Cosa farà il critico d’arte dopo l’era di Vittorio Sgarbi e Achille Bonito Oliva?

A quali domande dovrebbe rispondere il critico d’arte di domani? È una figura che non necessariamente va a braccetto con le leggi del mercato ma spesso cozza con esso, anche se in una società ideale dovrebbe orientarne le scelte. Ma che futuro avrà?

Cosa ne sarà della critica d’arte dopo Vittorio Sgarbi e Achille Bonito Oliva? Premettendo che il critico d’arte è di per sé in crisi, anche se ne abbiamo un grande bisogno. Ed è una figura che non necessariamente va a braccetto con le leggi del mercato ma spesso cozza con esso, anche se in una società ideale dovrebbe orientarne le scelte. Dunque, il critico d’arte non è una figura effettivamente utile all’economia, quanto più al libero pensiero e al riconoscimento dei fenomeni artistici originali, che solo sul lungo periodo orientano le scelte del mercato.
Indubbiamente in un sistema dell’arte in salute è una figura fondamentale per distinguere l’arte dalla presunta tale, e per far coincidere il valore artistico con quello di mercato. E dunque dovrà inevitabilmente recuperare la capacità di discernere e selezionare.

Il critico d’arte è una figura scomoda

La vita del critico d’arte negli ultimi tempi non è stata semplice, perché seleziona e aiuta a discernere tra ciò che è arte e ciò che non lo è ma si finge tale. E in tempi in cui il dissenso e l’antipatia sono sentimenti poco diffusi e apprezzati, il critico d’arte risulta inevitabilmente scomodo. 
Si è forse ritenuto negli ultimi decenni che in un sistema dell’arte contemporanea in difficoltà, farsi andare bene tutto e incoraggiare qualsiasi forma d’espressione fosse la chiave del successo e della liberalizzazione delle arti, ma è il contrario, selezionare e distinguere con studio e mezzi critici adeguati alimenta più positivamente l’arte e il mercato e soprattutto non genera confusione e talvolta repulsione nei fruitori meno avvezzi.
Mi permetto una metafora con l’educazione di molti di noi, nati negli Anni ’80 e ’90, che hanno avuto troppa libertà e pochi strumenti critici per affrontare le difficoltà della vita secondo il paradigma del “va bene tutto”.

Achille Bonito Oliva con il cartello di Gino De Dominicis, alla mostra VII Biennale de Paris, Parc Floral, Bois de Vincennes, 1971. Photo © Massimo Piersanti, courtesy Archivio Massimo Piersanti
Achille Bonito Oliva con il cartello di Gino De Dominicis, alla mostra VII Biennale de Paris, Parc Floral, Bois de Vincennes, 1971. Photo © Massimo Piersanti, courtesy Archivio Massimo Piersanti

Sgarbi e ABO: la critica d’arte secondo loro

Sgarbi e ABO incarnano due figure di critici d’arte diametralmente opposte e due archetipi del critico. Il primo oggettivo, platonico (tralasciando gli scivoloni), distaccato dagli artisti, meticoloso e anche un po’ temuto, non ha paura di nessuno e dice quello che pensa, e se possiamo riconoscergli un vero grande merito è indubbiamente quello di non prendere le parti di nessuno e di aver messo al primo posto l’arte rispetto all’artista.
Altrettanto grande e forse anche più furbo, Bonito Oliva ha intuito che il critico è un amico degli artisti, un giocherellone che può supportarli e indirizzarli e non metterli in difficoltà. In origine la figura di ABO. è stata benefica e rivoluzionaria, ha permesso all’arte contemporanea di avere nuovo respiro in Italia, di ammettere il gioco e di non prendersi eccessivamente sul serio.
Il grande merito di Bonito Oliva è sicuramente quello di essere stato una figura libera, trasversale, che si è posta oltre il giudizio di giusto e sbagliato e oltre le ideologie e ha permesso una forte accelerazione delle arti contemporanee nella loro sperimentazione e scollamento rispetto al proprio tempo. 
Due facce della stessa medaglia: uno ha reinterpretato l’arte del passato e l’altro ha prefigurato quella a venire.

