L’artista indigena Maree Clarke porta lo sguardo dei nativi australiani a Firenze
Per la prima volta un’istituzione pubblica europea accoglie le opere dell’artista australiana Maree Clarke. Accade al MAD Murate Art District di Firenze, con un progetto che travalica il perimetro del polo diretto da Valentina Gensini e raggiunge il Museo di Antropologia e Etnologia
Aculei di echidna, mantelli di pelle, denti di canguro, canne di fiume sono tra i materiali che, nell’arco di tre decenni di produzione artistica, Maree Clarke ha scelto di adottare per le proprie opere. Per l’artista indigena australiana classe 1961, discendente dei Mutti Mutti, Yorta Yorta, Wamba Wamba e Boon Wurrung, si tratta di una modalità di lavoro necessaria per consolidare il legame con le proprie origini, portando nello stesso tempo alla ribalta memorie e consuetudini dell’area del sud-est australiano. Come trasferire questo patrimonio di conoscenze, acquisito negli anni, in un contesto geografico e culturale come quello fiorentino? Su quali leve agire per rispondere all’invito di realizzare una serie di opere site-specific in un luogo a sua volta denso di stratificazioni e storie come il MAD Murate Art District di Firenze?
La mostra e la residenza dell’artista Maree Clarke a Firenze
In occasione della sua prima mostra in un’istituzione pubblica europea, Clarke ha avuto l’opportunità di misurarsi con la peculiare dimensione dell’ex convento e, successivamente ex carcere, fiorentino. Esito di un intervento di rigenerazione urbana a base culturale che ha fatto scuola in città, il complesso sorge a breve distanza dal fiume Arno, da anni epicentro di ricerche e sperimentazioni per i numerosi artisti internazionali chiamati a contribuire all’omonimo progetto artistico promosso da MAD. Un “gruppo” al quale, in questo 2024, si unisce Clarke, che durante il suo mese di residenza nel capoluogo toscano si è orientata proprio lungo l’argine fluviale come iniziale territorio d’indagine.
Maree Clarke: dall’Australia a Firenze
È camminando lungo le sue sponde, in quello che immaginiamo come un percorso di progressivo avvicinamento al cuore della città, che Clarke ha raccolto i materiali essenziali per le lunghe collane esposte fino al 28 luglio prossimo in una delle sale monumentali di MAD. Esportando a Firenze la tradizione indigena australiana di accoglienza, che assegna a questi oggetti l’incarico di garantire sicurezza e protezione a chi li indossa, l’artista ha combinato canne fluviali dell’Arno con piume dipinte provenienti dalla sua terra. Sono questi oggetti, esito dell’intreccio materiale e simbolico tra la sua cultura con quella locale, a dare il benvenuto nella personale dal titolo Welcome to Barerarerungar.
La dimensione naturale per l’artista indigena australiana Maree Clarke
Ad affiancarli, in una quinta scenografica contraddistinta da colori saturi, è la serie di ingrandimenti fotografici di cellule di piante, incluso il bambù. Una successione di stampe translucenti di formato quadrato, ciascuna distaccata di qualche millimetro dalla superficie muraria per suggerire attraverso l’ombra un effetto 3D, che pone l’accento su quella dimensione della natura normalmente visibile solo attraverso i vetrini dei microscopi. Più in generale, siamo di fronte all’invito, quello rivolto dall’artista ai visitatori, ad apprezzare ogni minima porzione del creato. Pur conservando l’attenzione sulla dimensione naturale, dopo questo incipit, Welcome to Barerarerungar affronta temi universali nelle altre sale di MAD. Il lutto, la scomparsa di sé, la possibilità di rinascita dalla Madre Terra, la rivendicazione della propria identità costituiscono infatti l’asse concettuale dei lavori con cui Clarke rivela al pubblico fiorentino la sua attitudine anche all’uso di un’ulteriore gamma di media: dal video alla fotografia, fino all’installazione. Ed è proprio dalla loro unione che traggono origine gli interventi artistici pubblici all’aperto inclusi in Welcome to Barerarerungar. Invertendo il consueto punto di osservazione, come incoraggia a fare il pensiero decoloniale, i ritratti in bianco e nero degli indigeni allestiti nei cortili di MAD e del Museo di Antropologia e Etnologia, puntano per la prima volta i loro occhi su Firenze.
Valentina Silvestrini
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