Villa delle Rose a Bologna sarà Casa del dialogo tra religioni e culture. Che ne sarà dell’arte?

Gino Gianuizzi fondatore della galleria NEON lancia l’allarme sulla decisione del sindaco Matteo Lepore di destinare lo spazio che diede origine alla GAM a un progetto che penalizzerebbe la sperimentazione artistica. Tutta la storia

A Bologna, Villa delle Rose ha rappresentato per buona parte del Novecento un centro propulsivo per le arti visive, accogliendo il ruolo di Galleria d’Arte Moderna della città con la capacità di presidiare e alimentare le dinamiche artistiche del contemporaneo, di pari passo con i cambiamenti della società.

Villa delle Rose nel 1917. Copyright Biblioteca comunale dell'Archiginnasio
Villa delle Rose nel 1917. Copyright Biblioteca comunale dell’Archiginnasio

La storia di Villa delle Rose a Bologna

Antiche sono le origini dell’edificio, oggi raggiungibile nel quartiere Saragozza: dapprima dimora di campagna della famiglia senese Spanocchi, divenne Casino Cella alla metà del Settecento, poi Villa alla Scala; dopo diversi passaggi di proprietà, ormai in stato di abbandono, nel 1906 fu acquistata dai coniugi Armandi Avogli, che si impegnarono a ristrutturarla, affidando i lavori all’architetto Dante Trebbi. Un progetto maturato già con l’intenzione di donare l’edificio con il suo parco alla città.

La targa che attesta la donazione di Villa delle Rose al Comune di Bologna
La targa che attesta la donazione di Villa delle Rose al Comune di Bologna

Villa delle Rose diventa Galleria d’Arte Moderna

Fu così che nel 1916 si concretizzò la donazione a nome della contessa Nerina Armandi Avogli, che cedeva al Comune di Bologna la villa perché vi istituisse una galleria d’arte moderna. Quando fu aperta al pubblico nel 1925, Villa delle Rose esponeva 160 opere di proprietà comunale, principalmente del XIX Secolo; nel 1936 la collezione fu riordinata dallo storico dell’arte Guido Zucchini, il quale diede priorità alle sole opere del Novecento. Con la seconda guerra mondiale le opere furono ricoverate in depositi, mentre la Villa venne adibita a ospedale e, successivamente, a comando militare, prima tedesco e poi alleato. Riaprì alla fine del conflitto, pur su un solo piano, prima di conoscere una fase di grande espansione della collezione grazie alla campagna acquisti varata dal neodirettore Francesco Arcangeli, che diede spazio tanto all’arte regionale quanto ad artisti italiani e stranieri di spicco, pescando dai più importanti eventi dell’epoca, come la Biennale di Venezia del 1968. Fu allora che, per problemi di spazio, il Comune scelse di trasferire la GAM in un nuovo edificio in costruzione nel quartiere Fiera progettato da Leone Pancaldi, che inaugurò nel 1975. Solo due anni più tardi, nel 1977, la GAM, partecipando al fermento artistico che attraversava la città – al contempo agitata da eventi drammatici, nel clima di proteste di piazza represse duramente dalle forze dell’ordine – si sarebbe fatta portavoce delle istanze artistiche che prefiguravano un ruolo centrale per l’arte, organizzando la Settimana Internazionale della Performance, con le più innovative esperienze di body art, azionismo e pratiche multimediali, ospitando artisti quali Marina Abramović e Ulay, Gina Pane, Hermann Nitsch, Luigi Ontani, Franco Vaccari e molti altri.

La creazione del MAMbo e il ruolo di Villa delle Rose

La storia della Galleria d’Arte Moderna nella sua nuova sede si sarebbe accesa ancora nella seconda metà degli Anni Novanta sotto la direzione di Danilo Eccher, con la nascita dello Spazio Aperto riservato alla sperimentazione artistica, a mostre di artisti emergenti e a fenomeni di forte attualità. Nel frattempo, nel ’95, la GAM di Bologna si era trasformata in Istituzione dotata di un proprio Consiglio di amministrazione, primo esempio del genere in Italia. Al 2007, dopo un ulteriore trasferimento nell’ex Forno del pane di via Don Minzoni, risale invece la creazione del MAMbo, che tra le sue sedi espositive ha continuato ad annoverare Villa delle Rose, utilizzata per esposizioni temporanee ed eventi realizzati in collaborazione con soggetti pubblici e privati.

Villa delle Rose, Bologna. La scalinata che da via Saragozza introduce all'edificio. Courtesy MAMbo
Villa delle Rose, Bologna. La scalinata che da via Saragozza introduce all’edificio. Courtesy MAMbo

Villa delle Rose diventerà Casa dell’incontro tra religioni e culture?

Dunque non stupisce l’allarme lanciato da Gino Gianuizzi, figura attivissima sulla scena artistica bolognese e fondatore nel 1981 del “laboratorio di idee” NEON, in risposta alla decisione del sindaco Matteo Lepore di fare di Villa delle Rose, a partire dal 2025, “la Casa dell’incontro e del dialogo tra religioni e culture”. Ma “Villa delle Rose è uno spazio per l’arte contemporanea, nel corso della sua storia ha ospitato molte mostre, è posta all’interno di un parco di interesse cittadino, oggi può divenire una Kunsthalle e ospitare mostre temporanee, workshop, laboratori, seminari mettendo in rete MAMbo, Accademia di Belle Arti, Università di Bologna-DAMS, Università di Bologna-Master in arti visive: arte, museologia e curatela”, spiega Gianuizzi nell’appello-petizione condiviso anche su Change.org. Il disappunto deriva dall’impressione che si vogliano confondere la carte – “La casa dell’incontro e del dialogo tra religioni e culture non è uno spazio dedicato all’arte, NON DOBBIAMO CEDERE VILLA DELLE ROSE”, sottolinea a gran voce Gianuizzi – in un clima che di certo si è fatto più teso negli ultimi mesi, a partire dalla gestione piuttosto confusa del prossimo futuro di Palazzo Pepoli.

