Simona Stivaletta / Vanni Macchiagodena – Disciplina velata
Analizzando il linguaggio artistico di Simona Stivaletta e Vanni Macchiagodena si denota una loro disciplina, si distingue quanto nei loro lavori si celi qualcosa di più di quello che si vede: i paesaggi richiamano natura e industrialità del presente in modo da completare quel concetto, che porta ad imparare una nuova lezione.
Comunicato stampa
Quando il punto di vista è osservato in maniera semplice e concisa, porta a qualcosa di vero.
Analizzando il linguaggio artistico di Simona Stivaletta e Vanni Macchiagodena si denota una loro disciplina, si distingue quanto nei loro lavori si celi qualcosa di più di quello che si vede: i paesaggi richiamano natura e industrialità del presente in modo da completare quel concetto, che porta ad imparare una nuova lezione.
Parlare al singolare in questa mostra è complesso per un motivo chiaro: la contaminazione e la condivisione portano a muovere gli occhi sempre verso la stessa luce o la stessa ombra ma vi è sempre un qualcosa di distintivo che porta a riconoscere quale sia il linguaggio dell'una e dell’altro.
Si vedono paesaggi composti di una natura morta e del gioco della vita, di una concettualità architettonica naturale che si compone di linee e forme a volte alquanto suscettibili, nel non dare un’espressione di vivacità, ma ricche di regole non dette.
In questo caso, trarre conclusioni affrettate su quello che si vede porta a non leggere bene la visione cercata: si rimanda tutto ad un ricordo, come se fossimo ancora bambini che non possono immaginare. E non pensare al futuro.
Simona Stivaletta dialoga con il tempo, con gli oggetti dell’infanzia, con la terra, con la sua intensiva ricchezza, con le sue conseguenze e fa in modo che divulgare i propri ricordi sia qualcosa che porti frutto, nutrendoci di punti di vista razionali, ricchi di creatività, responsabilità e abilità nel seminare un prodotto che possa essere raccolto da tutti.
La comunicazione non verbale lascia una porta aperta, lascia percepire quella linea disciplinare di facile imposizione che un artista tiene nei suoi tratti distintivi.
Vanni Macchiagodena con un linguaggio visivo e scultoreo, scompone il punto di vista dell’orizzonte mettendo in primo piano quello che non vogliamo vedere o che non capiamo. Una macchia che non è un timbro di fabbrica ma un accenno a quello che avviene nella nostra Terra, come smembramento di anima in vita che ci appartiene ma che dimentichiamo.
Infine, posano una - cortina - sopra le cose, di tale intimità da permettere a chi ne fruisce di far nascere dentro di sé un'idea che non si compone di sole immagini. Una poetica all’interno di una metafora, nella quale le linee culminano in tante forme che si celano dietro un velo, fatta di materia intelligentemente sovrapposta.
Per questo tendiamo a mettere un velo sopra le cose, perché intravedere non è come saperlo davvero.
La disciplina è un’altra cosa, è qualcosa che ci abita dentro.
| SETE | Vanni Macchiagodena
Olio su Tela 100x120 cm
Scultura legno di ulivo 180x130 cm
Xilografia cm 15x20 cm su carta 50x35 cm, tiratura 1/20
La scultura Sete è ulivo, tronchi disposti verticalmente e orizzontalmente, che richiamano una deposizione simbolica della sofferenza e del sacrificio. Una scultura non religiosa, non associata alla deposizione di Cristo, ma alla sua metafora di sofferenza che si infligge alla natura e al pianeta a causa dei cambiamenti climatici.
Il titolo Sete ha una doppia valenza poiché da una parte direziona verso un problema come la siccità, un problema crescente legato ai cambiamenti del nostro ecosistema, dall’altro la sete di agire e di impegnarsi, con disciplina, ad affrontare e alleviare i cambiamenti. Non a caso la scelta dell’ulivo, rappresentante la longevità, la pace e la resistenza amplificando il messaggio di urgenza e speranza.
La tela, sempre dal nome Sete, è un paesaggio che include quel marchio che contraddistingue la visione di Vanni Macchiagodena, simbolo di un - cancro - che minaccia il nostro futuro: la mano dell’uomo che, non preservando l’ambiente, compromette il benessere delle future generazioni.
Infine la xilografia completa il progetto, raffigurando in maniera speculare due immagini della natura: luce e oscurità. Da una parte il godimento dell’uomo, grazie alla generosità dei frutti ricevuti dall’albero. Dall’altra la natura si rovescia con l’apparato radicale dell’albero che volge le sue radici non più nella terra oramai spenta ma verso la superficie, in uno spazio buio e indefinito nella disperata ricerca di acqua. Mentre nella terra, a questo punto spenta, trova la sua condanna l’uomo rappresentato a testa in giù.
Sete è un’opera di impatto sociale, che denuncia e unisce, invitando alla riflessione e all’azione concreta per affrontare i mutamenti e preservare l’ambiente. Vi è una sofferenza che incita ad una determinazione, quella di invertire la rotta e costruire un futuro migliore evidenziando la necessità di un rinnovarsi radicalmente dalle nostre abitudini e politiche ambientali.