La galleria Contemporary Cluster a Roma cambia sede. Intervista a Giacomo Guidi
Una nuova sede e programmazione per Contemporary Cluster di Giacomo Guidi che lascia il quartiere dell’Equilino per guardare al processo di rinnovamento che interessa l’Aventino e l’Ostiense. L’intervista
Luogo d’incontri culturali a Roma, Contemporary Cluster cambia sede. Il suo fondatore, Giacomo Guidi saluta la cornice patrizia di Palazzo Brancaccio, nel quartiere Esquilino, per migrare in un altro luogo della Capitale. Proseguendo quel disegno – guidato da un’intelligenza filosofica e collettiva – fatto di collaborazioni, sperimentalismi, contaminazioni artistiche, outdoor project, dialoghi con artisti nazionali e internazionali. L’inaugurazione avverrà il 18 settembre 2024 con un progetto di respiro internazionale, con artisti provenienti da varie zone d’Europa e interessanti giovani italiani. La mostra collettiva si intitolerà Fatmah, un nome dal forte significato propiziatorio e simbolo ricco di storie e interpretazioni nel mondo Mediorientale, che riverberano attraverso narrazioni e rituali. Nella lingua araba, spiega Guidi, “”Fatah” significa “aprire” o “rinnovare”. Questo riferimento all’apertura e al rinnovamento non riflette soltanto la vitalità insita nel nome: è una promessa di crescita e prosperità, un augurio di continua rigenerazione, che porta con sé un’aura di sacralità e di rispetto e insieme un legame a qualità come la compassione, la saggezza e la resilienza”. In mostra ci saranno opere di Nicola Ghirardelli, Arvin Golrokh, Giuseppe Lo Cascio, Lorenzo Montinaro, Jacopo Naccarato, Linus Rauch, Franziska Reinbothe, Sofiia Yesakova. L’intervista a Giacomo Guidi.
L’intervista a Giacomo Guidi
Dopo quattro anni fittissimi di mostre, presentazioni ed eventi culturali a Palazzo Brancaccio, è arrivato il momento di cambiare sede. Raccontaci del tuo nuovo spazio: dove sarà, perché lo hai scelto, che taglio avrà…
La nuova sede di Contemporary Cluster sarà in via Odoardo Beccari all’Aventino; la scelta è stata abbastanza semplice e immediata, sia per l’architettura dello spazio che per la zona. Il nuovo spazio risponde a nuove esigenze progettuali, è costituito da un grande open-space di 500/600 mq a sviluppo longitudinale, con pareti bianche. Un ambiente molto rigoroso che permetterà di allestire mostre dalla visione unitaria, con più rigidità, più severità e opere di grandi dimensioni; è, in un certo qual modo, un ritorno all’ordine. Il respiro stesso della galleria porterà a sviluppare esibizioni più installative, un fatto che sarà evidente fin dalle prime mostre. Dalla collettiva di settembre “Fatma” e ancor di più con la personale di Jonathan Vivacqua, curata da Angelica Gatto a novembre.
Come sarà lo spazio?
Lo spazio si sviluppa su due livelli: al piano superiore, fronte strada, ci sarà un desk che funzionerà da welcome e un piccolo salottino, sarà la zona dedicata al lavoro; scendendo le scale si arriva nel grande openspace, cuore della galleria. La zona è molto bella ed elegante, facilmente raggiungibile in auto in quanto fuori dalla Ztl, con possibilità di parcheggio nelle immediate vicinanze, la fermata della metro B si trova a meno di un chilometro dal nuovo Cluster ed è limitrofo a quello che sarà uno dei centri nevralgici della città: il quartiere Ostiense.
In che senso?
È uno dei quartieri che riceverà maggiore attenzione nei prossimi anni considerando il lavoro fatto con il Gazometro, la NABA, la Centrale Montemartini, il nuovo distaccamento del MAXXI; l’Ostiense diventerà un polo cultuale di primo ordine (da anni è anche sede della galleria The Gallery Apart di Armando Porcari e Fabrizio Del Signore, ndr). Non dimentichiamoci poi il grande investimento che PalaExpo sta portando avanti al Mattatoio a Testaccio e le varie gallerie che negli ultimi anni hanno aperto in zona. Credo molto nelle potenzialità di quella parte di Roma.
L’Esquilino, San Giovanni, Santa Maria Maggiore e le sue strade intorno che riecheggiano nel formidabile romanzo “Quer pasticciaccio brutto de via Merulana” di Gadda, sono zone iconiche, che tu hai contribuito a rendere tali. Cosa ti mancherà di Palazzo Brancaccio e cosa no?
Siamo arrivati in questo quartiere quando era ancora in fase di sviluppo e abbiamo sposato fin da subito la causa, contribuendo a promuovere la zona e a mantenere alta l’attenzione su uno dei quartieri più belli della capitale; vedevamo le persone che entravano in galleria entusiaste del contesto urbano intorno. È stato bello fare parte di questo rinnovamento culturale. Ad oggi la situazione si è un po’ complicata: il fatto che sia diventato un quartiere cool, pieno di nuovi locali, ha portato ad una situazione esasperante per quanto riguarda il traffico; il caos è costante. Ciò che non mi mancherà dell’Esquilino sarà proprio il traffico, quanto a Palazzo Brancaccio invece, mi mancherà sicuramente l’aria e l’atemporalità che si respira dentro quelle mura, ma era arrivata l’ora di tornare a lavorare in uno spazio che avesse un linguaggio più contemporaneo e rigido.
