“Abbiamo fatto diventare Brescia la città d’arte che non sapeva di essere”. Intervista a Francesca Bazoli
L’avvocata è stata recentemente confermata alla presidenza della Fondazione Brescia Musei. Dopo l’anno di Capitale della Cultura e i tanti risultati di questi anni, una lunga intervista per fare il punto
Sono necessariamente anni di bilanci per la città di Brescia e quindi anche per la sua Fondazione Brescia Musei, un ente molto peculiare che al confine tra pubblico e privato riesce a gestire in maniera organizzata ed efficace un grande patrimonio culturale. Un patrimonio che però sino a ieri non era particolarmente percepito. Il grande passo forse è stato proprio questo: percepirsi e vedersi finalmente come una città d’arte e una destinazione culturale a tutto tondo. Non è banale per un’importante città che era abituata a raccontarsi quasi esclusivamente come potente centro manifatturiero. Un percepito che si è modificato dopo la legnata della pandemia – qui particolarmente violenta – per tanti motivi, primo tra questi la nomina assieme a Bergamo di Capitale della Cultura 2023. Di questo e di molto altro parliamo in questa intervista con Francesca Bazoli, l’avvocata che ha condotto da presidente della Fondazione tutti questi anni particolari e che è stata (assieme al direttore Stefano Karadjov) pochi giorni fa riconfermata nel suo ruolo per un ulteriore mandato.
Presidente parte un nuovo mandato. Quali sono stati in estrema sintesi i punti da non dimenticarsi del mandato appena concluso? Cosa è stato fatto? Quali risultati sono stati indiscutibilmente portati a casa
Distinguerei i risultati “materiali” da quelli più “immateriali”.
Bene. Iniziamo dai primi risultati…
Tra i primi va sicuramente annoverata la ricollocazione della Vittoria Alata, il simbolo della città, uno dei bronzi romani più belli ed importanti al mondo, nella cella orientale del Tempio capitolino con lo splendido allestimento senza tempo curato da Juan Navarro Baldeweg, il quale ha pure creato la magica scenografia dell’incontro tra la Vittoria e il Pugile (il Pugilatore delle terme del Museo Nazionale Romano), uno degli eventi più suggestivi dell’anno della Capitale della cultura. Pure da citare, tra le cose più significative realizzate, il riallestimento della sezione romana del museo di Santa Giulia e l’apertura del Corridoio Unesco che collega fisicamente in un unico sito il Parco archeologico con il Museo di Santa Giulia: si tratta di tappe assai significative di un percorso di riqualificazione dello straordinario patrimonio cittadino, che la città sta compiendo da cinquant’anni con una continuità di impegno davvero degna di nota e che fa oggi di Brescia una grande città d’arte.
E invece i risultati più “immateriali”?
Tra questi mi piace ricordare da un lato la grande opera di risemantizzazione del patrimonio antico ottenuta grazie allo sguardo contemporaneo di artisti come Francesco Vezzoli, Emilio Isgrò e Fabrizio Plessi, protagonisti delle tre grandi mostre consecutive “Palcoscenici archeologici”, diffuse tra il Parco archeologico e Santa Giulia, e per altro verso la valorizzazione, anche in chiave internazionale, di un grande artista come Giacomo Ceruti, “il Pitocchetto”, uno dei protagonisti della Pinacoteca Tosio Martinengo, sancita dalla mostra condivisa tra Santa Giulia ed il Getty Center di Los Angeles, dove pure l‘esposizione ha avuto un grandissimo successo di critica e di pubblico.
C’è qualcosa di ancor più ‘immateriale’ e alto di questo?
Beh, il risultato che mi sta forse più a cuore tra quelli prodotti dall’enorme lavoro compiuto dalla Fondazione in questi anni – e per il quale sono molto grata al direttore Stefano Karadjov e a tutte le persone che lavorano con noi – è di aver contribuito al cambio di percezione (e di autopercezione) della città, da grande centro della manifattura a città d’arte, consolidando la vocazione culturale di Brescia: da questo punto di vista la Capitale della cultura 2023 è stata certo una valido aiuto, ma tanto più di successo in quanto si è inserito in un percorso strategico ben definito da parte della Fondazione e dell’amministrazione cittadina di valorizzazione del patrimonio.
In questo senso si è data una mossa anche la (ricca!) società civile bresciana oppure si tratta solo di un afflato amministrativo?