Da Palazzo Pepoli a Villa delle Rose. La contestazione al sindaco Matteo Lepore

Con la fine dell’esperienza Genus Bononiae, di cui ci siamo a più riprese occupati, Fondazione Carisbo ha ceduto in concessione al Comune la sede dell’ormai dismesso Museo della Storia della città, tra le proteste di parte della cittadinanza e della comunità culturale bolognese: entro il 2026, Palazzo Pepoli accoglierà il Museo Morandi, anch’esso oggetto di un acceso dibattito che ha portato all’irrigidirsi di posizioni contrapposte. Un fronte sempre più compatto è infatti poco incline ad accettare quella che viene letta come una gestione arbitraria delle politiche culturali da parte del Sindaco, che detiene anche la delega alla Cultura dal principio del suo mandato. E così si spiega la chiosa della petizione di Gianuizzi: “Attiviamoci per impedire che questo ennesimo esproprio venga messo in atto e che gli spazi pubblici per l’arte contemporanea vengano soppressi”.

Una mostra a Villa delle Rose nel 2021 Photo Giorgio Bianchi. Courtesy Istituzione Bologna Musei
Una mostra a Villa delle Rose nel 2021 Photo Giorgio Bianchi. Courtesy Istituzione Bologna Musei

Perché la scelta di Villa delle Rose

Il progetto della Casa dell’incontro e del dialogo tra religioni e culture trova origine in realtà in un protocollo firmato nel 2021 da Comune, Chiesa di Bologna, Comunità Ebraica, Comunità Islamica e Università di Bologna. Ma la decisione di utilizzare Villa delle Rose, “per la struttura che non presenta alcuna connotazione confessionale e ha una buona modularità degli spazi interni […] e un parco ampio, con una fruizione poco intensa, che garantisce quiete e raccoglimento”, si deve all’attuale amministrazione. Convinta, peraltro, che “la nuova destinazione di Villa delle Rose è coerente con il vincolo testamentario con il quale fu donata al Comune, che prevede finalità culturali/espositive, che saranno garantite in collaborazione con il Settore Musei Civici/ MAMbo, attraverso una programmazione condivisa di iniziative”.
La Casa, si legge sul sito del Comune, ospiterà infatti non solo una “stanza del silenzio”, ma anche incontri, seminari e convegni, e installazioni “che aprano spazi di condivisione artistico-spirituale e riflessioni su temi quali la pace, l’intercultura, lo scambio, il dialogo, il superamento degli stereotipi, il contrasto all’intolleranza”. E ancora mostre sull’interreligiosità organizzate dalle comunità partecipanti, gruppi di lettura e di discussione, piccoli spazi musica.

La risposta del sindaco Matteo Lepore

Matteo Lepore, intervenuto personalmente nel dibattito acceso dall’appello di Gianuizzi, aggiunge che “nessuno toglierà Villa delle Rose all’arte contemporanea. Ci sarà uno spazio dedicato al progetto della Casa del dialogo e l’arte sarà protagonista di questo progetto”, rigettando le accuse al mittente – “questa denuncia non ha fondamento” – e proponendo un dialogo tra le parti. Parole che, al momento, non dissipano i dubbi sul reale futuro di Villa delle Rose: “L’arte contemporanea è sempre la casa del dialogo, inventarsi luoghi metafisici per un nulla comunicativo è solo il segno di una politica malata” evidenzia Danilo Eccher “Ci sono stati anni in cui la GAM era uno dei musei più importanti in Italia dando lustro e prestigio alla città. Bologna era veramente una Capitale Europea della Cultura. Che ne è stato di quel patrimonio?”.
A Villa delle Rose”, prosegue Gianuizzi “c’è un problema che si trascina da anni, perché in effetti è sottoutilizzata, anche a causa della scarsità dei fondi a disposizione del MAMbo. E nessuno contesta l’idea di creare uno spazio di dialogo proposta dal Comune. Però ricordiamoci che uno spazio per l’arte è uno spazio di dialogo, e nella Villa potrebbero confluire l’Accademia, le università: potrebbe essere gestita con un budget ridotto diventando un laboratorio di sperimentazione e incontro fedele alla sua storia novecentesca”. “Il mio appello vorrebbe sollecitare le realtà istituzionali di Bologna, invitarle a fare rete per l’arte e la cultura. Ho l’impressione che ci sia un gran silenzio. E questo annuncio, arrivato in un momento dell’anno in cui tutti sono molto distratti, sembra voler sfruttare la situazione”.
Se i piani non cambieranno, in autunno inizieranno i lavori di adeguamento per predisporre la struttura alla nuova destinazione, con l’idea di aprirla all’inizio del 2025. Poi la Casa del dialogo sarà finanziata attraverso contributi pubblici e privati.

Livia Montagnoli

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati