
Laura Bevione
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