A proposito di spazi espositivi, in un’intervista affermi che è più importante il contenuto (le opere d’arte) rispetto al contenitore, mentre alcune gallerie sembrano legate alla pelle delle proprie mura, come temendo che sradicare un indirizzo, cambiare luogo, rappresenti una perdita della propria identità, un azzeramento della propria connotazione…
Ragionando sulle diverse “tappe” di Contemporary Cluster (Palazzo Cavallerini Lazzaroni, Palazzo Brancaccio…), mi viene in mente un aforisma di Nietzsche: «Il serpente che non può desquamarsi perisce, così come accade agli spiriti ai quali s’impedisce di cambiare idea: cessano di essere spiriti». Ti ritrovi nelle sue parole? È necessario “fare la muta” per sopravvivere nel mondo dell’arte?
Hai citato uno dei miei punti di riferimento, un pensatore a cui devo molto; io sono sicuramente un animale nietzschiano. Le metamorfosi e ancor di più Così parlò Zaratustra sono stati testi fondamentali per la mia visione del mondo. Detesto l’idea di vivere l’arte come “l’uomo cammello” parlando attraverso i termini del filosofo tedesco, ossia l’idea di vivere l’arte come qualcuno che subisce il peso della quotidianità e della staticità, andando a far morire la creatività e la visione progettuale delle cose solo per paura del cambiamento. Quindi ti dico sì, mi ritrovo nelle sue parole e spesso sento la necessità di mutare una situazione che diventa troppo statica, per un personale bisogno intrinseco di nuova linfa, stimoli diversi e rinvigorita creatività.
Roma, che continui a scegliere per il tuo spazio, è una città in continua evoluzione, anche con le sue difficoltà. Il panorama cambia, l’arte si sta decentrando. Aprono sempre più spazi nelle zone periferiche. Cosa ti piace e cosa non ti piace dell’orizzonte artistico della Città Eterna oggi?
Roma è la mia città, sono più di vent’anni che ci lavoro. Mi piace la sua primavera artistica, la quantità di nuovi artisti, l’indipendenza di molti spazi, il fervore che si respira. Ciò che non trovo edificante e qualificativo – e di questo mi rammarico- è la proposta culturale di certe istituzioni pubbliche locali, soprattutto quelle che dovrebbero agire per la città, con la città e nella città.
Nel ’63 quando uscì il “Capriccio italiano” di Edoardo Sanguineti, non fu capito. E si dice che lui, anziché dispiacersene, fu colto da un moto di euforia, perché ebbe la conferma che il suo sguardo era proteso così in avanti da non poter essere compreso nell’immediato. La Neoavanguardia voleva rompere gli schemi, non fare sistema. Un po’ come per il Cluster. Pensi che questo sia un modo elitario o pop di presentarsi al mondo?
Credo che l’atteggiamento che ho portato avanti creando il Cluster, nel mio essere anticipatore dei tempi (io ho aperto nel 2016, adesso si trovano vari posti simili in tutta Europa), non sia né elitario né pop: è una lettura personale della società e del mondo in cui si vive perché un gallerista dovrebbe avere un proprio pensiero. Un pensiero che si palesi e si percepisca nella programmazione culturale che sceglie di portare aventi. È importante far emergere la propria provenienza culturale ed è indispensabile che la galleria sia un’emanazione del pensiero del gallerista, espresso attraverso la scelta degli artisti, la qualità dello spazio, il modo di comunicare le proprie attività. Le avanguardie nascevano da una visione strettamente soggettiva, non c’era nè critica, né volontà di distruggere il passato, la storia o gli altri. Credo che ognuno debba fare il proprio lavoro, la differenza sta nell’essere più bravi degli altri a farlo. Non c’è bisogno di parlare in maniera dispregiativa del lavoro altrui o prenderne le distanze, è sufficiente vedere gli altri come uno stimolo per essere migliori di loro.
Quali sono i tuoi prossimi obiettivi?
La nuova galleria avrà una vocazione ancipite, binaria. Alla via già percorsa abbondantemente da me, si unirà una via nuova: ci saranno molti artisti giovani, ma durante la prossima stagione si vedrà anche il ritorno di artisti di una generazione molto più alta con cui ho collaborato in passato. L’obiettivo è quello di dare vita ad una galleria dove giovani ed establishment convivano secondo una linea storica che segue alcuni dettami fondamentali dell’arte contemporanea. Credo molto nel dialogo tra diverse generazioni, l’una stimola l’altra aprendo possibilità interessanti. Oltre a questo, la galleria sarà molto impegnata sul fronte estero con fiere e progetti a lungo termine in Spagna e in America, in modo da consolidare sempre di più la nostra presenza sul panorama internazionale. Come sempre, anche la prossima stagione sarà ricca di progetti esterni grazie alla collaborazione con istituzioni pubbliche di vario grado… ma è ancora presto per svelare tutta la programmazione di Contemporary Cluster, anticiperemo pian piano i vari progetti.
Una figura che stimi nel panorama attuale e un maestro di vita da cui hai tratto insegnamento?
Sarò breve, lascio che sia il lettore ad approfondire, ma un personaggio contemporaneo che stimo è Carlo Rovelli, un grande maestro di vita per me è stato Fabio Mauri.
Buoni o “cattivissimi” propositi per l’anno nuovo?
Non so mai se i miei propositi siano buoni o cattivi, quel che è certo è che ne ho molti. Quanto alla loro classificazione posso dire che essi rispecchieranno quello che sarà, ciò che apparirà.
Francesca de Paolis
Contemporary Cluster
Via Odoardo Beccari 8,10,12, Roma
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati