Al Locarno Film Festival Salve Maria di Mar Coll. Una cruda riflessione sulla maternità
La regista e sceneggiatrice spagnola presenta in concorso al Locarno Film Festival la storia di una neomamma che con difficoltà accetta la propria maternità. Per destrutturare la figura stereotipata della buona madre
Che cosa si dovrebbe valutare di un film è ancora oggi materia oscura. Perché essere un cineasta è prima di tutto una prova su più fronti, che lascerà sempre qualcuno scontento. Scrittura, regia, lavoro sugli attori, tematiche. Quante abilità e conoscenze si incrociano miracolosamente per farci dire: “è riuscito!”. Viviamo in un’epoca di grande sconquasso, in cui sicuramente molta attenzione viene data alle tematiche. Salve Maria di Mar Coll, in concorso al Locarno Film Festival (in corso fino al 17 agosto 2024) ne è la prova. Spesso e volentieri didascalico, quando vira verso l’horror psicologico, ha sicuramente il merito di affrontare un tema spinoso: la maternità malvagia. Pronto a far discutere.
“Salve Maria” di Mar Coll al Locarno Film Festival
In verità l’argomento è più complesso, e la confusione della regista nell’affrontarlo diventa un elemento distintivo dell’opera in grado di aprire scenari. Il riferimento letterario è Le madri no di Katixa Agirre, libro in cui si affronta la vicenda di una scrittrice, neo-mamma, e della sua difficile accettazione della maternità. Nel film però questa condizione assume diverse connotazioni. Non è chiaro se la protagonista stia affrontando una depressione post-partum, abbia difficoltà a istaurare un legame affettivo col figlio che fino a poco tempo prima portava in grembo, o se, seguendo la direttrice narrativa più tragica, sia una potenziale madre infanticida. Una Medea, anche se non accecata apertamente dall’odio.
Il tema della maternità in “Salve Maria” di Mar Coll
Che cosa scatta nella sua mente in seguito al confronto immaginifico con un fatto di cronaca che racconta di una madre che ha annegato i suoi gemelli? L’ossessione è solo il primo passo per una discesa negli inferi, a cui corrisponde la presa di coscienza del rifiuto della propria maternità, a cui fa da contraltare un lacerante senso di colpa, che la spinge a maturare un rapporto morboso con la salute del proprio figlio. Il quale parrebbe (nella sua mente) rifiutare il suo latte. Quindi rifiutata a sua volta. Forte è l’istinto di abbandono per seguire la storia di un’altra donna, vista contemporaneamente come demoniaca e terribilmente umana, e ugualmente fervida è l’immaginazione di dare la morte a quel bambino, dopo la vita.
“Salve Maria” di Mar Coll. Una riflessione
La domanda che sorge spontanea, spostando lo sguardo sul figlio è: si merita quella vita? Può una madre scegliere di terminarla? Non solo nella forma della morte vera e propria, ma anche in quella dell’incapacità di amare, che è pur sempre un morire. Un sentimento che appassisce, anzi che non germoglia neppure. Quel figlio una volta adulto amerà quella madre? La risposta è no. La frattura è insanabile ed è per questo che il giudizio morale della società, che ricade sulle donne, sulle cattive madri, non lascia scampo. Eppure la maternità non è un percorso lineare ed è necessario iniziare ad affrontarlo, per destrutturare la figura stereotipata della buona madre, un’immagine su cui si specchia solo la nostra sconfitta.
Carlotta Petracci
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