Un ruolo molto significativo in questa acquisizione di consapevolezza dell’importanza della “eredità culturale” nello sviluppo sociale e civile della città credo sia da riconoscere anche all’“Alleanza per la cultura”, che vede oltre trenta imprenditori a fianco della Fondazione nella condivisione e nel supporto, non solo economico, alla sua programmazione triennale: anche questa alleanza tra l’istituzione culturale e le forze vive della città credo sia un grande risultato di questi anni di lavoro.
Questi incarichi sono sempre “in più” rispetto al lavoro ed alla professione che comunque si svolge. Com’è conciliare le due cose e gestire la fatica che ne deriva?
Sono diventata Presidente di Fondazione Brescia Musei anche grazie alla mia professione di avvocato, nella sua declinazione che vede competenze adatte alla governance di organismi societari e istituzioni complesse. E la mia esperienza mi conferma nell’idea che nella gestione dei beni culturali in Italia sia molto utile, probabilmente necessario, l’apporto di professionalità diverse da quelle più tradizionalmente impegnate in campo culturale, quali manager, avvocati, commercialisti. Nel contempo l’attività svolta in Fondazione, che interpreto come una forma di servizio civile, mi dà soddisfazioni più ampie di quelle strettamente professionali perché attinge alla dimensione della passione civile, in campo culturale. E così si supera la fatica di giornate piene e complicate.
Con i successi di questi anni avete dimostrato come può funzionare la governance garantita da una fondazione pubblico-privata come la vostra. Vogliamo spiegare quali sono gli elementi di vantaggio di questo veicolo come strumento di governo dei musei?
La formula di governance della Fondazione Brescia Musei, che gestisce per concessione dell’amministrazione comunale tutti i musei civici della città, è piuttosto originale in Italia proprio perché si basa su un sistema misto pubblico-privato, nel senso che tra i fondatori, accanto al Comune di Brescia, vi sono soggetti istituzionali quali la Fondazione ASM e la Fondazione CAB e la Camera di Commercio, che nominano ciascuno un proprio rappresentante nel Consiglio Direttivo, oltre ai quattro membri nominati direttamente dal Comune tra professionisti, esperti e rappresentanti autorevoli della comunità cittadina.
In questo modo si realizza una partecipazione civica e comunitaria nel consiglio Direttivo, il cui lavoro è improntato ad una visione condivisa sulla politica culturale cittadina ed i suoi macro-obiettivi, come definiti dal Comune, e che nel contempo garantisce l’interposizione tra amministrazione pubblica e società civile avvicinando reciprocamente le due parti.
Un assetto che mira a coinvolgere anche altri privati e sponsor?
Se il governo della cultura, come nel nostro caso, diventa impegno civico di tutte le constituences cittadine, senza temi di appartenenza o affiliazioni politiche, si facilita altresì il coinvolgimento dei soggetti privati nel sostegno anche di tipo economico alle attività culturali. Altrettanto importante a questo fine, è l’identificazione di progetti strategici pluriennali capaci di identificare un trend di sviluppo dei risultati che è molto più importante dei singoli traguardi rappresentati, ad esempio, dell’exploit numerico di una sede museale in un determinato anno o contesto. La logica di un piano di sviluppo applicato alla cultura, con la correlata necessità di rendicontazione, è certamente favorita dall’agilità gestoria che caratterizza questa tipologia di veicoli organizzativi, privatistici nella gestione, pubblicistici nel controllo e nella definizione degli obbiettivi generali di politica culturale, trasversali alle comunità nella rappresentanza civica.
Ci sono ancora degli elementi da migliorare per far funzionare uno strumento come l’ente che presiede? Sono emersi di recente anche degli inceppi altrove, come ad esempio a Torino…
Si può lavorare per rafforzare in senso ancor più partecipativo lo strumento della fondazione. Per esempio, nel nostro caso, il punto di equilibrio positivo pubblico-privato che l’esperienza della Fondazione rappresenta potrebbe essere ulteriormente migliorato dal punto di vista statutario, riservando almeno un posto nel Consiglio Direttivo anche ad un rappresentante scelto tra i sostenitori che erogano stabilmente risorse sotto forma di art-bonus e sponsorizzazioni a Brescia Musei, i membri di “Alleanza Cultura”, il cui perimetro è ad oggi estremamente ampio, vario e fluido. Ciò evidentemente rafforzerebbe ancor più il legame con i sostenitori, senza peraltro correre il rischio di chiedere loro forme di adesione troppo rigide sotto il profilo istituzionale.
