La Casa delle donne di Palazzo Nardini a Roma. Un grande esperimento femminista in un palazzo rinascimentale

Dal 1976 al 1984, il Palazzo tardo-quattrocentesco che deve il suo nome al cardinale Stefano Nardini è stato fulcro di un’esperienza essenziale nel processo di autocoscienza del Movimento di liberazione della donna. Sede di lotte politiche, attività culturali, centro di aiuto. Tutta la storia, che non finisce qui

Io sono mia”. Nel 2009, una pubblicazione promossa dall’allora Ministero per i Beni e le Attività Culturali (con la Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Lazio e la Soprintendenza di Roma) recuperava una delle frasi simbolo del movimento femminista per fare il punto su un’esperienza essenziale nel processo di costituzione e rafforzamento del movimento stesso.
In una fase significativa della storia civile italiana, che vide la trasformazione del rapporto tra società maschile e mondo femminile, fu infatti Roma a battezzare la prima Casa delle donne in Italia, con l’occupazione di Palazzo Nardini da parte del Movimento di liberazione della donna.

La Casa delle donne a Palazzo Nardini. L’occupazione del 1976

L’edificio di fondazione tardo-quattrocentesca – che abbiamo già imparato a conoscere e che ha recentemente restituito un prezioso affresco rinascimentale grazie al lavoro di Antonio Forcellino e del suo team – era stato fino al 1964 sede della Pretura, fino alla realizzazione dei nuovi Uffici giudiziari nella Capitale.
Dopo oltre dieci anni di abbandono, il 2 ottobre del 1976 i collettivi femministi della città decisero di occuparlo con un’azione non violenta proprio per l’alto valore simbolico che il Palazzo di Via del Governo Vecchio aveva rivestito per secoli nella storia di Roma.
Ma la scelta fu anche funzionale: all’inizio degli Anni Settanta i collettivi erano strapieni di donne costrette a riunirsi in posti scomodi e disseminati dal centro alla periferia; gli ampi spazi di Palazzo Nardini, con il grande cortile centrale su cui si affacciavano i loggiati, i lunghi corridoi, le innumerevoli stanze sembrarono adeguati alle necessità e alle ambizioni del movimento, che aspirava a creare una “città delle donne” nel cuore di Roma, in un luogo facilmente riconoscibile e raggiungibile da tutte.
La lunga parentesi si sarebbe protratta fino al 1984, con lo sfratto dall’edificio però alla volta di una nuova destinazione stabile, quel complesso monumentale del Buon Pastore – nella zona trasteverina della Lungara, di là dal Tevere rispetto a Palazzo Nardini – già penitenziario femminile, occupato nel 1987 e finalmente riconosciuto dal Comune come sede della Casa Internazionale delle Donne nel 1992 (oggi anche sede di Archivia, un centro di documentazione che raccoglie 30mila volumi, 35mila foto, 900 manifesti e 600 riviste nazionali e internazionali della storia femminista).

Palazzo Nardini, work in progress. Tracce del passato come Casa delle donne. Photo Irene Fanizza
Palazzo Nardini, work in progress. Tracce del passato come Casa delle donne. Photo Irene Fanizza

Palazzo Nardini al cuore dell’esperienza femminista degli Anni Settanta

Stanti le condizioni sempre più fatiscenti di Palazzo Nardini – che i collettivi si erano preoccupati di restaurare al meglio delle proprie possibilità nella prima fase dell’occupazione – già nel 1981, infatti, le donne della Casa avevano avviato una trattativa con le istituzioni cittadine per l’assegnazione di un luogo in cui trasferire le proprie attività. Un negoziato che suscitò però grandi discussioni tra le femministe, preoccupate di mettere a rischio l’autonomia di un luogo di sperimentazione e di autodeterminazione come quello che si era costituito a Via del Governo Vecchio.
Gli anni di Palazzo Nardini furono infatti fondamentali per maturare una coscienza collettiva nel frangente di molte battaglie cruciali: la Legge 194 sulla depenalizzazione dell’aborto sarebbe arrivata solo nel 1978, grazie alla perseveranza di una lotta portata avanti congiuntamente dai movimenti femministi italiani a partire dal 1973, anche con il sostegno e l’impegno di figure del mondo dell’arte come Carla Lonzi e Carla Accardi, che insieme a Elvira Banotti avevano fondato il gruppo Rivolta femminile.

