Da Peter Lindbergh a Giulio Favotto: l’evoluzione della bellezza femminile nella fotografia
I canoni della bellezza femminile sono stati plasmati anche dalla fotografia, anche di moda. E soprattutto dallo sguardo maschile. Ma c’è stata un’importante evoluzione del modo di ritrarre le donne
Da Peter Lindbergh a Mario Testino, i fotografi di moda hanno dettato gli standard di bellezza femminili contemporanei, proseguendo la storia di una produzione visuale in cui la donna è ritratta dall’uomo. Oggi, fotografi come Giulio Favotto propongono uno stile più intimo e equo, lontano da definizioni e stereotipi di genere. Ma facciamo un passo indietro: il linguaggio visuale che predomina la contemporaneità ha preso forma a partire dall’Ottocento con l’illustrazione di moda, per svilupparsi poi ulteriormente grazie a fotografia, pubblicità, cinema, televisione, fino all’attuale egemonia dei social network.
Lo sguardo maschile sulla bellezza femminile
Questo processo prosegue nel plasmare standard di bellezza femminile ai quali la donna si ritrova involontariamente ad aspirare e rincorrere, per poi affrontare (nella maggior parte dei casi) un fallimento di fronte a obiettivi completamente irrealistici. L’assetto patriarcale della società ha fatto sì che la figura femminile fosse relegata all’ambiente domestico e strettamente identificata al ruolo di madre, tracciando un confine invalicabile attorno ai settori economico e artistico, resi appannaggio esclusivo del genere maschile. Ne consegue inevitabilmente che la storia dell’arte, della fotografia, della pubblicità siano state tracciate da nomi maschili che hanno prodotto un racconto visuale sulla bellezza della donna in funzione del gusto dell’uomo. Tutto questo si traduce in un costante tentativo di rientrare negli standard proposti, rincorrendo la conquista di attenzioni che oggettificano il corpo, proseguendo nel veicolare la convinzione che il raggiungimento del successo di una donna sia unicamente determinato dall’approvazione maschile nei suoi confronti.
La bellezza femminile come canone irraggiungibile
Alla voce “bellezza” si trova il significato di “qualità capace di appagare l’animo attraverso i sensi, divenendo oggetto di meritata e degna contemplazione”. La ricerca della bellezza estetica spesso raggiunge apici strutturali che rasentano l’ossessione. Storicamente, la questione della cura del corpo e dell’immagine è stata attribuita alla donna con l’implicita attribuzione di qualità quali frivolezza, vanità e superficialità. Moda, fragranze e cosmetica per iniziare, poi cura del corpo, unghie e capelli, per continuare con diet culture, manipolazione fotografica e chirurgia plastica. Gli sforzi incessanti e il conseguente stress derivato dalla continua rincorsa di un ideale hanno accompagnato lo sviluppo ideologico dell’estetica femminile in ogni periodo storico, provocando conseguenze spesso molto gravi sull’affermazione collettiva di genere e sulla salute mentale individuale.
La bellezza femminile secondo lo sguardo fotografico
La sana cura personale e la naturale tendenza al benessere fisico sono meravigliose espressioni dell’istinto di sopravvivenza e legittime attenzioni alla propria individualità, utili alla scoperta di sé e allo sviluppo della propria sicurezza. Il fenomeno in questione è invece il risvolto estremo e spesso incontrollabile che sfocia nella completa diligenza a pratiche di modificazione corporea per rientrare in schemi di “bellezza”: corpo snello e sodo, chioma lunga, liscia e fluente, pelle perfetta e uniforme, priva di peli superflui. Uno degli esempi più lampanti è l’ossessione per la magrezza e la forte diffusione di disturbi alimentari tra le adolescenti nel ventennio 1990-2000, periodo storico in cui l’ideale di bellezza era incarnato da super model dai corpi esili come Kate Moss, Agyness Deyn e le rappresentazioni femminili in passerella e sui tabelloni pubblicitari erano predominate da irrealistiche taglie zero. Sono una risposta reazionaria alle bellezze statuarie e vigorose degli Anni Ottanta come Cindy Crawford, Elle Macpherson, Eva Herzigová e Claudia Schiffer, figure altrettanto lontane dall’aspetto della donna media del periodo. Le bellezze androgine sono state soggetto del racconto di un’epoca prodotto da fotografi quali Mario Testino e Mario Sorrenti. Al loro fianco, Peter Lindbergh, Steven Meisel, Terry Richardson, Patrick Demarchelier e David LaChapelle hanno proiettato agli occhi della collettività la propria visione di bellezza femminile, proponendo una visione dall’indubbia forza poetica e narrativa. Il fenomeno che avviene è un’interessante consegna di un messaggio implicito che fissa uno standard aspirazionale a cui il cosiddetto “sesso debole” viene richiesto di attenersi con diligente ossequio.
La nuova sensibilità della fotografia
Il progresso negli ultimi anni ha permesso a molti più obiettivi femminili di scattare e narrare la propria visione del reale e numerosi movimenti attivisti per la parità di genere sono stati fortemente veicolati dai settori arte e moda. Nel frattempo, anche lo sguardo maschile ha mutato i propri linguaggi e modalità, trasformando la fotografia in una documentazione più egualitaria e ibrida, capace di descrivere una verità attuale allontanandosi dagli stereotipi di genere. Un esempio intimo e delicato è il progetto PATERNITY RATIO di Giulio Favotto, pubblicazione che racconta relazioni, sessualità e paternità attraverso il mezzo fotografico e unisce le sfere del maschile e del femminile offuscandone i confini e intersecando le loro narrazioni. Le immagini scattate da Giulio Favotto esplorano una bellezza che mette in comunicazione i generi e le identità, descrivendo il fascino dei corpi senza il bisogno di immortalare i corpi stessi, esulando dal protagonismo assoluto della materia umana per lasciare spazio al valore dell’immateriale. L’espressione fotografica si evolve in una narrazione della bellezza più profonda e analitica, dissociata dalla centralità della fisicità per spostare il focus sulle sue declinazioni essenziali.
Elena Canesso
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