Più in generale, su piano legislativo “de iure condendo”, l’auspicata riforma dello strumento giuridico delle fondazioni dovrebbe incentivare l’apertura dei board a una rappresentanza istituzionale delle forme di “consulte” private che sempre più spesso si aggregano intorno ai grandi patrimoni culturali.
La vostra ricaduta sulla città (prima e dopo l’exploit dei mesi di “Capitale della Cultura”) è abbastanza evidente, ma al contempo si tratta di contributi che è sempre complicato misurare. Come state cercando di farlo?
Ci sono impatti misurabili, come l’afflusso dei visitatori ecc., ed altri che lo sono meno, come quelli che riguardano l’ambito sociale e gli esiti culturali.
Un primo tentativo di misurazione in questa direzione è stata la Relazione di missione 2022 di Brescia Musei; è attualmente in corso di stampa quella del 2023. Abbiamo inoltre avviato un lavoro su più tavoli, con altre Istituzioni Culturali ed Associazioni, volto alla selezione di indicatori, criteri di misurazione e tassonomie condivisi degli impatti culturali e sociali anche al fine di fornire ai nostri sostenitori indicazioni utili in vista della redazione dei bilanci di sostenibilità.
In ogni caso, ogni istituzione deve identificare la propria missione nella comunità in cui si trova ad operare. Nel caso di Fondazione Brescia Musei alcuni criteri sono particolarmente rilevanti: l’empowerment delle realtà associative e socio-culturali del territorio grazie alla programmazione culturale attraverso progetti che, sotto la nostra leadership, ingaggiano più di un centinaio di realtà cittadine; il tenore delle interazioni con le istituzioni formative, fucina del pubblico del futuro, nel nostro caso le due Università, le due accademie di Belle Arti, ma non trascurerei neanche il dialogo speciale con i giornalini scolastici degli istituti superiori con cui abbiamo delle convenzioni; la densità del presidio culturale di zona che per noi significa una dozzina di eventi espositivi all’anno – e ciascuno si porta dietro almeno un’ulteriore mezza dozzina di eventi collaterali: animazione quotidiana che genera interesse per il ritorno ai musei, in cui i residenti entrano gratuitamente.
Una visione ambiziosa immaginandoci già alla fine di questo suo mandato appena iniziato: quale annosa questione sarà risolta, quale grande novità sarà andata a regime? Cosa dovrà avvenire per poter considerare di successo anche questo mandato?
Dal punto di vista dei risultati materiali abbiamo grandi progetti su tutti i siti museali. Dalla Pinacoteca – con il nuovo tunnel di collegamento tra chiostro e giardino – al Castello, al Parco Archeologico.
Il progetto più sfidante?
Senza dubbio il progetto di restauro e di rifunzionalizzazione del Teatro romano, per la quale abbiamo dato incaricato a sir David Chipperfield. Si tratta del completamento del recupero di un’area archeologica e monumentale straordinaria, quale quella che si estende tra il tempio capitolino e Santa Giulia (che costituisce una piccola “enciclopedia” dell’arte e dell’architettura bimillenarie italiane) ed insieme di una rivitalizzazione funzionale che garantirebbe al sito una pienezza di fruibilità e una ulteriore integrazione nella vita culturale e sociale della città, ad consolidamento della vocazione culturale di Brescia.
Altri fronti da presidiare in questi prossimi anni?
La possibilità di rendere il patrimonio ed i musei spazi effettivamente aperti e inclusivi, al di là di ogni possibile barriera educativa o socio economica, nonché strumenti a servizio della cura di ogni forma di disagio e difficoltà, anche in collaborazione con enti ed associazioni a ciò dedicate. Su questo tema nel 2022 la Fondazione aveva organizzato, insieme a Fondazione Scuola dei beni e delle attività culturali e NEMO (Network of European Museum Organizations), “Open Doors”, un ciclo di incontri internazionale volto a studiare questa nuova missione delle istituzioni culturali che ha potenzialità di sviluppo a mio avviso davvero interessanti e sulle quali Brescia Musei offre già una palestra di sperimentazione, oltre che di riflessione, che nei prossimi anni svilupperemo ulteriormente.
Massimiliano Tonelli
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