Il modello di Vittorio Sgarbi

Come però la storia insegna, tutte le forme si incancreniscono e alla lunga certi modelli se non vengono superati possono creare problemi. Questo succede anche con i più grandi. Tutti i modelli vanno superati perché i tempi evolvono. E purtroppo il problema dei nostri tempi è proprio la sensazione di vivere in un eterno presente. 
Il modello Sgarbi se non superato determinerebbe un distacco eccessivo e ormai superato del critico rispetto all’artista e una tendenza eccessiva al giudizio di valore che risulta passatista e poco inclusiva e aperta verso le sperimentazioni. Anche se di alcuni elementi della critica di Sgarbi, come l’attenzione alla disciplina e alla tecnica, avremmo ancora bisogno nel relazionarci con l’arte contemporanea.
Ma anche l’esasperazione del Bonitolivesimo oggi risulta dannosa, perché in tempi in cui la libertà di fare arte e definirsi artisti ha raggiunto il suo apice, il critico non può essere troppo di parte. Mancano figure-guida e per questo sarebbe bene fare un po’ di ordine e mettere qualche paletto. Non tutti possono essere tutto e stare troppo dalla parte degli artisti non è sempre positivo. 
Affermare quale modello tra i due ha avuto la meglio oggi non è operazione semplice, indubbiamente incarnano due modi diversi di guardare all’arte e due orientamenti differenti. Ma la domanda fondamentale che mi pongo è: 
Di quale guida ha bisogno oggi il mondo dell’arte? Può ancora esisterne una con grande risonanza?

Vittorio Sgarbi
Vittorio Sgarbi

Il futuro della critica d’arte

Il critico non può essere solo nomade-curatore, provvisto di molto intuito e poche competenze tecniche e quindi lasciare totale libertà all’artista e neppure utilizzare solo gli strumenti tradizionali, e vivere la critica come censura e conservazione, ponendosi in una posizione gerarchica.
Parlare di Sgarbi e ABO. non significa tralasciare tutta una scia di brillanti critici d’arte arrivati dopo, ma assumerli a paradigma di questi due modi differenti di fare critica.
Del modello Sgarbi, erede degli storici dell’arte vecchio stampo, il critico d’arte ideale dei nostri tempi dovrebbe ereditare la capacità di selezionare, e di non prendere necessariamente parte ai movimenti, di conoscere il passato e osservare il singolo artista come unicum. Penso, tra i pochi contemporanei ammirati da Sgarbi, ai grandi Gino De Dominicis eCarmelo Bene (per altro un riferimento anche per ABO), al di fuori rispetto al loro tempo, che sarebbero stati grandi a prescindere dal sostegno di un critico d’arte o dall’appartenenza a gruppi e movimenti, dalle costruzioni fatte attorno alla loro opera, per le qualità intrinseche e indiscutibili della loro arte, che dal critico può al più essere tradotta e mediata per il pubblico.
Bisogna invece chiedersi, con il beneficio del dubbio: quanti degli artisti della Transavanguardia avrebbero raggiunto una tale fama mondiale senza la grande acutezza di ABO.?L’eredità di Achille Bonito Oliva
Ciò non significa che, se l’artista è realmente grande allora il critico è superfluo, ma che il critico è fondamentale per aiutarci a distinguere chi sia effettivamente e realmente grande e ci rimarrà nel tempo, a prescindere dall’intervento del critico stesso e dal suo gusto personale.
Ad ogni modo, di Bonito Oliva il nostro ipotetico critico di domani dovrebbe ereditare invece la capacità di sostenere, guidare l’arte e gli artisti, di creare l’arte e le nuove narrazioni, di anticipare il futuro e sapersi sporcare le mani, di essere carismatico e incisivo, a volte più degli artisti stessi. Di saper captare le tendenze e tradurle, di saper riunire gli artisti secondo ideali e obiettivi comuni, di fargli credere in qualcosa.
Come può una figura riuscire a incarnare contemporaneamente due modelli che appaiono così distanti?
Il critico d’arte di domani dovrebbe essere imparziale, porsi alla giusta distanza e osservare tutti i fenomeni artistici con curiosità, come fa a mio parere Angela Vettese con la sua verve pedagogica, ma allo stesso tempo, grazie agli strumenti d’analisi innati e acquisiti con lo studio, saper distinguere tra cosa può essere arte e cosa no, tra cosa buttare nel calderone e cosa lasciare fuori. 
Dunque, il critico d’arte di cui abbiamo bisogno è una figura che almeno tenda all’oggettività e che non penalizzi a priori nessuno, che utilizzi strumenti scientifici, ma che allo stesso tempo sia morbido e accogliento verso le innovazioni, di cui il nostro paese ha molto bisogno.

Vito Ancona

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Vito Ancona

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Vito Ancona (Alcamo, 1995) dopo la maturità classica si è formato in Design della Moda tra il Politecnico di Milano e la Royal Academy of Fine Arts di Anversa e in Teatro e Arti Performative allo IUAV di Venezia. Nel…

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