Aldo e Marirosa Ballo: la storia di due grandi fotografi del design in mostra a Castello Sforzesco
Una storia illustre, una famiglia nell’arte, e il design più bello fotografato in un’epoca eroica mentre nascevano i compassi d’oro, raccontato in una mostra a Milano
C’è il design, fatto da nomi eccellenti noti ai più, e c’è la fotografia di design, conosciuta soprattutto dagli addetti ai lavori, che contribuì alla sua promozione in maniera determinante senza peraltro ancora oggi essere ascritta in senso stretto alla sua storia. Furono infatti maestri dagli obbiettivi infallibili a decretarne il successo fin dagli anni Cinquanta e Sessanta, quando cominciavano ad affacciarsi al mondo dell’editoria riviste specializzate che fecero grande il prodotto industriale italiano, permettendo di esportarlo nel mondo: “Stile Industria” (1954), “Abitare” (1961), “Ottagono” (1966), “Casa Vogue” (1968). Fra questi si ritagliarono un ruolo del tutto speciale Aldo Ballo e Marirosa Ballo Toscani, maestri dello spazio, dell’inquadratura e della luce calibrati su set fotografici accuratamente orchestrati, quasi si trattasse di palcoscenici ideati per riti da officiare in onore della dea “Forma”.
Le foto di Ballo & Ballo
Non c’è dubbio, infatti, che quelli realizzatI da Aldo e Marirosa non fossero scatti seriali, bensì il frutto di uno studio attento, mirato a valorizzare le qualità gestaltiche dell’oggetto e, benché si trattasse di mise-en-scène spesso spoglie – in cui gli unici protagonisti erano spremiagrumi (Alessi), lampade (Artemide) o macchine da scrivere (Olivetti) – volto a offrire un impatto visivo ed emozionale. Aldo Ballo scrisse nel ‘94: “secondo me la cosa più importante è questo cercare uno spazio simbolico. Il mio ideale è … lo spazio di Gianni Colombo … è fatto con dei fili elastici neri … mossi da certi motori …: e questo movimento, questo spazio che cambia, è una cosa che mi affascina e che, in fondo, in altra maniera, ha guidato gli spazi che ho dovuto creare attorno agli oggetti”.
Uniti nel lavoro come nella vita personale – si sposarono giovanissimi nel 1953 –, i Ballo si dedicarono dunque a una “missione” che segnò in modo indelebile lo scenario milanese – straordinariamente vivace dal punto di vista intellettuale e non solo – intersecando territori diversi, ma per molti versi contigui: fotografia, design, architettura, arte, grafica, comunicazione, pubblicità. Nel ’54 partiva la loro collaborazione con “Domus”, un anno-spartiacque in cui debuttava anche il Compasso d’Oro promosso da La Rinascente, su suggerimento di Gio Ponti e con la sua partecipazione in giuria, in un crescendo di fervori di ricerca e di nuove aperture professionali.
Il design negli Anni CInquanta
Un capitolo straordinario, dunque, iniziato insieme nei primi Anni Cinquanta e portato a significativi esiti alla fine del decennio, quando, dopo esordi incerti, i Ballo riuscirono a organizzare un superattrezzato studio in Via Calco 2, a lato delle Carceri di San Vittore, in un’area che cominciava solo allora il suo sviluppo urbano e di certo non era segnata dalle stigmate della centralità tipica dei salotti buoni milanesi.
Lei, figlia di Fedele Toscani, apprezzato fotoreporter con l’agenzia Rotofoto, e sorella del non ancora famoso Oliviero, nonché ex studentessa a Brera; lui, fratello dello storico dell’arte e docente all’Accademia di Brera Guido Ballo, con alle spalle frequentazioni a Brera come alla Facoltà d’Architettura del Politecnico.
Tanti gli amici dai nomi significativi che gravitavano intorno all’ormai collaudato Studio di Via Calco: gli architetti e designer Gae Aulenti, Bruno Munari, Joe Colombo, Massimo Vignelli, ma anche grafici e art director quali Max Huber – il loro dichiarato “maestro” –, Bob Noorda, Pino Tovaglia o Giancarlo Iliprandi; i fotografi Mario De Biasi, Giorgio Colombo, Lanfranco Colombo – fondatore de “Il Diaframma” e fotografo egli stesso –, nonché, più tardi, Gabriele Basilico. E altrettanto numerosi furono gli industriali
interessati al mezzo che permetteva di valorizzare commercialmente il risultato dell’impegno di progettazione e produzione intrapreso per le loro fabbriche. Valgano i nomi di Osvaldo Borsani, fondatore di Tecno; di Giorgio Soavi, responsabile degli uffici pubblicità dell’Olivetti e pertanto portavoce dell’azienda eporediese, tramite l’Ufficio Sviluppo di Milano definito da molti la “Bauhaus italiana”; di Roberto Sambonet, sempre a caccia di talenti per l’azienda di famiglia; e, più tardi, di Alberto Alessi per Alessi.
Ballo & Ballo: le aziende
Casi a parte furono rappresentati dalle aziende Danese e Driade. La prima, fondata nel ’57 da Bruno Danese e Jacqueline Vodoz, già a fine anni Cinquanta mostrò un’affinità di intenti con i Ballo che sfociò in un’intensa collaborazione durata fino al 1987. Convinti che “il conservare fosse un sostegno indispensabile per il fare”, i produttori, con negozio-galleria in piazza San Fedele a Milano, fin dall’inizio della loro storia vollero costruire un archivio fotografico che documentasse il loro “racconto” per oggetti. La seconda, capitanata dal ’68 da Enrico Astori, Adelaide Acerbi e Antonia Astori, voleva invece creare con l’aiuto dei Ballo – di cui apprezzava portata artistica e ruolo culturale – un laboratorio estetico che offrisse un’immagine globale della sua avventura imprenditoriale. La lettura critica del prodotto attuata dai maestri dell’obbiettivo milanesi portava infatti alla formulazione di un nuovo stile dotato di nitidezza ed essenzialità – e mai privo del sorriso dell’ironia –, che non poteva che essere accolto entusiasticamente da chi, in pieno boom economico, guardava al futuro con il desiderio di essere sempre à la page, anzi “avanti” sui tempi.
Non a caso nel 1972 Emilio Ambasz, curatore della celebre mostra “Italy: The New Domestic Landscape”, tenutasi al MoMA di New York, avrebbe chiamato lo studio Ballo, ormai in vetta al successo, a illustrarne quasi tutto il catalogo, sia con immagini di repertorio che con nuove campagne fotografiche. L’esposizione, è noto, fu un successo internazionale.
Questo, e molto altro, è narrato nella mostra “Ballo&Ballo. Fotografia e design a Milano, 1956-2005”, allestita al Castello Sforzesco di Milano e curata da Silvia Paoli (fino al 3 novembre). I contributi in catalogo (SilvanaEditoriale) sono firmati da Alberto Saibene, Paola Proverbio, Studio Azzurro – che ha anche realizzato l’originale lay-out espositivo – e Silvia Paoli, che del Civico Archivio Fotografico del Castello, al quale Marirosa donò nel 2023 gli Archivi dello Studio, è anche conservatrice.
Alessandra Quattordio
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati