Un oscuro scrutarsi. La mostra di Jacopo Benassi alla GAM di Torino
Tra nascondimenti, rivelazioni, e confronti con l’eredità di Lombroso si delinea nella mostra di Benassi l’identikit di un artista che ha fatto dell’ambiguità la sua cifra stilistica
È un viaggio nella testa e nella poetica di Jacopo Benassi (La Spezia, 1970) quello offerto dalla GAM di Torino fino al 1° settembre, un’esperienza che tra riferimenti tanto cari alla storia dell’arte e coraggiose scelte allestitive invita lo spettatore a interrogarsi costantemente su ciò che sta guardando, o meglio, su ciò che riesce o meno a guardare.
Curata da Elena Volpato, l’esposizione dell’artista spezzino si regge infatti su di un sottilissimo filo che separa ciò che si vede da ciò che si immagina e che costringe l’osservatore a una visione volutamente parziale di quanto “mostrato”.
La mostra di Benassi a Torino
Così come le opere stesse – vincolate da cinghie colorate o sorrette da impalcature che ricordano una vera e propria scatola cranica –, anche il visitatore si trova in qualche modo costretto, forzato a non poter agire come vorrebbe, impossibilitato cioè a contemplare il tutto nella sua interezza. Inseriti all’interno dello spazio Wunderkammer della GAM (appositamente destrutturato sia come omaggio alla ricerca di Gordon Matta-Clark sia come affermazione del modus operandi iconoclasta di Benassi) i lavori selezionati si presentano accatastati e sovrapposti nel tentativo di occultare qualcosa per rivelare altro: una pratica già largamente utilizzata dal secolo scorso in poi (si prendano ad esempio opere quali L’enigme d’Isidore Ducasse, di Man Ray, o le installazioni ambientali di Christo e Jeanne-Claude) che ciononostante non smette di attrarre.
Il pubblico di Autoritratto Criminale – questo il titolo del progetto espositivo – veste così il ruolo del voyeur accentuando un certo erotismo rintracciabile tanto nell’Autoritratto truccato da femmina quanto nell’inaspettato glory hole inserito nell’installazione Panorama di La Spezia (che facilmente riporta alla mente l’Étant donnés di Duchamp) dal quale si può scorgere una fotografia nascosta dell’ “inguardabile” Adolf Hitler.
Benassi e Cesare Lombroso
A completare la lista di ritratti celebri, tra i quali menzioniamo anche quelli di Lydia Lunch, Giovanni Lindo Ferretti e Nan Goldin, è Cesare Lombroso immortalato nel gesso dall’amico Leonardo Bistolfi. Già presente all’interno della collezione della GAM, l’imponente scultura dedicata al noto criminologo italiano crea un importante filo conduttore per il concept della mostra aprendo riflessioni sia su concetti quali la legalità e la proibizione sia sulla difficoltà di penetrare cose misteriose del calibro della mente umana o un’opera d’arte.
L’ambiguità di Jacopo Benassi
Benché l’ambiguità sia diventata oramai un tratto distintivo di Jacopo Benassi, si fa sempre un po’ fatica a metabolizzare quel contrasto che si viene inevitabilmente a creare tra il suo approccio di matrice punk nichilista e la pulizia estetico/formale con la quale difatto vengono presentati i lavori. Ciò che ogni volta lascia un po’ di perplessità del suo modus operandi è quell’atteggiamento radicale che spesso appare confezionato ad hoc per i collezionisti che, affascinati molto probabilmente da ciò che normalmente non si confà alla classe borghese, sono effettivamente gli unici che demarcano una certa distinzione tra ciò che viene definito underground e mainstream.
Ed è in questo limbo che Benassi si contorce con le sue pulsioni e i suoi spasimi, una dimensione ibrida il cui status non dipende pienamente dalla volontà dell’artista stesso, o forse sì?
Valerio Veneruso
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