La Casa delle donne a Palazzo Nardini. Tra centro antiviolenza e lotte politiche

All’interno del Palazzo si costituirono allora spazi di autoaiuto per la conoscenza del proprio corpo e la salute riproduttiva, consultori per le donne che volevano abortire quando l’interruzione di gravidanza era ancora illegale, ma anche servizi di consulenza legale e centri di ascolto per le donne vittime di violenza (di fatto, a Palazzo Nardini si costituì, in quegli anni, il primo centro antiviolenza in Italia, inaugurato nel febbraio del 1977), un asilo nido per i bambini del quartiere, diversi progetti culturali, attività teatrali, riviste.
Scritte e graffiti rinvenuti principalmente nell’area dello scalone di collegamento tra i piani e sulle pareti della corte centrale recano testimonianza di ciò che è stato: slogan che sintetizzano in modo efficace e colorito le battaglie culturali e politiche sostenute dal movimento, disegni, poesie e frasi d’amore, stralci di manifesti rimasti impressi nella memoria dell’edificio. Che il Palazzo ha custodito come uno scrigno nei lunghi anni di “nuovo” abbandono: il restauro conservativo attualmente in corso, fortemente voluto dalla proprietaria dell’immobile Angela Armellini, rimuoverà queste tracce dalle pareti con l’intento, però, di farle rivivere in uno spazio a loro dedicato e con l’ausilio di artisti contemporanei, sempre all’interno del complesso, che dia il giusto valore al più importante esperimento femminista italiano, avanguardistico anche sull’orizzonte internazionale.

Palazzo Nardini, work in progress. Tracce del passato come Casa delle donne. Photo Irene Fanizza
Palazzo Nardini, work in progress. Tracce del passato come Casa delle donne. Photo Irene Fanizza

 “Io sono mia”: Palazzo Nardini come centro culturale del femminismo

Delle stesse testimonianze, il volumetto Io sono mia raccoglie una campagna fotografica commissionata a Giulio Sarchiola, che restituisce – oltre ai disegni, alle scritte e agli slogan di cui sopra – anche le scritte di “servizio” che dettavano le regole di comportamento nell’edificio e i ricordi personali di molte delle donne che frequentarono la Casa.
Parlavamo di noi e del mondo, di ciò che non ci piaceva del mondo, non soltanto nelle famiglie, ma di ciò che non andava nella politica”, ricorda oggi Manuela Fraire, che del Movimento degli albori è stata una protagonista: “Al Governo Vecchio si incontravano nuclei di diversa provenienza sociale: la Casa delle donne fu un luogo totalmente pubblico, aperto a qualsiasi donna che avesse voluto entrarvi. Gli uomini, però, non potevano accedere”.
Parte della Casa divenne nel 1979 sede dell’università delle donne fondata dal collettivo Virginia Woolf, nata dall’intuizione di Alessandra Bocchetti Francesca Molfino: nel centro si tenevamo seminari e lezioni volti a rileggere la filosofia, la letteratura, la psicanalisi, la sociologia a partire dall’esperienza femminile, a fronte di un sistema culturale in cui era assente il punto di vista delle donne. Per un breve periodo, inoltre, il Teatro della Maddalena fondato, tra le altre, da Dacia Maraini, utilizzò alcuni ambienti dell’edificio come sala prove. E tra le iniziative più significative sul piano comunicativo si costituì, sempre all’interno del Palazzo, la redazione di Quotidiano donna, pubblicazione settimanale di politica, attualità e cultura, il cui primo numero fu dato alle stampe l’8 maggio del 1978. Un anno dopo, nel maggio del ’79, sarebbe stata la volta di Radio Lilith, emittente aperta a tutte le donne del Movimento.
Ma nella storia che intreccia le vicende del femminismo con Palazzo Nardini come “spazio delle donne per le donne, luogo di incontro e confronto sui temi di liberazione e centro di creatività” si possono citare altri episodi emblematici: l’organizzazione della storica fiaccolata “Riprendiamoci la notte”, contro la violenza sulle donne, il 27 novembre 1976; il congresso del Movimento di liberazione della donna per l’abrogazione del reato d’aborto nel giugno del 1977; la produzione del film Io sono mia, interamente realizzato da donne nel gennaio 1978 e il Convegno internazionale sulla violenza sessuale nello stesso anno.
E quando, a breve, si avvierà un nuovo capitolo nella storia di Palazzo Nardini, l’anima dell’esperienza femminista di Via del Governo Vecchio sarà omaggiata come merita.

Livia Montagnoli

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