Delusioni di fine anno: l’Agenda Monti e la cultura. Tutto quello che il programma dell’ex premier non dice. O meglio tutto quello che, purtroppo, dice
Certo, Mario Monti ha precisato che il documento, da lui stesso battezzato “Agenda”, dunque, letteralmente gerundivo del verbo agere ovvero “cose da fare”, è un documento in divenire. Un punto di partenza. E speriamo che sia davvero così. Perché al di là della grande innovazione di metodo (una campagna elettorale che parte, appunto, dalle “cose […]
Certo, Mario Monti ha precisato che il documento, da lui stesso battezzato “Agenda”, dunque, letteralmente gerundivo del verbo agere ovvero “cose da fare”, è un documento in divenire. Un punto di partenza. E speriamo che sia davvero così. Perché al di là della grande innovazione di metodo (una campagna elettorale che parte, appunto, dalle “cose da fare” e non dalle “illusioni da somministrare”), entrando nel merito il piatto rischia di piangere molto peri temi dell’arte e della cultura. Non si tratta, banalmente, dei temi che stanno a cuore a noialtri, si tratta del pacchetto di misure che devono e possono stimolare un ambito che conta, a seconda dei calcoli, tra il 12 e il 20 per cento di Pil: una enormità; probabilmente la prima industria del paese.
Di industria, nell’Agenda Monti, si parla moltissimo. Poi si parla di scuola, di formazione, di green economy e, in maniera anche innovativa, di ruolo delle donne (è stato chiamato programma green e pink non a caso). Si parla di competitività, di investimenti, di fondi europei, di lotta alla mafia e di evasione fiscale e ancora di corruzione, di economia sommersa, dei costi della politica (anzi, con uno slogan inconsapevole, di “costi della casta”), di federalismo e di riforma delle istituzioni, di meritocrazia e di pensioni. In tutti gli ambiti si entra nello specifico proponendo soluzioni, citando numeri, suggerendo buone pratiche.
L’asino, tuttavia, casca alle pagine 13 e 14. Analizziamole nel dettaglio aggiungendovi i nostri commenti:
Il patrimonio culturale del nostro Paese non ha eguali al mondo, per vastità nello spazio (dai monumenti alla gastronomia, dai teatri alle chiese) e nel tempo (dalle incisioni rupestri alle avanguardie).
- Qui, a dispetto della grande attenzione prestata al mondo della scuola, l’Agenda Monti fa lo stesso errore del sussidiario di scuola media: si ferma al Futurismo o un attimo prima. Qualcuno spieghi all’ex Commissario Europeo che l’Italia ha prodotto cultura anche dopo i primi anni dello scorso secolo. Anzi: ne produce anche oggi.
È una ricchezza non delocalizzabile, non riproducibile altrove. Per il nostro Paese è dunque una scelta strategica “naturale” puntare sulla cultura, integrando arte e paesaggio, turismo e ambiente, agricoltura e artigianato, all’insegna della sostenibilità e della valorizzazione delle nostre eccellenze.
- Non paiono anche a voi frasi sentite e risentite, ma completamente prive di progettualità? Chi potrebbe essere contrario? Nessuno, perché non c’è nulla di nulla. Neppure nulla su cui discutere.
I progetti promossi recentemente per il sito archeologico di Pompei, l’Accademia di Brera, la Galleria dell’Accademia di Venezia, il Museo di Capodimonte dimostrano che anche in periodi difficili è possibile trovare le risorse per tutelare il nostro patrimonio. Intese con le fondazioni di origine non bancaria o forme calibrate di partnership pubblico-privato potrebbero consentire un allargamento dello spettro delle iniziative finanziabili.
- Sembra che l’unico problema sia trovare qualche milioncino di euro in più di finanziamenti. Ma non è questo il punto.
Musei, aree archeologiche, archivi, biblioteche devono essere accessibili ai cittadini e ai turisti in modo più agevole e la qualità dell’offerta deve migliorare, anche sperimentando forme di sinergia e collaborazione tra il privato sociale e le istituzioni statali.
- Frasi di un generico e di un banale inaccettabile. Se il resto del documento l’ha scritto il professor Pietro Ichino, per il capitolo culturale è stato messo a lavoro qualche stagista che ha scopiazzato documenti degli anni Novanta in cui si auspicava – giustamente peraltro – un ingresso dei privati nella gestione? Sono esattamente vent’anni che questi temi sono stati sviscerati. E poi cosa significa “privato sociale”?
Investire nella cultura significa anche lavorare per rafforzare il potenziale del nostro turismo, poiché già oggi cultura, bellezze naturali ed enogastronomia sono i pilastri della nostra attrattività, anche rispetto a Paesi che presentano il maggior potenziale di sviluppo turistico (Russia, Brasile, Cina, India, Golfo).
- Qui è positivo che venga ribadita l’interrelazione tra arte, cultura, patrimonio, paesaggio e enogastronomia. Che si riesca a gestire questi ambiti in maniera integrata?
La macchina turistica va però governata meglio: oggi ci sono troppi centri decisionali, poco coordinati e con insufficiente massa critica per affrontare con successo la competizione globale. Per questo è necessario rafforzare il coordinamento centrale e incidere sul sistema ricettivo, fieristico, infrastrutturale, formativo, normativo e fiscale per renderli coerenti con un’offerta turistica che intercetti nuovi bisogni e migliori la qualità complessiva
- Come si vede più della metà della trattazione “culturale” finisce per degenerare (non è detto che sia un male, beninteso) sull’argomento turistico. Ma purtroppo anche qui senza proposte operative, senza concretezza. Cosa si vuole fare? Togliere alle regioni la delega sul turismo? Magari! Ma lo si dica con chiarezza come con chiarezza sono stati specificati i propositi in altre parti del programma.
In questi mesi è stato preparato e sottoposto a consultazione un Piano strategico per il turismo, che non è stato ancora adottato per la chiusura della legislatura. Occorre riprenderlo e lanciare un programma di azioni concrete a breve e lungo termine.
- Anche qui, generico riferimento ad un disegno di legge rimasto appeso. La sensazione complessiva, purtroppo, è che in caso di adozione (da parte di Monti stesso o di un altro primo ministro) dell’Agenda, il quoziente di interesse che il governo riserverà alla cultura sarà pari a quello riservato nell’ultimo anno: magari, e ci sarebbe davvero da ridere, confermando Lorenzo Ornaghi alla guida di un ministero che, così com’è, potrebbe anche essere soppresso.
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