Se anche l’opera d’arte non comunica ed è allegramente inutile

L’opera è oggi un passatempo sofisticato, o una specie di totem per lavarsi la coscienza. Ma certamente, quanto meno, il presente ha dismesso l’euforia collettiva per mercato, industrie culturali e sistema

“La simulazione sembrava artificiale perché era artificiale.
Persuasiva, senza dubbio, e assolutamente piacevole, ma morta.
Come ha detto Thea, era decorazione, non arte. Come uno di quei
quadri che si vedono nelle camere d’albergo. Belli da guardare
e per riempire lo spazio sul muro, ma niente di più.”

JUSTIN CRONIN, IL TRAGHETTATORE (2023)

E adesso? Adesso che succede allo spirito positivo e propositivo, all’ottimismo, all’efficientismo, all’orientamento ossessivo verso il risultato immediato e concreto?

Adesso che, a quanto pare, sta andando tutto a rotoli? Le magnifiche sorti e progressive, ancora una volta (come sempre, del resto…), a quanto sembra hanno fatto cilecca. È una regola fissa, non scritta ma ferrea: ogni volta che l’arte e la creatività si assestano su una ‘media’ di decorazione e simulazione, le cose vanno male nel mondo reale.

La relazione è, di fatto, biunivoca: le cose vanno male e quindi l’arte fa abbastanza pena; ma anche: l’arte fa abbastanza pena, e questo fattore contribuisce in maniera sostanziale a far andare male le cose. Perciò: tempi scadenti generano arte scadente, e arte scadente genera a sua volta tempi scadenti. (Dice: ma l’arte oggi non interessa quasi a nessuno. Appunto.)

Leon Golub, Vietnam II, 1973, dettaglio
Leon Golub, Vietnam II, 1973, dettaglio

La mancanza di comunicazione e la guerra

Del resto, possiamo in fondo descrivere la guerra come una conseguenza diretta – la più tragica – dell’incomprensione e della mancanza di comunicazione. E anche, se posso, della mancata applicazione della logica alla realtà: cioè dell’ostinarsi a voler uniformare i fatti alle proprie credenze. La guerra, quella vera, rappresenta un notevolissimo, terribile, brutale letale aumento di intensità di uno stato di cose che possiamo percepire attorno a noi quotidianamente, ogni ora e ogni momento, da quando usciamo di casa a quando ci torniamo. La guerra, cioè, non è altrove, non è lontana – ma è ovunque. È fuori e dentro di noi. 

Basta guardarsi intorno, e considerare quanto poco logica e comprensione dell’altro regolino le faccende umane attuali, a tutti i livelli: politica, economia (dal greco oikonomía, oîkos ‘casa, dimora, abitazione’ e -nomia ‘amministrazione, governo’, da nomos, ‘regola, legge’ = amministrazione della casa), circolazione stradale, trasporti, ristorazione, tempo libero, amministrazione, burocrazia, distribuzione e consumo delle risorse, ecologia, urbanistica, ecc. ecc. Arte e cultura rappresentano uno di questi livelli e declinazioni. 

Arte come identificazione con l’altro

Alla fine, comprendere l’altro vuol dire essere l’altro senza identificarci con l’altro, assumere il punto di vista dell’altro senza necessariamente condividerlo, osservare cioè i fenomeni da più angolazioni conservando la propria posizione. E questo, se ci pensiamo bene, solo l’opera d’arte è in grado di insegnarcelo. Viene fuori dunque che proprio l’oggetto più bistrattato e ignorato, l’opera, è il dispositivo perfetto per regolare il nostro stare al mondo e il nostro stare con gli altri, e volendo rivestirebbe un ruolo fondamentale nelle nostre vite. Ma così – almeno allo stato attuale – non è.

