Di porte, cultura e politica. Intervista al duo teatrale RezzaMastrella

Si dichiarano politicamente scorretti Antonio Rezza e Flavia Mastrella (Leone d’Oro alla Carriera alla Biennale Teatro 2018) e si concedono ad Artribune per parlare del loro ultimo spettacolo Hybris, e non solo

toto, gli instancabili Antonio Rezza e Flavia Mastrella continuano ad alternarsi tra progetti individuali e la riproposizione dei loro spettacoli dal vivo. Fra questi spicca un lavoro del 2022, l’ultimo, Hybris: un incredibile tour de forceperformativo dove tutto il pensiero della coppia di artisti viene portato ancora di più all’esasperazione grazie alla presenza di una porta. 
Elemento scenografico, espediente narrativo, nonché protagonista assoluta di tutta l’opera, la porta si presenta come un’entità ambivalente, ovvero come un oggetto concreto (che effettivamente svolge le azioni meccaniche di apertura e di chiusura) capace al contempo di agire anche su di un piano squisitamente metaforico, per non dire metafisico. Continuamente sorretta e trasportata sia dallo stesso Rezza sia dagli altri personaggi in scena, questa porta assurge a scettro reale o meglio a feticcio del potere che, indipendentemente dal suo utilizzo, resta qualcosa di estremamente povero ed effimero. 
Caratterizzato da un minimalismo sbalorditivo, poiché puro e funzionale allo stesso tempo, lo spettacolo si alterna fra dissacrazioni esilaranti e monologhi tutti d’un fiato in cui giochi di parole e scioglilingua vengono magistralmente usati per rivelare tra le righe tutta la pochezza e la disperazione della condizione umana. Approfittando del passaggio a Torino – dove dal 4 al 9 giugno Hybris è andato in scena al Teatro Carignano – e delle elezioni europee, li abbiamo raggiunti per porre loro alcune domande sia sullo spettacolo sia sull’attuale situazione politica italiana.  

L’intervista ad Antonio Rezza e Flavia Mastrella

Hybris è il titolo del vostro ultimo spettacolo, raccontateci un po’ di cosa parla e com’è nato
Flavia Mastrella:
 Di cosa parla? È difficilissimo.
Antonio Rezza:
 È un esperimento di tirannia attraverso una porta nel quale io decido chi sta fuori e chi deve stare dentro, come ha fatto lo Stato durante la pandemia.
F.M.:
 Noi lavoriamo sempre sul potere, sull’altro che predomina. E questo Hybris è colui che si sostituisce a Dio – noi siamo atei, chiaramente – e quindi si sostituisce alla Natura e anche al potere centrale. Questo lavoro è iniziato molti anni fa, io ho dato ad Antonio una porta che ha perso completamente la sua funzione e quindi il suo significato. Ciononostante l’essere umano continua a usarla come una porta vera e propria e questo sta a indicare il fatto che ci stanno cambiando il significato delle parole sotto al naso: cambiando il significato delle parole cambia anche il significato della società. Sì, è completamente metafisica come cosa perché poi Antonio fa questo gioco “dentro, fuori”, ma in realtà non esiste né un dentro né un fuori, è semplicemente una costruzione fantastica.       

E allora cos’è questa porta?
A.R.
: Beh, è un’aggressione, come al solito, al potere costituito. In questi giorni poi, stiamo vedendo come la classe politica sia preoccupata che ci sia un astensionismo maggiore e questo dimostra che noi abbiamo il potere in mano e non lo esercitiamo. Perché basterebbe una volta, nella storia dell’umanità, che nessuno andasse a votare per vedere questi come si sentirebbero delegittimati il giorno dopo. Ci sarebbe il panico tra la classe politica perché se nessuno ti riconosce tu non hai più la tua valenza prepotente, eppure l’essere umano non ha il coraggio di fare questo passo che significherebbe un cambiamento storico della percezione del potere. Sono preoccupati, non per l’interesse nostro, sono preoccupati perché verrebbero delegittimati da un’assenza alle urne cospicua. E non c’è niente di più bello di vedere il potere che si preoccupa che tu lo vada a votare. Io non voto da ventidue, ventitré anni, non voterò mai, non più, non m’interessa proprio questa merce di scambio. Penso, però, che sia un peccato di ingenuità e un’ignoranza grave quella di credere ancora che le cose possano cambiare solo perché noi siamo vivi. L’arroganza dei vivi… I vivi devono morire perché sono dei prepotenti arroganti: credono nel cambiamento senza fare nulla.

RezzaMastrella e il sistema della cultura

A proposito di “dentro e fuori”, pensando sia all’inizio della vostra carriera sia ai vari riconoscimenti ricevuti nel corso del tempo, adesso vi sentite in qualche modo usciti da una dimensione underground, oppure…
A.R.
: Noi non siamo mai stati underground! Non ci siamo mai sentiti underground, ci siamo sempre mantenuti grazie al pubblico, non avremmo potuto avere questa spavalderia se non avessimo avuto il sostentamento di chi ci viene a vedere, perché non prendiamo un soldo dallo Stato. Quindi se non avessimo avuto tanto pubblico noi non saremmo stati produttori di noi stessi attraverso il cinema, il teatro, le mostre, ecc. Non siamo mai stati underground se non agli occhi di chi non capisce, non siamo usciti da nulla, noi siamo sempre stati sopra, come antagonisti.
F.M.: Siamo un fenomeno più che altro popolare.

