Pablo Picasso fece una vita da straniero. Un libro spiega e racconta
Il file rouge presente nel ponderoso saggio biografico che Annie Cohen-Solal dedica a Picasso, considerato l’autore di una delle rivoluzioni estetiche più significative della storia, si caratterizza nella negazione della cittadinanza francese all’artista da parte dello Stato
Pablo Picasso muore l’otto aprile del 1973. La Francia giudica la sua opera parte integrante della propria storia. Ma forse non tutti sanno che l’artista non otterrà mai la cittadinanza francese. Anche se è stato l’artefice di una delle rivoluzioni estetiche più significative della storia. E che il Louvre nel 1929 rifiuta la donazione delle Demoiselles d’Avignon. Nella robusta biografia (Picasso, una vita da straniero, Marsilio Specchi) che Annie Cohen-Solal dedica al maestro spagnolo, rovistando tra gli archivi della prefettura della polizia di Parigi scopre la sua condizione di emarginato. Di essere agli inizi del Novecento un sorvegliato speciale.
Il libro di Annie Cohen-Solal
Non ha commesso nessun crimine. Non si è macchiato di nessun delitto, se non quello di non essere francese. “Ho trovato documenti”, racconta in un’intervista la studiosa, “impronte e fotografie che dimostrano come la polizia considerasse Picasso un alieno e un reietto. Per tutta la vita fu tenuto sotto controllo per tre motivi: non parlava francese e quindi considerato uno straniero; era sospettato di essere anarchico perché aveva frequentato alcuni catalani e, infine, in quanto artista all’avanguardia, era stato rifiutato dall’accademia di Belle Arti”. Alla domanda se lo stigma di straniero che lo ha bollato per tanto tempo abbia influito sul suo lavoro artistico, la biografa risponde che la creatività di Picasso si esprime in una successione di innovazioni formali, non limitandosi ad un solo codice estetico. Ma se si considerano le opere dipinte nel 1905, quando, dà vita ai Saltimbanchi, oppure alle opere create durante l’occupazione nazista della Francia, appare evidente la rilevanza del contesto.
E quindi collegando storia dell’arte e storia sociale, legge l’estrema solitudine nell’Autoportrait che Picasso dipinge nel 1901 (Musée National Picasso-Paris). Dislocato sulla destra si autoritrae con un ingombrante cappotto blu oltremare che lo sovrasta. Immobile: nulla chiede, nulla pretende. È un uomo da un lato indifeso ma dall’altro sicuro e vigoroso.
La pittura di Pablo Picasso
La luminosità del volto spicca al centro della tela: pupille, occhiaie, labbra, nonostante le complicazioni, comunicano risolutezza. Un’altra opera di questo periodo che attira l’attenzione della biografa è Le Moulin de la Galette. Con la sua sala appena illuminata dai lamIn Arlequin assis sur fond rouge 1905, acquarello e inchiostro su cartone, un piccolo burattino solitario e pensieroso, seduto con le gambe penzoloni, lo sguardo nel vuoto, il volto precocemente invecchiato su un corpo di fanciullo. Indossa la tutina e il collare increspato, il bicorno di sghimbescio.
Nei Saltimbanchi prima citati si trova la conferma della stretta simbiosi tra contestualità esistenziale e configurazione iconica. Arlecchino, il buffone in rosso, commenta la studiosa, i due giovani acrobati, la bambina e la donna di Majorca, non svelano il loro mistero. Nella loro immobilità, con i loro fagotti e le loro ceste, sembrano di passaggio. Come fossero in sosta in un viaggio nello spazio e nel tempo, verso una destinazione ignota. Sono dipinti gli uni accanto agli altri ma non c’è comunicazione tra di loro. Non c’è niente che aiuti l’osservatore a determinare la dimensione paesaggistica dell’ambiente.
Fausto Politino
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