Nella migliore delle ipotesi, infatti, oggi l’opera è un passatempo sofisticato, e/o una specie di totem per lavarsi la coscienza (“avete visto? Anche io mi occupo di questi temi, anche io mi interesso dei mali del mondo, anche io sono consapevole, anche io ho svolto la mia parte, e quindi non mi potete catalogare come un bruto ma dovete considerarmi a pieno titolo parte integrante dei membri progressisti e con: ho fatto/visto la mostra A, ho scritto/letto il libro B, ho girato/visto il libro C, ho redatto/firmato la petizione D…”). Oppure, ancora, l’opera è l’equivalente di un titolo finanziario, di un derivato quasi completamente sganciato da ogni controllo e riferimento, dunque ottimo ai fini della speculazione. 

Martha Rosler, Photo Op, dalla serie Bringing the War Home House Beautiful, 2004-08 ca.
Martha Rosler, Photo Op, dalla serie Bringing the War Home House Beautiful, 2004-08 ca.

L’utilità dell’arte

Molto meno utile, come si può facilmente verificare, quando la realtà presenta finalmente il conto.

Allora, tutta questa allegra inutilità, questa spensieratezza ventennale e trentennale si rivela uno strumento inservibile, e in effetti un ostacolo serio, per affrontare ciò che abbiamo davanti e attorno; così come l’euforia “da mondo dell’arte / da sistema dell’arte” di solo qualche anno fa, dismessa gran parte della sua artificiale desiderabilità, manifesta tutti i suoi tratti (che, per la verità, si potevano cogliere anche al momento…) di superficialità, di ignoranza compiaciuta e di autentica cretinaggine.

Ma tant’è. E adesso, che si fa (o, come diceva quel tale, che fare?). Quello che si fa di solito in queste occasioni, secolo dopo secolo, epoca dopo epoca: ci si rimbocca le maniche, si torna alle basi e si ricostruisce. Ancora e ancora. Si ignorano finalmente e si abbandonano al loro triste destino, per esempio, i sapientoni che fino a poco tempo fa potevano affermare impunemente “ah ma Adorno e Horkheimer non avevano capito niente, l’industria culturale è il meglio che ci sia, anzi l’arte è solo industria culturale”, “e il neorealismo che palle”, e “Pasolini che palle”, e “Jeff Koons e Damien Hirst due geni”, ma soprattutto: “il mercato regola ogni cosa, il mercato è la legge, se il mercato dice che sei bravo sei bravo, se il mercato ti ignora sei un…”. 

Arte e mercato dell’arte

Per fortuna, uno dei pochi aspetti positivi del disastro e dell’atmosfera apocalittica e/o distopica che ci circonda (a seconda del giorno, e anche del momento della giornata) è il fatto che d’ora in poi queste scemenze sesquipedali verranno considerate per quello che sono, e che sono sempre state: uno dei prodotti squisiti di un’epoca di profonda confusione culturale, e di confusione proprio tra causa e effetto. Di confusione generale sul ruolo dell’arte e della cultura nella società, sul ruolo delle persone nella società (da societas, che deriva a sua volta da socius: compagno, amico, alleato), sul ruolo della/delle società e sulla responsabilità della/delle società nei confronti dell’ambiente, del futuro – e anche del passato. 

Arte, riflessioni e soluzioni

(Detto altrimenti: non è che puoi metterti a giocare per decenni, rimandare in perpetuo le soluzioni e le riflessioni collettive, sospendere sine die l’“amministrazione della casa” o comunque mandarla scientemente a gambe all’aria, e pensare/sperare seriamente che vada liscia, perché – ovviamente – non andrà così; i risultati, del resto, sono sotto gli occhi di tutti. Ciò che accade non accade all’improvviso, ma è la conseguenza di un trentennio abbondante di pericolose autoillusioni.)

Christian Caliandro 

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Christian Caliandro

Christian Caliandro

Christian Caliandro (1979), storico dell’arte contemporanea, studioso di storia culturale ed esperto di politiche culturali, insegna storia dell’arte presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze. È membro del comitato scientifico di Symbola Fondazione per le Qualità italiane. Ha pubblicato “La…

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