Gli artisti si debbono trasformare ArtiStar per creare uno spazio di riflessione

La presenza di Marina Abramović e Banksy al Festival di Glastonbury ha dimostrato che gli artisti possono realmente incidere sul dibattito del presente. Ma prima devono diventare celebrità

La nostra società forse non ha un reale bisogno di arte, ma ha sicuramente bisogno di artisti. Non è l’arte il bisogno concreto delle persone. Arte intesa come “oggetto” che ha un valore “in sé” e un valore “altro da sé”. Non è la bellezza. Né la perizia tecnica. Non è la provocazione di un’immagine o la meraviglia di un dettaglio. Non sono i richiami eruditi che, come indizi, svelano parte di un enigma. 

Le immagini nella società odierna

La nostra società è pregna di valore simbolico: dalle immagini delle pubblicità ai meme, quasi ogni messaggio ormai si basa su una lettura simbolica del contenuto che inquadra tale contenuto in una chiave di lettura tale da rendere il messaggio più evocativo di quanto possa semplicemente essere la sua descrizione. Non c’è bisogno di una banana attaccata con lo scotch, né si sente l’esigenza di un albero di Natale gonfiabile che ricorda le forme di un sex-toy. Non è la capacità evocativa che l’essere umano può conferire ad un oggetto bi-tri-multidimensionale ad essere essenziale per la nostra società. Ciò di cui abbiamo bisogno sono gli artisti, e vale a dire persone che impongono all’interno della dimensione pubblica e privata uno spazio di riflessione su temi che altrimenti verrebbero inghiottiti dall’ordinario, da qualcosa che è meno di un tabù ma è più di un non detto.

Marina Abramović
Marina Abramović

Il silenzio di Marina Abramović al Festival di Glastonbury

Non è stato sempre così: ci sono stati momenti in cui la società aveva bisogno del valore intrinseco dell’oggetto: la ricerca dell’armonia, la bellezza, l’indagine sulla visione, le metafore della composizione, il rapporto con il divino, l’espressione di un ordine sociale o del disordine individuale. Nel linguaggio dell’oggi, invece, è il silenzio di Marina Abramović al Festival di Glastonbury, o, sempre al festival di Glastonbury, l’immagine esplicita di una barca di immigrati che planava sulle teste delle persone. Opere dal valore simbolico piuttosto esplicito, come un meme su Instagram, o azioni che puntano più sull’esperienza che sulla trasmissione di contenuti. Artisti che introducono uno spunto di riflessione forse banale, ma che è in grado di connettere un numero sufficientemente ampio di persone. 

Bill Viola, Ph. Alessandro Moggi Studio
Bill Viola, Ph. Alessandro Moggi Studio

La figura dell’ArtiStar

Da un punto di vista critico, probabilmente, non possono essere paragonati all’eleganza della ricerca di Bill Viola o di Douglas Gordon, né all’irruenza di Nam June Paik, ma in termini di risposta a ciò di cui abbiamo bisogno, forse non hanno nulla da invidiare a nessuno.

Il mondo dell’arte dovrebbe forse indagare con maggiore attenzione questa emergente figura dell’ArtiStar: una persona che, attraverso la propria ricerca, riesce a coinvolgere pubblici che agli artisti d’arte contemporanea sono preclusi. 

Non solo sotto il profilo artistico-estetico, ma anche e soprattutto in una logica di mercato. Perché il mercato è l’infrastruttura di base che consente all’arte contemporanea di esistere. 

Se una determinata forma d’arte non ha un “mercato”, e vale a dire non ha un’infrastruttura di base che consenta di unire domanda e offerta in modo da poter consentire un valore aggiunto in ogni passaggio, scompare.

Si pensi alla recente ascesa e declino degli NFT. Un anno prima erano sperimentazioni legate a sottoculture; un anno dopo avevano finalmente un canale che ne consentisse la vendita; un anno dopo, terminata la bolla del canale di vendita, si è tornati ad un filone di ricerca spesso incuneato su sé stesso, vezzo di qualche collezionista, ma sempre meno capace di riflettere alcune istanze della collettività.

L’idea di una funzione sociale dell’artista, anche staccata dall’opera in sé, non è certo nuova, e il quasi-sciamanesimo di Joseph Beuys è solo il primo degli esempi che possono venire in mente. Né tantomeno può l’artista sostituirsi agli attori o ai musicisti, gremire gli stadi o immedesimarsi in una funzione di guru o di influencer.

Le celebrities dell’arte

Eppure, identificare il canale attraverso il quale poter portare alcune delle riflessioni dell’arte contemporanea all’interno di platee sempre più vaste potrebbe rappresentare non solo una grande innovazione in un panorama artistico che, al di fuori di chi ne decifra i codici, risulta sempre più stanco, ma anche raggiungere una dimensione di mercato realmente notevole.
Trasformare gli artisti in ArtiStar, celebrità dell’arte, acclamati interpreti della propria ricerca artistica, riflesso visivo e immateriale di interrogativi cui non si presta attenzione. Ridurre la complessità del linguaggio ed estenderne gli interpreti. Fondare uno spazio sociale in cui l’arte incorre e coinvolge. Trovare il modo per trasformare un tale fermento in testimonianza acquistabile, scambiabile, desiderabile. Scommettere su un tale medium è forse la forma più lungimirante di investimento d’arte che ci possa essere oggi.

Stefano Monti

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Stefano Monti

Stefano Monti

Stefano Monti, partner Monti&Taft, è attivo in Italia e all’estero nelle attività di management, advisoring, sviluppo e posizionamento strategico, creazione di business model, consulenza economica e finanziaria, analisi di impatti economici e creazione di network di investimento. Da più di…

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