E cosa significa a questo punto per voi fare cultura in Italia?
F.M.
: È una faticaccia perché sono tutti molto allineati. Noi siamo andati tante volte in giro per l’Europa e per il mondo però non siamo mai riusciti a coltivare i rapporti. Siamo stati a Parigi, a New York, in Cina anche, ma non si va avanti col nostro lavoro in quei posti perché dell’Italia si può esportare esclusivamente un certo tipo di lavoro. L’avanguardia non ce la consentono e questo vale fuori dall’Italia per un italiano che si muove dall’Italia e in Italia per un italiano che si muove in Italia. Siamo una colonia culturale degli americani.
A.R.
: Gli Istituti di cultura all’estero sono dei centri di setaccio, cioè impediscono all’innovazione di andare fuori.

E invece come riuscite a continuare a essere voi in un’epoca così tanto dominata dal politically correct?
F.M.
: Siamo scorretti, io ci tengo a essere scorretta, è una cosa che mi dà molto piacere la scorrettezza.
A.R.
: Noi siamo fisicamente, e biologicamente, antifascisti. Ma io non ho mai trovato una mentalità così estremizzata nella prepotenza, nel fascismo applicato, come quella dei falsi progressisti che tutelano falsamente la cultura in Italia. E mi riferisco a questa ala progressista più fascista di quella fascista reale. Se noi pensiamo a quello che è stato fatto al Teatro per colpa del ministro che c’era, e che non era il ministro di questo Governo ma di quello passato, non voglio neanche dire il nome… Una paralisi totale delle tournée consentita tramite una legge che porta chi ha un teatro a doversi esibire dentro il teatro per tutta la stagione in modo da acquisire i borderò necessari affinché arrivino i finanziamenti statali, bloccando di fatto la circuitazione delle compagnie. È una legge estremamente fascista, una legge sporca.
F.M.
: Una legge che non ha bloccato solo le compagnie ma anche lo scambio delle idee.
A.R.
: Noi non siamo anarchici, siamo disinteressati: perché dare una valenza anarchica a chi se ne frega della gestione del potere? Io mi ritengo disinteressato a certe logiche del compromesso che sono funzioni minori del ragionamento, come la politica, la politica è qualcosa di minore rispetto all’arte.

Antonio Rezza. Photo © Giulio Mazzi
Antonio Rezza. Photo © Giulio Mazzi

Il libro “Il fattaccio” di Antonio Rezza

Antonio, voi siete qui a Torino anche per un reading nel quale sei stato accompagnato musicalmente da Paolo Spaccamonti ed Enrico Gabrielli. Al centro dell’evento c’è il tuo ultimo romanzo, Il fattaccio. Com’è nato il progetto?  
A.R.
Paolo Spaccamonti lo abbiamo già incontrato in Puglia, a Bisceglie, durante il festival organizzato dal Cineclub Canudo per una sperimentazione dove venivano musicati i nostri cortometraggi. Enrico Gabrielli invece lo conosciamo perché abbiamo collaborato insieme per un progetto con gli Afterhours. Adesso proviamo a fare questa cosa con il libro. Il fattaccio avrebbe dovuto vincere il Premio Strega ma è rimasto schiacciato da questa logica sempre del PD, degli autori del PD… Ecco, quando io parlo di fascismo, qual è il vero fascismo. Degli autori senza nome, cioè senza cognome. Se tu vedi chi andava in finale al Premio Strega sono autori che hanno nome e cognome che sono due nomi. Oggi se in Italia hai un cognome, un’identità, sono cazzi tuoi. Autori che scrivono come si scrive in III media eppure sono riusciti a far fuori un libro come questo e allora noi ci facciamo le sinfonie sopra. 

E un’altra soluzione?
A.R.
: Bisogna aggredire non soltanto l’aggressore ma chi permette all’aggressore di esistere, chi è responsabile dell’aggressore. Perché quelli che ci sono adesso sono l’emanazione di quelli che ce li hanno mandati, niente di più. E non si possono tutelare i poveri essendo ricchi, questa dovrebbe essere proprio una legge: la povertà è una condizione posturale, si soffre con il corpo. Una persona ricca non può parlare delle persone che non arrivano a fine mese o di quelli che vivono in mezzo alla strada sotto i cartoni, chi lo fa non ne ha nessun diritto o quantomeno è falso quando lo fa. Il povero deve essere rappresentato da un povero. Tu puoi descrivere cos’è la povertà perché l’hai vissuta, non come fa chi ha il culo coperto.

L’arte può davvero salvare la vita? C’è qualcosa che può salvare la vita? 
A.R.
: Ma a chi la dovrebbe salvare? A chi la fa la salva però no, non ti salva la vita, non l’ha mai salvata veramente la vita, la gente muore continuamente.
F.M.
: Ma anche a chi la percepisce, ti salva il cuore, ti salva il cervello. Io ho visto che tanta gente è sensibile all’arte, il problema è che non riescono ad arrivarci. C’è una confusione informativa che non permette a chi fa le cose di essere visto. È talmente enorme l’offerta che non si arriva neppure a vederle le cose.

Valerio Veneruso

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Valerio Veneruso

Valerio Veneruso

Esploratore visivo nato a Napoli nel 1984. Si occupa, sia come artista che come curatore indipendente, dell’impatto delle immagini nella società contemporanea e di tutto ciò che è legato alla sperimentazione audiovideo. Tra le mostre recenti: la personale RUBEDODOOM –…

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