L’industria videoludica francese ha contribuito alla storia del medium con opere come Another World di Éric Chahi (1991) e Alone in the Dark di Frédérick Raynal e Infogrames (1992), uno dei videogiochi alla base della serie horror Resident Evil di Capcom. E oggi è capitanata dalla multinazionale Ubisoft con la sua serie Assassin’s Creed: 200 milioni di copie vendute in tutto il mondo a cui si sommano giochi da tavolo, romanzi, fumetti, un film con protagonista Michael Fassbender e varie serie TV annunciate nel corso degli anni. Perché l’Italia non ha niente del genere? E cosa possiamo imparare dall’esempio francese? L’occasione per discuterne ce l’ha data First Playable, l’evento annuale di IIDEA, l’associazione italiana che riunisce studi di sviluppo e editori di videogiochi, organizzato insieme a Toscana Film Commission con l’Agenzia ICE e il supporto del Ministero degli Esteri.
La Francia ospite dell’edizione 2024 di First Playable
First Playable ha proposto tre giorni di conferenze, workshop e occasioni per gli studi italiani che vogliono proporre i loro videogiochi a editori internazionali. L’evento si è nuovamente tenuto a Firenze, nello spazio Nana Bianca, e i biglietti sono andati sold out, a conferma di quanto ci sia fame di simili momenti di incontro e socialità nel mondo del videogioco italiano. Per la prima volta, First Playable ha avuto una country partnership, un Paese ospite: la Francia, appunto, che ha partecipato grazie alla collaborazione con l’Institut Français Italia, che promuove la cultura francese sul nostro territorio, SNJV (Syndicat National du Jeu Vidéo), che rappresenta il settore videoludico francese, e CNC – Centre National du Cinéma et de l’Image Animée, cioè l’ente pubblico francese che si occupa di audiovisivi (videogiochi compresi).
L’ecosistema creativo francese
Il primo aspetto che è emerso parlando con gli studi di sviluppo presenti è che l’industria francese può e sa approfittare della sinergia con altre industrie creative ben sviluppate nel Paese, come quella del fumetto e dell’animazione. Per esempio, negli Anni Ottanta, la già citata Infogrames è diventata nota per i suoi adattamenti di serie a fumetti francofone. E il fumettista belga Benoît Sokal ha diretto, per lo sviluppatore francese Microids, il videogioco Amerzone (1999) e la serie Syberia (a partire dal 2002). “Ho cominciato lavorando nella produzione musicale e poi nell’aimazione” ci ha raccontato Aymeric Castaing, fondatore e CEO di Umanimation, compagnia francese che si è dedicata anche al videogioco negli ultimi quattro anni. “Ho iniziato a fare animazione con strumenti per lo sviluppo di videogiochi e poi ho incontrato un vecchio amico, anche lui proveniente dall’animazione, Cédric Babouche, e ci siamo messi insieme a lavorare al videogioco Dordogne, che già stava sviluppando”. Umanimation ha collaborato all’animazione di Dordogne, partendo da acquerelli dipinti da Babouche stesso. “Noi siamo stati influenzati da molte arti diverse” ci ha spiegato Yoan Fanise, direttore di un altro degli studi francesi ospiti di First Playable, DigixArt. “È una cosa che dobbiamo mantenere ma che è sempre più difficile preservare perché le nuove generazioni sono influenzate solo da altri videogiochi”.
Il finanziamento pubblico francese per il videogioco
Il secondo elemento, citato sia da Castaing sia da Fanise, è il supporto pubblico che il videogioco riceve in Francia attraverso iniziative come il tax credit, il credito d’imposta, misura da tre anni presente anche in Italia. “La Francia ha introdotto il tax credit nel 2007, e non ha un modello molto diverso dal nostro, ma ha una diversa esperienza che ha maturato nel tempo” ha dichiarato il direttore generale di IIDEA Thalita Malagò alla stampa invitata. “Da un lato vorremmo un rafforzamento del tax credit. Maggiori fondi disponibili, un maggiore massimale per azienda… Poi ci vorrebbe anche un fondo per i prototipi, che [come il tax credit] vorremmo gestito dal Ministero della Cultura perché intanto si sono formate competenze al suo interno” [chi scrive questo articolo è stato parte della commissione deputata a valutare il valore culturale dei videogiochi che chiedono l’accesso al tax credit]. “A livello pratico, il tax credit ha creato un incremento del 25% del budget su molti progetti italiani” ci ha detto Yves Hohler, cofondatore dello studio italiano Broken Arms Games. “Questo si traduce in più assunzioni e/o in maggior ossigeno per la produzione, permettendo di creare un prodotto migliore e, di conseguenza, maggiori possibilità di generare vendite più elevate, il che si tradurrà in un consolidamento delle aziende interessate. Ci si aspetta un circolo virtuoso che si autoalimenterà e il tax credit è lo shock iniziale che può innescarlo”.
L’influenza dei big players del videogioco francese
Il terzo fattore importante per il successo del videogioco francese è la presenza di grandi aziende come Ubisoft, aziende che tra l’altro hanno promosso la creazione proprio del tax credit. “Tutti in Francia sono stati in Ubisoft” ci ha spiegato Fanise, che infatti viene proprio da una lunga esperienza in questa compagnia. “Potrei dire che è la scuola migliore”. Ma perché in Francia è riuscita a nascere un’azienda come Ubisoft? Anche l’Italia, in fondo, ha avuto importanti aziende videoludiche tra la fine degli Anni Ottanta e gli Anni Novanta, e anche in Italia si tentò la sinergia con un mondo del fumetto all’epoca piuttosto rilevante: l’azienda Simulmondo realizzò per esempio una serie di videogiochi dedicati ai personaggi della Sergio Bonelli Editore. Azzardiamo un’ipotesi. Una causa potrebbe essere, ancora, identificata nel contesto: l’industria italiana fatta di piccole e medie aziende potrebbe non essere riuscita a sostenere la crescita dei videogiochi, e dei loro budget, al momento dell’avvento del CD-ROM come supporto. Insomma, l’industria dei videogiochi cresce se cresce tutto l’ecosistema creativo e industriale.
Matteo Lupetti
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