Omaggio a Ennio Finzi. Il maestro dell’astrattismo italiano in mostra a Venezia
Ca’ Pesaro prosegue nella sua attività di valorizzazione degli artisti della collezione permanente con un autore tra i più radicali del Novecento italiano
Ne Il verso del colore, il testo pubblicato qualche anno fa e raccolto da Michele Beraldo, Ennio Finzi, uno dei massimi esponenti dell’astrattismo italiano, racconta la sua pittura. L’artista veneziano rivela spiccate capacità di affabulatore rievocando l’atmosfera culturale della sua città negli Anni 50. Un periodo, a partire dal secondo dopoguerra, molto articolato: con l’attività della galleria del Cavallino che organizza le rassegne dei maggiori maestri del 900 italiano, senza discriminare i nuovi percorsi e le nuove scoperte. E con quella della Fondazione Bevilacqua La Masa. Il periodo, per intenderci, delle accese contrapposizioni tra i figurativi come Borsato Zotti Gianquinto Barbaro ecc., e gli astrattisti alla Tancredi, Rampin, Zennaro, Licata e lo stesso Finzi. Che ricorda con una certa rabbia i privilegi riservati ai primi, per gli inviti e i premi che ricevono prevalendo un “certo gusto passatista, sordo a qualsiasi innovazione del linguaggio pittorico”. Non solo. Agli astrattisti si riservano le sale superiori della Bevilacqua La Masa. Quelle vicino ai servizi. Solo, e molto lentamente, acquistando credibilità, possono usufruire del piano inferiore, lontano dai bagni.
Ennio Finzi a Milano
La cultura iconografica di Finzi ha un’impennata quando può vedere a Milano nel 1950 a Palazzo Reale la mostra di Picasso, da lui definito l’ultimo dei figurativi sopportabili e può quasi toccare con mano Guernica. “Un dipinto mozzafiato… fatto di bianchi, grigi e null’altro”. La sua scelta a favore dell’astrattismo è ormai irreversibile. L’unica poetica capace di svincolarsi dall’ingannevole referenzialità naturalistica, spalancando le porte alla fantasia come “il suggeritore più straordinario che un artista possegga”. Pur ammettendo che l’Astrattismo è stato il suo “codice esistenziale interpretato da Kandinsky” Finzi giudica non realizzata fino in fondo la rivoluzione formale di quest’ultimo, ancora legato alla tavolozza tradizionale, cezanniana.
Attratto esclusivamente dal ritmo, dal colore, dalla luce, i principali punti di riferimento della sua formazione sono Virgilio Guidi che all’interno del Movimento Spazialista elabora una struttura meno vincolata dal punto di vista compositivo. Ed Emilio Vedova che si esprime tracciando sulla tela segni esplosivi, marcati, intrecciati, intensi; che lo incita ad entrare nella profondità delle cose. Finzi ammette che negli anni Quaranta lo ha tellurizzato, lo ha scosso, spingendolo a scardinare il fare creativo basato sull’unitarietà del pensiero.
Ennio Finzi a Venezia
Dopo avere ascoltato alla Fenice i concerti dodecafonici di Schoenberg, inventore della scala atonale, dove ogni nota vale per se stessa, Finzi trasporta la novità nella sua pittura e trova ciò che sta cercando: un colore esclusivamente timbrico, libero dalle necessità dettate dall’armonia, che vive e si realizza secondo regole proprie. Ed è proprio agli anni Cinquanta che Ca’ Pesaro, proseguendo la sua attività di valorizzazione degli artisti della collezione permanente con un autore tra i più radicali del Novecento italiano, dedica al maestro veneziano la mostra Omaggio a Ennio Finzi, a cura di Elisabetta Barisoni e Michele Beraldo. Il momento in cui l’artista fonda la propria ricerca sui fattori atonali e timbrici del colore. Sul suono che questo genera. Convinto com’è che l’intuizione del colore comprende allo stesso tempo sia la vista che l’udito. Una pittura irrituale, a detta di Luciano Caramel, che tende all’accertamento delle frequenze luminose, correlandole alle scale cromatiche. Risultati eloquenti in tal senso l’artista li raggiunge in alcune tempere su tela del 1957: Ritmi vibrazione e Ritmi vibrazione E2 (Giallo su grigio). Il giallo e il grigio prescindono dal tonalismo della tradizione veneta.
Finzi e il colore
Liberi da ogni richiamo simbolico. Da ogni influenza esterna o dalle micro-luminosità impressionistiche, per intenderci. La sua rivoluzione cromatica mira a far sgorgare tutte le potenzialità, le spinte, le incompatibilità, gli impatti del colore: il vero padrone dello spazio. Anzi lo spazio stesso. Che è energia. Scopo dell’artista e catturare questa energia e cercare di trasmetterla.
Una particolare predilezione Finzi riserva al nero. Un “colore estremamente allegro” lo giudica. Che dà felicità e distensione. Ne indaga le vibrazioni e le infinite potenzialità. Nella sua capacità di reagire alla luce quando è invaso da grumi cromatici che lo fanno esplodere e sembrano scardinare lo spazio invadendolo con scaglie filamentose. Come in Dimensione cosmica, una tempera su faesite del 1955/6.
Fausto Politino
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