I nudi maschili di Fabiola Quezeda in mostra a Milano
I dipinti dell’artista messicana Fabiola Quezada sfida la tradizione: non un uomo che dipinge un nudo femminile, bensì una donna che dipinge un nudo maschile. La mostra a Palazzo della Regione Lombardia a Milano
Fabiola Quezada (Temascalapa, 1968) ha proposto una mostra personale il cui scopo è di far vedere i suoi ritratti di uomini messi a nudo. Questa dichiarazione suona leggermente e garbatamente polemica perché l’artista messicana si dichiara pronta a sostituire un punto di vista: non un uomo che dipinge la cosiddetta modella ma una donna che dipinge un uomo preso come modello.
La mostra di Fabiola Quezada a Milano
Da qui in poi tutta l’operazione di Quezada, ospitata allo Spazio Isola SET del Palazzo della Regione Lombardia, si svolge secondo una modalità più complessa che invita a sostare e ad approfondire quello che stiamo vedendo. L’artista espone l’armamentario della sua visione: il contatto con la nudità del modello, documentato dal disegno e dalla fotografia, e il trasferimento sulla tela di dimensioni più grandi. Di quel contatto non ci viene restituita una fragranza, oserei dire che il contatto è sostituito da un’occasione. L’evento è Quezada che dipinge il modello, non l’uomo – scelto tra gli adolescenti e gli uomini più maturi, senza peli e magro – che si spoglia per farsi dipingere. Questo mette il colore in una condizione molto diversa dalla logica dello sguardo del desiderio. L’artista non sovverte la condizione di potere di centocinquant’anni di visione borghese (ricordiamo che l’Accademia dell’ancien régime era nata per disegnare uomini nudi), la aggira per offrirci uno squarcio su un mondo della visione interiore che ha punti di riferimento e di tradizione diversi.
La pittura di Fabiola Quezada
Se l’uomo non è spogliato per essere desiderato, il richiamo di Quezada alle Demoiselles picassiane non va a un bordello bensì a una specie di arcobaleno di ragazzi nudi in cui si vedono le tinte del pride senza che se ne senta il richiamo. Ricordiamo, per contrasto, l’imbarazzo doloroso del quadro vivente di Senso, il film di Visconti, in cui la contessa Serpieri avanza nella camerata degli ufficiali disposti come le prostitute di un quadro famoso di Telemaco Signorini. Fabiola non ha dubbi su ciò che ama: assimilare il nudo maschile a un fatto naturale, organico. Trovare nell’altro da sé l’espansione di un fiore e di una pianta che parta da una condizione di malinconia muscolare simulata. Il ragazzo nudo che si chiude su se stesso. L’accrocchio vivente del piccolo “dannato” in fotografia.
Fabiola Quezada e la nudità maschile
La mostra di Milano sviluppa una storia che era cominciata anni prima, con il premio Lissone del 2004, una bella mostra al Museo del Mare di Genova nel 2014 e una collaborazione ricorrente con la Saatchi. Non tutto è risolto linguisticamente nella mostra milanese, perché talvolta il gesto di dipingere prevale sul quadro, ma si apprezza lo sforzo sincero – e piano – di una confessione che è meno sbarazzina di quanto sembri. Spogliare un ragazzo che ha l’età di un figlio invita a riflettere sul mistero di una vita ad occhi aperti. Sfumare il suo pene, abbozzarlo per non renderlo distinguibile, significa abbozzare una giovinezza e tenerne via una parte per sé nel ricordo.
Giacomo Agosti
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