Strutture di potere, attivismo, femminismo, memoria. Intervista a Eric Otieno Sumba
Le persone vogliono il cambiamento. A Roma una mostra racconta i temi delle relazioni di potere, l’emergere storico di razzismo e colonialismo, e l’azione delle donne nella lotta per l’autodeterminazione. L’intervista
Scrittore, editor e ricercatore indipendente con un background in teoria sociale, economia politica, studi postcoloniali e critica d’arte, Eric Otieno Sumba è redattore (presso Haus der Kulturen der Welt (HKW) a Berlino. Dal 2018 è presenza fissa in Italia, a Roma, dove collabora con Johanne Affricot e Celine Angbeletchy al Collettivo Spazio Griot, piattaforma fondata da Affricot di ricerca e promozione artistica, culturale e transdisciplinare che celebra, promuove e stimola la pluralità nella produzione artistica e culturale, coinvolgendo persone afrodiscendenti di varie comunità. Fino al 28 luglio, con la prima europea di A Plot, A scandal di Ligia Lewis e Path to the Stars di Mónica de Miranda, Spazio Griot presenta a Roma il progetto Riverberi, presso La Pelanda. Ne abbiamo parlato con il co-curatore Eric Otieno Sumba.
Intervista a Eric Otieno Sumba
È in corso la terza stagione del progetto di Spazio Griot al Mattatoio. Con Sediments si è parlato di memoria, con Rifrazioni di allegoria della rappresentazione e quest’anno sulle relazioni di potere. Con quali focus?
Quest’anno ci stiamo concentrando su tre fenomeni intimamente correlati. La questione della razza bianca come struttura di potere (Candice Breitz), l’emergere storico del colonialismo/razzismo come forme durature di oppressione (Ligia Lewis) e l’azione delle donne nella lotta per l’autodeterminazione (Mónica de Miranda). Il dibattito su questi temi è in corso, ma non si trova, ad esempio, nei media generalisti. Attraverso i social media, diverse persone hanno livelli di consapevolezza drasticamente differenti su questi problemi. Mostrando queste opere insieme, speriamo di creare uno spazio di coinvolgimento.
Mentre c’è grande attenzione nell’ambito culturale, il mondo della politica, salvo i casi di Inghilterra e Francia, e della opinione sembra che stia subendo una svolta profondamente conservatrice. Come ti spieghi questa difformità e che cosa può fare la cultura, e l’arte per creare maggiore sensibilità?
Zadie Smith una volta ha scritto: “Le persone a volte chiedono il cambiamento. Non chiedono quasi mai l’arte. Di conseguenza, l’arte si trova in una dubbia relazione con la necessità – e con il tempo stesso”. Non penso che questa dubbia relazione sia una cosa negativa, anzi riduce il rischio che l’arte venga strumentalizzata secondo le priorità e la politica del momento. L’arte non promette nulla, per lo più è semplicemente lì. Il coinvolgimento nell’arte, almeno per me, ha sempre effetti piacevolmente sorprendenti, e penso che sia tutto ciò che possiamo sperare in questo momento.
Con Johanne Affricot avete scelto tre artiste con una pratica molto diversa, con quali approcci hanno lavorato a Roma?
Candice Breitz, Ligia Lewis e Monica de Míranda sono artiste in anticipo sui tempi, ognuna con carriere e un incredibile lavoro pionieristico. Siamo estremamente onorati di mostrare le loro opere insieme a Roma perché parlano tra loro in molti modi anche se sono estremamente diverse le une dalle altre. Non hanno adattato il loro lavoro al contesto romano, ma il lavoro è accessibile al pubblico perché abbiamo reso disponibile una traduzione italiana dei sottotitoli
Che idea ti sei fatto della scena culturale romana? E della sensibilità della città verso i temi trattati, rispetto ad esempio a Berlino, città in cui lavori?
Sono venuto a Roma per la prima volta nel 2018 e da allora sono tornato molte volte perché ho imparato ad apprezzare profondamente la collaborazione con Johanne Affricot, Celine Angbeletchy e i tanti incredibili romani che ho incontrato tramite Spazio Griot. Abbiamo sempre ricevuto un’accoglienza calorosa e positiva da parte delle comunità artistiche della città ai nostri programmi ed eventi. C’è curiosità e interesse per il lavoro che svolgiamo e per gli artisti che mostriamo e penso che sia molto più importante che confrontare un contesto con un altro. Ogni contesto deve essere affrontato alle sue condizioni. A Roma credo che il lavoro di Spazio Griot continui ad approdare su un terreno fertile e di questo ne siamo molto grati.
Il tema dello Straniero, dell’altro inteso come altro dal sistema di valori dei bianchi è il focus della Biennale di Venezia: pensi che la manifestazione curata da Adriano Pedrosa abbia colto nel segno e da un punto di vista politico abbia preso una posizione radicale a riguardo?
Non sono stato alla mostra di Venezia e quindi non posso dire molto a riguardo. Penso che la questione dell’altro nella storia dell’arte debba però essere costantemente posta e rivisitata di tanto in tanto, non come una performance di criticità a beneficio dei bianchi, ma più come un esercizio di curiosità significativamente più umile: cos’altro c’è e come influenza ciò che sappiamo di ciò che è già lì?
Santa Nastro
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