L’artista Marco Cingolani allestisce il suo atelier in una galleria d’arte di Milano
Entrare in galleria… ma ritrovarsi nel mezzo dell’atelier di un pittore, circondati da barattoli e pennelli da pulire. È l’esperimento che si è tentato di fare con questa mostra. Per noi riuscitissimo
“Mi piace andare a comprare le cose. E mi piace stare con le cose nel mio studio. Mi piace persino lavare i pennelli…”. È così che l’artista Marco Cingolani (Como, 1961) descrive il legame che lo unisce al suo studio, e alle cose che lo abitano. È uno spazio vitale, dall’inevitabile carica creativa in sospensione nell’aria. Guardando ai suoi lavori, ci si immagina l’atelier milanese di Via Moscova ricchissimo di colori, materiali, cose accatastate qua e là, con l’idea che possano prima o poi servire. Un posto mistico, senza tempo ne orari: obbedisce solo all’ispirazione del momento del suo inquilino.
Con Atelier du Pentre, la Galleria Gaburro tenta per la prima volta di portare uno studio fuori dallo studio. Più che una mostra, si parla di un teatro: uno spettacolo curioso. Uno di quei casi di teatro contemporaneo che provano a ridefinire le regole del palcoscenico, sovvertendole alla radice. Questo, infatti, è uno spettacolo che non ha bisogno degli attori – o meglio attore – perché possa avere inizio e svolgersi. Il pubblico vi può assistere anche senza: la mostra vive, giorno dopo giorno, dall’opening al finissage. Senza che ci sia l’artista a presenziare.
L’atelier del pittore Marco Cingolani alla Galleria Gaburro di Milano
Si entra, e già pizzica il naso per l’aria pregna di sentori di olio di lino e trementina. Fragranza familiare per alcuni, odore straniero per altri. Sulla destra, un vecchio tavolo di legno dall’aspetto massiccio, che fa da segnaposto dell’artista, suo probabile proprietario. E lui? Dov’è? La narrazione ironica di questa mostra vuole che sia assente. Rimangono a presidiare la galleria per lui i suoi mobili, le sue opere, e qualche gigantografia del suo studio. Riguardo quest’ultimo, poi, la riflessione è altrettanto contraddittoria: è un paradosso dire di portare fisicamente un atelier fuori dalla sua rispettiva porta. Eppure, funziona: le pareti bianche da white cube tradiscono solo in parte la messinscena. Ma è anche questo parte del gioco espositivo: tutto è pensato in modo ironico, in linea con la personalità dell’artista.
Idoli e barattoli di pittura in un angolo della Galleria Gaburro
Di tutto lo spazio, la scrivania di legno e l’angolo di destra rimangono i più emblematici per respirare l’aria dello studio di Via Moscova. Scorrendo i vari oggetti accatastati sul piano – le sue amate cose – si fantastica, immaginandolo lì a lavorare. Ci sono i pennelli, i tubetti di vernice, e poi i bicchieri e i barattolini. Contenitori di plastica, tolti dallo scaffale del supermercato ormai chissà quanti anni fa. I più curiosi potrebbero perdersi a identificare tutti gli acquisti abituali dell’artista. Ma vale piuttosto la pena di indovinare i suoi idoli: personaggi della cultura popolare più o meno noti, dipinti su cartelli accatastati alla parete d’angolo. È la sua celebre serie Fan Parade. Vi si riconoscono subito Iris Apfel, Miles Davis, e (per gli esperti) l’inventore del Fantacalcio Riccardo Albini.
I dipinti di Marco Cingolani in mostra alla Galleria Gaburro
Abbandonando l’angolo-studio, si entra nel vivo della mostra più canonica. Una selezione di opere su tela – per un totale di 23 lavori complessivi – che ripercorre tutta la carriera di Marco Cingolani. Dagli esordi degli anni ‘70 a oggi. Da quando iniziò a scrivere per una rivista Punk, al suo atelier della Moscova. Ciascuna ha dietro una storia curiosa e una certa ironia di fondo. Molto spesso è la didascalia con il titolo la vera chiave di senso che fa apprezzare il gioco studiato dall’artista. Solo leggendo Io e Tiepolo a Würzburg si è indotti ad assemblare le pennellate a mo’ del soffitto affrescato nell’omonimo castello in Baviera. Oltre a questa, tantissime sono le citazioni prese dall’esterno, decontestualizzate, e riassemblate in qualcosa di nuovo. La serie di foto Paparazzi conferma.
I Teatrini di Marco Cingolani in mostra alla Galleria Gaburro
Un ultimo cenno va ai Teatrini. Scatole appese ad altezza sguardo, grandi quanto quelle dei biscotti, che fanno da palcoscenico aperto verso il pubblico. Tra gli attori – figurine di cartone disposte come marionette – l’artista non manca mai. Lo si riconosce come protagonista di quelle scenette che mescolano vita e finzione, biografia e pensiero. Con l’immancabile consueto fondo di ironia.
Emma Sedini
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