L’estate romana e la riappropriazione della città pubblica. Riti, luoghi, progetti, vie di fuga nella e dalla Capitale
Ci si chiede: di quanto spazio pubblico abbiamo bisogno? Cosa pretendiamo da esso? Il gratuito fa i conti con la Capitale convertita in un contenitore a gettone. I prezzi popolari non esistono più, difficile trovarne di sociali. Si è riempita ovunque di recinti in concessione, una città privé separata da una transenna e una pr con la lista. Si dà inizio all’estate romana
L’estate è il momento in cui ci si riappropria fisicamente della città pubblica. Sale il bisogno di vederla in libertà, senza incombenze, persino di pretenderla. La domanda di base è semplice, “che c’è oggi a Roma?”, la risposta è rapida, “andiamo a vedere”, indica disponibilità, movimento, ed è meno influenzata dal marketing di quanto si possa immaginare. Le situazioni non devono conquistare fino in fondo, ma neanche far perdere tempo: quello che deve venire incontro è la sensazione di accoglienza, perché è quello che si chiede a questa città. A maggior ragione d’estate Roma ti dice “io apro, tu abitami”. Senso di partecipazione che poi però bisogna saper restituire.
L’ingresso nell’estate di Roma
Come si entra nell’estate di Roma, c’è un rito, un biglietto, un nome in lista? Dopo il reset del lockdown lo spazio pubblico si è ripopolato lentamente e ogni estate di questo luogo mediterraneo ed esibizionista è servita a fare il tagliando di controllo, cioè dei suoi fondamentali. L’estate illumina ovviamente per prima i gioielli della corona, cioè parchi, ville, giardini, piazze, fori, gli spazi del grand tour, basterebbe l’Appia antica da sola (Unesco ci sei?), quelli più moderni, fiumi, argini, ciclabili, sentieri. La mia estate si è aperta con Antonello Venditti che in mezzo alla strada, pudico e silente davanti al suo liceo, ha filmato gli studenti abbracciati in cerchio nel cortile, cantare in coro la classica “Giulio Cesare” per l’ultimo giorno di scuola. Un altro ingresso glocal è stato trovarsi sotto la girandola di Castel Sant’Angelo per la festa patronale di Pietro e Paolo, il più antico spettacolo pirotecnico capitolino. Sono i “fochi d’allegrezza” amplificati dai riflessi del Tevere, un tempo in funzione dell’autorappresentazione del potere papale, Nicolini gli dedicò una mostra nel 1982. Per secoli avvistati da lontano, dove prima la città non arrivava e oggi invece sì. Fuochi adesso innocui ma non importa, perché questi sono gli anni del ripasso, dell’inventario Roma. Chi c’è, chi ci sarà?
I recinti dell’estate romana
Una volta entrati nell’estate romana, ci si chiede: di quanto spazio pubblico abbiamo bisogno? Cosa pretendiamo da esso? Il gratuito fa i conti con la città convertita in un contenitore a gettone. I prezzi popolari non esistono più, difficile trovarne di sociali. Si è riempita ovunque di recinti in concessione, una città privé separata da una transenna e una pr con la lista. Oasi posticce, dove semplicemente costano tanto le cose da bere e mangiare, e la sosta è solo una tassa da pagare all’estate. Ricordo l’imbarazzo per l’inaugurazione di un salotto all’aperto, un giardino elegante ma in coabitazione con una struttura di ricovero. Avevo già visitato il chiostro storico, ma una volta diventato recinto serale, ecco la fila fuori. Sedersi a Roma è diventato un business – chi non rimpiange la seduta in travertino di Palazzo Farnese, chiusa dai tempi del Bataclan? – e noi una città di imbucati a casa propria. Fingiamo che Roma non sia nostra ma di altri, quelli che ci hanno lasciato il sarcasmo – che è solo una forma di cattiveria – e le feste nei recinti la cui massima aspirazione è essere in lista. Da ultimi romantici, perché Roma è più forte di qualsiasi recinto, conquistiamo una terrazza solo per vedere pezzi mai avvistati dell’orizzonte capitolino, “quella è la Madonna della scimmia della torre medievale dei Portoghesi”. Basterà? Nella Roma del 1962 Sandro De Feo già si chiedeva “quanto combustibile occorreva una volta per accendere il fuoco e quanto ne occorre oggi?”
