Cosa l’arte può imparare dalla moda. Dall’organizzazione all’economia

Quasi tutti possono permettersi di acquistare, nell’arco della propria vita, un abito Armani in negozio. Questa dimensione intermedia del prodotto nell’arte invece tende ad essere poco sviluppata. Forse il mondo dell’arte può imparare qualcosa dalla moda?

Nell’immaginario collettivo, moda è creatività; è saper fare artigiano; è ricerca. Moda è anche lusso, glamour, boutique nei principali centri urbani, star del cinema e red carpet. Moda, infine, è anche industria, occupazione, delocalizzazione, vendita dei principali brand italiani all’estero.  È proprio la dimensione industriale quella che forse meriterebbe una maggiore riflessione da parte di chi si occupa di cultura, perché è proprio questa la dimensione che il settore culturale, nel nostro Paese, ha costruito meno.

Il mercato dell’arte e il sistema della moda

Prendiamo l’arte. Oggi, il mercato dell’arte è costituito da un insieme eterogeneo di “attori economici”, ciascuno con un proprio ruolo ben definito: ci sono gli artisti, i galleristi, i musei; ci sono i critici, gli investitori, le case d’asta; ci sono riviste specializzate che evidenziano gli aspetti tecnici, e quelle specializzate che invece ne commentano il gossip; ci sono assicuratori, esperti di finanza, allestitori, trasportatori specializzati. Ci sono le agenzie di comunicazione e di eventi specializzati. 
Come in ogni mercato, ci sono i grandi player, che presentano una grande diversificazione degli investimenti, e poi ci sono i piccoli e i medi operatori, che invece hanno un giro d’affari notevolmente più circoscritto, una minore distribuzione (anche se ciò non necessariamente inficia la qualità dei prodotti scambiati).
Con un maggior rigore, si può affermare che sotto il profilo della catena di creazione del valore, una delle principali differenze tra la moda e arte, al netto di tutte le implicazioni culturali, è nel modello di produzione in sé: nella maggior parte dei casi, infatti, l’artista agisce in modo “singolo”, contando sicuramente su un certo numero di collaboratori, che tuttavia non può assolutamente essere paragonato al numero di operatori necessari a creare una collezione d’abbigliamento.

Capi di moda. Photo via Unsplash
Capi di moda. Photo via Unsplash

Arte e industria: un ossimoro?

Questa considerazione, in genere, viene descritta evidenziando il “carattere intrinsecamente industriale della moda”. Carattere che invece non viene associato all’arte.
Con quest’affermazione, tuttavia, si invertono i ruoli logici, e si finisce con il confondere una causa con una conseguenza: se l’arte non è diventata (ancora) industria, non è perché siano assenti dalle produzioni artistiche quei requisiti di cooperazione e collaborazione. Anzi. Nel periodo artistico che agli occhi del mondo ha caratterizzato la nostra storia dell’arte, il ruolo delle botteghe era essenziale, ed è noto come tali botteghe avessero un’organizzazione che in molti casi è stata paragonata a quella tipica delle imprese.
Senza ripercorrere l’intera vicenda della storia dell’arte, è tuttavia un dato di fatto che anche nelle dimensioni contemporanee (WarholKostabi), il concetto di “industria” è riemerso con una certa frequenza, evidenziando come la creazione di nuovi modelli produttivi continui ad essere un tema di ricerca per gli artisti, senza contare gli esperimenti di “opere a telefono” in cui gli artisti dettavano telefonicamente le istruzioni per il montaggio delle installazioni, generando sotto il profilo concettuale un vortice di aleatorietà in cui la dimensione autoriale veniva da alcuni attribuita all’artista, e da altri al personale dei musei, riflessione che oggi potrebbe essere pacificamente estesa a tutti i brand, siano essi della moda che di qualsiasi altra produzione.

Arte e industria: un processo possibile

Prevedere una struttura organizzativa supera il problema dell’autorialità e riduce quello dell’autoreferenzialità del processo creativo. A partecipare, a vario titolo, sono differenti soggetti che, ciascuno per propria competenza, sono chiamati a svolgere un ruolo attivo nell’ideazione, organizzazione e realizzazione del prodotto (opera, abito, lungometraggio, videogame). Si tratta, quindi, di un processo possibile, che non svilisce l’opera, né la carriera degli artisti coinvolti. Pertanto, la non industrializzazione dell’arte non è una dimensione che deriva dalla scarsa occupazione. 
L’ostacolo, quindi, va intercettato in un’altra dimensione della catena di creazione del valore, o al di fuori della stessa. Perché non è da escludere che ciò che di fatto impedisce all’arte di costituirsi come un processo produttivo organizzato secondo principi simil-industriali sia in realtà la scarsa domanda, e lo scarso valore medio del fatturato.
La moda ha un volume d’affari molto importante, e ad esso si associa una tendenziale diversificazione degli investimenti che fa sì che il settore oggi riesca ad estendere la propria influenza non solo sul versante culturale, ma anche sul versante imprenditoriale e immobiliare.

Andy Warhol - Marilyn 1970
Andy Warhol – Marilyn 1970

Arte ed economia: le quotazioni

Accanto al settore alta-moda, esistono altre categorie di prodotto da cui spesso derivano fonti di ricavo importanti per le stesse maison che poi portano in passerella abiti-opere che di fatto risultano non-indossabili se non in una cena di gala.
Quasi tutti possono permettersi di acquistare, nell’arco della propria vita, un abito Armani (in negozio). Pur sapendo che quell’abito non ha la stessa qualità di quelli che, ovviamente, si inscrivono nel segmento più elevato del settore.
Questa dimensione intermedia del prodotto nell’arte invece tende ad essere poco sviluppata: ci si concentra su grandi artisti, con opere che sono al di fuori della disponibilità della maggior parte di noi. Questa dimensione può essere paragonata al segmento alto della moda: pochi possono permettersi di acquistare un abito sfilato in passerella, pochi possono permettersi di indossarlo.

L’arte come il pc di Bill Gates

La parte del mercato su cui invece l’arte latita è quello delle opere d’arte realmente acquistabili da molti, sebbene la maggioranza delle compravendite d’arte coinvolga opere che non raggiungono il valore di un’auto. 
È su questo segmento che l’industria dell’arte fatica a raggiungere davvero un “mercato”. Si tratta di una dimensione potenzialmente enorme, ma che per motivi da un lato culturali e dall’altro di dinamica di determinazione del prezzo, viene fin troppo trascurata.
Un’opera d’arte in ogni casa. Come Bill Gates sognava la diffusione dei PC. Questo potrebbe aiutare l’arte a strutturarsi come industria.

Stefano Monti

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Stefano Monti

Stefano Monti

Stefano Monti, partner Monti&Taft, è attivo in Italia e all’estero nelle attività di management, advisoring, sviluppo e posizionamento strategico, creazione di business model, consulenza economica e finanziaria, analisi di impatti economici e creazione di network di investimento. Da più di…

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