Firenze d’estate. Tra turismo e Rinascimento, percezione e realtà

L’affollamento dovuto al turismo mette in seria difficoltà un delicato equilibrio che non è solo urbanistico e architettonico, ma umano e psichico, e che per formarsi ha avuto bisogno di secoli e di generazioni di artisti, artigiani, bottegai, cuochi, politici e cittadini

La cosa più bella di Tokyo è McDonald’s.  
La cosa più bella di Stoccolma è McDonald’s.  
La cosa più bella di Firenze è McDonald’s.  
A Pechino e a Mosca non c’è ancora niente di bello.
 
ANDY WARHOL 

Firenze ha un paesaggio che – a differenza di quello di altre città italiane – non mette alcuna ansia a chi la percorre. 
Questo ha a che fare naturalmente con le forme degli edifici. La cupola di Brunelleschi, che si vede chiaramente arrivando in treno da Rifredi, ha un incredibile potere rasserenante: è proprio una presenza che, da sola, è in grado di renderti istantaneamente più contento della vita. Che non è poco: “alzando gli occhi ai palazzi, alle torri, ai campanili, agli archi grandiosi, mi cominciava a parere strano che, in luogo d’ispirare quell’ammirazione subitanea e profonda, mista quasi ad un senso di terrore, che sogliono ispirare i monumenti giganteschi, costringessero invece, quando si voleva esprimere con parole l’effetto delle loro bellezze, a servirsi degli aggettivi stessi che s’usano per designare un bel fanciullo, un bel fiore, un bel ninnolo, come: – Gentile, carino. Guardando quelle torri, quei palazzi, sorprendevo spesso in me medesimo uno stranissimo desiderio, come di fare scorrere la mano su quei contorni, di palpare quei rilievi; e con questo desiderio, una specie di sollecitudine gelosa per quelle moli enormi di pietra, come se temessi che la menoma forza le potesse offendere e sciupare; e con questa sollecitudine, un bisogno vivo e continuo di correrle e di ricorrerle con quello sguardo d’amante che avvolge, e striscia, e lambe, e si stanca sulle forme care” (Edmondo De Amicis).  

Firenze, turismo e il Rinascimento 

Certo, l’affollamento dovuto al turismo mette in seria difficoltà questo delicato equilibrio che non è solo urbanistico e architettonico, ma umano e psichico, e che per formarsi ha avuto bisogno di secoli e di generazioni di artisti, artigiani, bottegai, cuochi, politici e cittadini.  Una immagine per tutte: l’abside del Duomo di Firenze, le impalcature a destra dell’inquadratura, e in primo piano tre file di tavoli da ristorante, con tanto di ombrellone (chiuso). La gente mangia comodamente di fatto ai piedi dell’architettura, in pieno luglio. 
È una scena tutt’altro che rara nella capitale del Rinascimento, assediata dai turisti in estate così come praticamente in ogni altra stagione dell’anno. Eppure, nel bollore di queste settimane, esiste per fortuna un’altra Firenze, un po’ più nascosta se volete ma anche più affascinante rispetto a quella mainstream e presa d’assedio a ogni ora.  “L’italiano che emerge in me a Firenze è uno dei modi dell’altrove; come dire che Firenze è estero, ed anzi che a Firenze scopro come l’Italia intera possa essere estero. Firenze è estero perché, qui, l’Italia è estero. È un luogo da raggiungere, un luogo lontano. È fuori” (Giorgio Manganelli, La favola pitagorica, Adelphi, Milano 2005, p. 66).  

Il Duomo di Firenze
Il Duomo di Firenze

La percezione di Firenze all’estero 

Firenze dunque – soprattutto Firenze d’estate – è estero, una strana specie di fuori/dentro: di noi/altro. Ma è ancora così? Sì: ha infatti la capacità di proiettare una forma sottile, e gentile, di estraneità. A Firenze sei straniero anche se non lo sei, sei in fondo un turista anche se non ti senti un turista. Questa città è in grado di indurre una specie unica di turismo quotidiano, di turismo ‘residenziale’, per così dire. Un turismo stanziale

L’Annunciazione di Beato Angelico 

Il pezzo forte, il luogo forse più splendido e misterioso della città – almeno per me – è il Museo di San Marco. L’ambiente al secondo piano del convento con le 43 celle dei monaci dominicani (comprese le tre, un intero miniappartamento, occupate da Savonarola), tutte affrescate dal Beato Angelico, è qualcosa di incredibile: vi viene subito voglia di non andare più via, di rimanere lì per sempre. Un interno in un interno – uno spazio architettonico spoglio e rinascimentale ricavato al chiuso – una freschezza mentale… L’Annunciazione (1440-50) che vi accoglie in cima alle scale, vista dal vivo, vale da sola la visita all’intera città: le ali psichedeliche dell’angelo, il giardino fiorito e la palizzata, la finestra della celletta sullo sfondo le cui grate inquadrano le fronde sono dettagli in grado di trasportarvi in una dimensione senza tempo. Così come le immagini dipinte nelle singole celle dal frate, semplici, eleganti e potenti variazioni e meditazioni su singoli temi che dialogano alla pari con le innovazioni recenti di Masaccio, compongono la più grande decorazione mai realizzata fino ad allora in un convento, in grado di anticipare di quasi cinque secoli e mezzo secoli il concetto e la pratica della site-specificity

La Cappella Brancacci e Masaccio 

Un salto poi alla cappella Brancacci nella Chiesa di Santa Maria del Carmine, vero inizio della storia dell’arte italiana e occidentale, con la Cacciata dei progenitori dall’Eden (1424-25), il Pagamento del tributo (1425) e soprattutto San Pietro risana gli infermi con la sua ombra (1425-27) di Masaccio, in cui il miracolo, l’impossibile, l’impensabile si fondono con il fisico, il terreno e il quotidiano dell’ombra di un corpo solido che percorre altri corpi e superfici in un giorno normalissimo, in una via fiorentina identica a una di quelle che abbiamo appena percorso. Infine, a conclusione di questo ideale, breve giro estivo, la Deposizione (o, più correttamente, il Trasporto di Cristo, 1526-28 ca.) di Pontormo nella Chiesa di Santa Felicita, capolavoro della prima fase del Manierismo, sperimentale e anticlassica – insieme a quella di Rosso Fiorentino a Volterra. Ecco che cosa pensò Bill Viola, grande della videoarte recentemente scomparso, quando la vide per la prima volta, parecchi anni prima di ispirarsi alla Visitazione di Carmignano (1428-30 ca.) per il suo The Greeting (1995): “Ero entrato nella chiesa di Santa Felicita, subito dopo Ponte Vecchio, a vedere la Deposizione. Fui molto colpito dai colori. Uscendo mi domandai, sinceramente, che cos’avesse fumato il pittore per dipingere quei rosa, per dipingere quegli azzurri incredibili. Sembrava che avesse lavorato sotto l’effetto dell’LSD” (The Greeting di Bill Viola e la Visitazione del Pontormo – Capolavori a confronto – Fondazione Palazzo Strozzi). 

Christian Caliandro 

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Christian Caliandro

Christian Caliandro

Christian Caliandro (1979), storico dell’arte contemporanea, studioso di storia culturale ed esperto di politiche culturali, insegna storia dell’arte presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze. È membro del comitato scientifico di Symbola Fondazione per le Qualità italiane. Ha pubblicato “La…

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