A Milano l’artista Aldo Sergio stende le sue tovaglie bianche in galleria
È una mostra di tovaglie bianche immacolate, quella che questo pittore presenta nella nuova sede di Tommaso Calabro. Un progetto carico di simboli, surrealismo, e folklore
Quando si vede un oggetto inerte o un mobile vuoto, l’immaginazione umana ne è involontariamente stimolata. Non la si ferma: corre libera e lontana, fantasticando su tutto ciò che quell’oggetto potrebbe aver visto e passato poco prima. Si prenda un tavolo – ad esempio – un tavolo con una bella tovaglia bianca, pulita e finemente ricamata. Una fonte di possibilità di accadimenti incredibile.
È proprio su queste riflessioni che si sviluppa il primo tema protagonista della nuova mostra di Aldo Sergio (Salerno, 1982), ospitata per tutta l’estate 2024 nella nuova sede milanese della galleria di Tommaso Calabro. Si tratta di una proposta di grande raffinatezza – tanto per concetto, quanto per tecnica dei dipinti – che dialoga in sintonia con il palazzo signorile di Corso Italia. Guardare negli occhi un coniglio: questo è il titolo dell’esposizione. Titolo che, in modo altrettanto involontario, rievoca un che di fiabesco, forse vicino al Paese delle Meraviglie. Ma è solo un assaggio degli stimoli mentali che le opere di questo artista sono in grado di produrre.
La mostra di Aldo Sergio da Tommaso Calabro a Milano
In mostra, l’artista salernitano porta due corpus di lavori. Entrambi sono declinazioni della sua personalissima ricerca, orientata a un simbolismo che medita sullo spirituale e sul folklore propri della tradizione italiana.
I tavoli d’antiquariato
La prima serie – Ode to the zero – è il risultato di oltre quattro anni di lavoro. Un lavoro lento e meditativo, dedito alla cura dei minimi dettagli dei soggetti. Si tratta di tavoli – proprio quei tavoli vuoti e immobili rievocati poco fa – dall’aspetto antico, coperti da tovaglie bianche inamidate. Sembrano simili, ma non ce n’è uno uguale all’altro; sono i particolari degli intarsi e degli orli a distinguerli. A guardarli, pare di avere davanti l’altare di una chiesa, o di essere finiti in una casa di appassionati di antiquariato. L’atmosfera è solenne, soprattutto nelle tele più piccole: l’effetto è quello delle icone mariane destinate alla devozione privata. E l’immaginazione corre, popolando ciascuna tavola di ogni tipo di oggetti.
L’ultima immagine prima della morte
Spostandosi sul secondo gruppo di lavori, At Last, si cambia ambito d’indagine. A prima vista, le opere sembrano campiture bianche. Poi ci si avvicina, le si guarda bene, ed ecco comparire l’immagine. Un lavello della cucina con la spugna ancora da strizzare, qualche fetta di pizza avanzata in un cartone, una coppia di piccioni in piazza. Soggetti comuni, quotidiani, quasi impercettibili nel bianco che offusca la tela. Un simile effetto richiede un lavoro estremamente meticoloso, volto a dosare i colori con perfezione maniacale. L’obiettivo di Sergio è ricostruire un’ipotetica ultima immagine colta dall’occhio umano appena prima di morire. Quell’attimo inafferrabile che il processo chiamato optografia mira a ricostruire. Un processo ambizioso, forse inverosimile da raggiungere, come è inverosimile del resto riuscire a “Guardare negli occhi un coniglio”.
Emma Sedini
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