L’estate romana: le alternative
Meglio allora le feste nel chiostro del Centro Culturale Anziani Ponte a Corso Vittorio, villaggio pubblico che resiste ai recinti e ai fondi immobiliari. Meglio Via Balilla, enclave popolare e malandrina dietro Porta Maggiore, suburra anni 2000, rambla di scorta sullo stradario romano, che ogni 15 giugno celebra se stessa in una festa aperta. Via Balilla dall’Accademia Americana non si vede, dall’Istituto Svizzero nemmeno, eppure farebbe bene a certe pallide residenze. Meglio il festival di musica elettronica di culto, l’Half Die a Porta Furba, 4 date a luglio con vista sull’acquedotto Felice, sulla terrazza di casa di un privato, sempre a ingresso libero e gratuito, da oltre 20 anni.
L’estate romana: i classici
Si rimproverano alla città pubblica gli eccessi di confidenza ma come non riconoscersi nella gente con la macchina in seconda fila, affacciata sul muretto alto di San Saba per scroccare i concerti di Caracalla, o in chi arriva con le sedie sul grande marciapiede davanti all’area archeologica del Circo Massimo, l’arena musicale di chi vuole prendersi Roma, per guardare i concerti nei maxischermi per cui qualcuno ha pagato biglietti salatissimi.
Tra gli aggregatori che d’estate vanno a pieno regime, come i ponti pedonali della Scienza e della Musica, c’è Piazza Testaccio: approdo sicuro, porto franco, trionfo dello spazio pubblico. Relativamente giovane (123 anni), a lungo sede del mercato rionale. Quadrata, calibrata, semplice, efficace. Quattro livelli di passeggio intorno alla fontana: chiunque può parlare di sé, racconti, progetti, divorzi, confidenze, nessuno sente cosa dicono gli altri. Tre tipi di panchine permettono di fare pranzi, cene, compleanni, feste improvvisate. “È una svolta”, un modello. O un miracolo? È una piazza dentro la città e non contro, non espropriata alla viabilità del rione e senza il brutalismo delle nuove spianate pedonali. Piazza Testaccio lenisce la ferita del rovinoso restyling di piazza San Silvestro di cui nessuno mai ha scritto l’obituary. A regime anche il nuovo parco Marconi, tre ettari e mezzo di argine del Tevere restituiti al pubblico. È più di Tiberis, forse una testa di ponte per quell’ossessione che Roma ha mollato: Il Tevere. Navigarlo, utilizzarlo, persino dragarlo. Di fronte, a San Paolo si lavora per un parco simile.
L’estate romana: i belvederi
Fuori dai recinti c’è l’anello estivo che tiene insieme la città slabbrata, sono le decine di arene gratuite a qualsiasi latitudine. Su tutte “Cinema in piazza” alla Cervelletta e Monte Ciocci, dove c’è anche il belvedere più recente, da cui non si vede un film ma Roma fino alla Vela di Calatrava. D’estate si cercano piazze alternative come i belvederi per un bisogno fisico di sollevarsi, la città sfiata e noi con lei. Poco distante è in corso la battaglia di Piazza Socrate – una rotonda sotto il boulevard più ricco della Balduina – per rendere accessibile e sicura la naturale terrazza panoramica con vista su San Pietro. Tra incuria e sabotaggi l’autarchia non ha funzionato, l’amministrazione ha messo un muretto e una rete provvisori, in attesa della riqualificazione. La gente va comunque, ma è il secondo degrado con vista del quartiere, il più famoso affaccio dello Zodiaco è da anni in abbandono.
L’estate romana: solitudini
Girando d’estate puoi sbattere addosso alla solitudine degli spazi pubblici. Incanto e mortificazione. Ogni riapertura porta con sé un rimpianto. Espugni finalmente l’ottocentesco Forte Antenne, protagonista di “Che la festa cominci” di Ammaniti, ma nella stessa Villa Ada guardi ancora sola e sfregiata da inutili graffiti la Coffee house, entri per un concerto nelle Cave di Tufo a Tor Cervara, di età repubblicana, e ripensi alla scalinata occupata dai rovi della seicentesca Villa York, venduta per mancanza di volontà. Per fare pace con questa città pubblica smarrita c’è l’inossidabile spiaggia di Capocotta, ancora libera, non è un miraggio.
Stefano Ciavatta
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